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La prima volta che Alberto andò
ai lunedì della contessa Manfredini parvegli di sorprendere negli occhi di
Velleda un'espressione di meraviglia e di dispetto. Ma la giovinetta era troppo
bene educata per far scorgere cotesto altrimenti che per sorpresa, e l'accolse
con un po' di freddezza, è vero, ma convenevolmente. Non evitava, né cercava le
occasioni di trovarsi sola con lui, e quando ciò avveniva per caso ella sapeva
starci benissimo dominando Alberto con la sua calma superba. Gli rivolgeva la
parola come a tutti gli altri, né più né meno, qualche volta con una sfumatura
d'ironia, qualche altra volta con impertinente freddezza, sovente come se
volesse col suo contegno domandare tacitamente ad Alberti perché continuasse a
frequentare la sua casa, malgrado il suo divieto assai chiaramente espresso. La
madre, al contrario, quasi avesse voluto addolcire e far scusare i modi della
figliuola, trattava Alberti affabilmente.
Una sera che l'aria più mite
della primavera permetteva di lasciare le finestre aperte, Velleda s'avvicinò
ad Alberti colla sua solita disinvoltura, e gli disse tranquillamente:
«Ho da dirle qualcosa, Alberti» e
lo precesse sul terrazzino. «Sa che il signor De Marchi ha chiesto la mia
mano?»
«Lo sospettavo...»
«Non volevo... non avevo
intenzione di maritarmi...» soggiunse con voce breve e risoluta, senza
guardarlo. «Ma giacché mi ci avete costretta ho detto di sì.»
Alberto tardò alcuni minuti a
rispondere.
«Mi ordinate di non venir più in
casa vostra?» domandò alfine.
«Adesso è inutile» diss'ella con
un sorriso glaciale e superbo. «Ho bruciato le mie navi.»
La notizia di quel matrimonio non
tardò a circolare fra gli amici di casa Manfredini; da prima discretamente, in
seguito con maggiore sicurezza. De Marchi avea diradato le sue visite, Velleda
lo trattava con grande riserbo, ma sapevasi che dalle due parti stavansi
trattando delle questioni d'interesse, e ciò era perfettamente in regola.
«Ardon gl'incensi!» disse una
volta l'Armandi sortendo insieme ad Alberto da casa Manfredini.
Velleda aveva alquanto raddolcito
il suo contegno verso Alberti, sia che la rassegnazione di lui l'avesse
disarmata, o che, dopo la presa risoluzione, egli non le ispirasse più alcun
timore. Ella attraversava colla sua grazia disinvolta quel periodo, tanto
difficile per una ragazza delle domande susurrate dalle amiche di casa
all'orecchio della mamma, delle allusioni più o meno velate, degli sguardi
indiscretamente curiosi. Di tanto in tanto sembrava un po' astratta e
pensierosa, avea certi momenti di silenzio quasi cupo, o di gaiezza come
irritata, o di asprezza irragionevole. Tutto ciò cadeva più frequentemente e
più direttamente sul povero Alberti, quasi ella non potesse perdonargli di
averla costretta ad una risoluzione intempestiva. Il sarcasmo le veniva
frequente in bocca, ed ella medesima arrossiva alcune volte dei suoi pungenti
epigrammi; un momento dopo sembrava ravvedersi e avere l'intenzione di fargli
delle scuse, come poteva farle il suo carattere orgoglioso, con una parola
gentile o con una attenzione delicata. Alberto impallidiva, o arrossiva,
soffriva, ma non osava rinunziare a vederla. Sovente sorprendeva gli occhi di
lei che lo fissavano carichi di collera, accigliati, foschi; allora il riso di
lei era più mordente, o, cosa strana, la sua parola era più graziosa. Alcune
altre volte era lei che sorprendeva gli sguardi d'Alberto rivolti verso De
Marchi, colla febbrile ammirazione dell'invidia. De Marchi era un rivale
formidabile, bello, altolocato, elegante e spiritoso - il povero innamorato
soffriva la più crudele gelosia; quella che umilia ed annichila.
Un lunedì che c'era più gente del
solito in casa Manfredini, Alberto si trovò un momento solo vicino a Velleda
sull'uscio del giardino, e si misero a parlare dell'ultima opera della Pergola,
e delle corse che s'erano fatte alle Cascine. Da qualche tempo fra di loro
correvano le buone relazioni di gente completamente indifferente. Velleda
perciò non si mosse, e seguitava a discorrere tranquillamente e più a lungo del
solito, canticchiava fra i denti i motivi di cui si rammentava, e faceva
strider la sabbia sotto il suo stivalino irrequieto, gli domandava come si
chiamasse il cavallo che avea vinto alle corse, e a quanto ascendesse il primo
premio. Alberti rispondeva un po' distratto, come gli avveniva spesso ma a
proposito.
«Le piacciono anche a lei le
corse?» gli domandò Velleda.
«Non voglio che sposiate De
Marchi!» rispose ad un tratto bruscamente Alberti afferrandole le mani.
Ella gli piantò gli occhi in
faccia, e stette a fissarlo in tal modo, colle braccia rigidamente tese. Non
aggiunsero una parola - rimasero guardandosi. - A poco a poco gli occhi di lei
si velarono, il viso si fece smorto, e le braccia si allentarono. Poi si
svincolò con uno sforzo disperato e rientrò come fuggendo.
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