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Dopo alcuni giorni incominciò a
susurrarsi dietro il ventaglio che il matrimonio della signorina Manfredini
avea inciampato in gravi difficoltà d'interesse. De Marchi era partito per Napoli,
allo scopo di facilitare le pratiche presso la sua famiglia; la ragazza si
faceva vedere di rado; la mamma era più seria del solito, e mostravasi
amabilissima colle amiche più maldicenti.
Alberto e Velleda non s'erano più
detta una sola parola. Ella non aveva più la rigida alterezza di una volta, la
fermezza dello sguardo, la sicurezza dell'intonazione. Avea un'aria di vinta.
Dinanzi a lui ammutoliva, e chinava gli occhi. Una sera che passeggiando in
giardino egli le prese la mano, gliela lasciò. Così gli s'abbandonava.
La contessa Armandi era divenuta
intima di casa Manfredini; però mostrava non aver perdonato ad Alberto la
visita che non le avea fatto, e che poscia ella non gli avea permesso di farle.
Del resto era capricciosissima, e per vendicarsi sembrava aver adottato il
sistema di fargli perdere la tramontana. Ora era ironica, impertinente,
motteggiatrice, sdegnosa; ora si faceva accompagnare al piano, o in carrozza, e
lo lasciava sempre alla sua porta dicendogli: «Sin qui!».
Una sera che al villino Flora la
conversazione era stata più scucita, e la mamma Manfredini si era mostrata più
preoccupata del solito, l'Armandi disse ad Alberto sortendo:
«A proposito, perché non sposa
lei Velleda?»
Alberto ricevette la domanda come
una stoccata in pieno. L'Armandi non gli diede il tempo di rispondere, e
soggiunse subito gaiamente:
«Quell'altro sarebbe un
matrimonio sbagliato. La signorina Manfredini non è ricca, e la famiglia dello
sposo non l'accetta volentieri. Fortuna che la bambina abbia più giudizio della
madre, la quale s'è incaponita dietro quel miraggio, e ci penserà due volte
prima di dir di sì! Ci vuol altro!»
«Lei però ha detto ardon
gl'incensi!»
«Ho detto gl'incensi, non
ho detto le tede!» rispose la contessa col suo risolino ironico. E montò
in carrozza.
Alberto rimase pensieroso.
Il giorno dopo Velleda lo
interrogò due o tre volte collo sguardo - ei mostravasi annuvolato. - Poi andò
a sedere in un canto, senza fargli una sola domanda.
Alberti si avvicinò, sedette
accanto a lei e si misero a sfogliare dei libri e dei giornali. Dopo un lungo
silenzio le disse a voce bassa:
«Sapete che fra breve tornerà il
signor De Marchi da Napoli?»
Velleda gli fissò gli occhi in
viso, si strinse nelle spalle, e non rispose.
Il giovane le strinse la mano di
nascosto, e riprese.
«Perdonatemi tutto ciò che ho
detto in quella sera... Sono stato matto... o qualcosa di peggio!»
La fanciulla all'ombra della
ventola, non staccava da lui quello sguardo luminoso, tenace, incisivo; ma non
aprì bocca; egli si fece pallido, esitò, le strinse la mano con forza, e
balbettò:
«Sposatelo.»
Velleda rimase zitta, immobile,
bianca; infine lasciò cadere lentamente questa parola:
«Perché?»
«Perché io non prenderò mai
moglie.»
Una vampa di fuoco corse pel viso
della giovinetta, poscia impallidì, ritirò dolcemente la mano, rimase alcuni
istanti collo sguardo fiso dinanzi a sé, col sopracciglio aggrottato, e infine
disse con un tono di voce che non sarebbesi potuto indovinare se fosse altero o
indifferente:
«Che m'importa?»
Alberto si aspettava la sorpresa,
l'indignazione, la collera, e rimase sbalordito da quella risposta. Più pallido
di lei, e colla voce tremante, le disse:
«Come dovete odiarmi!»
Ella, senza levare gli occhi,
lasciò cadere mollemente la sua mano in quella di lui.
«Ascoltatemi, Velleda!» esclamò
Alberto con accento commosso. «Vi amo in modo che non saprei dire. Nella mia
testa c'è qualcosa di guasto, e il dubbio mi rode come un verme velenoso. Ho
bisogno di esser convinto che mi amiate per me, senza secondi fini, e che mi sacrifichiate
tutto... tutto, intendete?... Perdonatemi! Allorché questo dubbio fatale
è entrato in me... o ci è stato messo con una parola... avrei voluto
fuggirvi... e non ho potuto. Voi sola potete darmene il coraggio disperato.
Cosa volete che faccia?»
«Noi non potremmo amarci
altrimenti!» rispose Velleda dopo aver riflettuto un istante. «Meglio così!
Adesso anch'io posso dirvi che vi amo!»
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