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Non erano ancora le otto del
mattino, e Alberto stava già per uscire di casa, allorché Toni venne a dirgli che
una persona, la quale dovea parlargli di cosa che premeva, l'aspettava in legno
alla porta.
Alberto vide rincantucciata
nell'angolo del fiacre una signora velata.
Com'egli fu seduto, l'Armandi gli
disse con animata concisione:
«Cosa pensa di fare?»
«Nulla»
«Nulla è troppo poco! Stava già
per uscire alle otto di mattina! Avevo dunque ragione di essere inquieta!»
«Ebbene» riprese dopo un breve
silenzio «mi dica la verità... vuol battersi?»
Alberti chinò il capo senza
rispondere.
«Il principe Metelliani è religiosissimo,
e non usa battersi. Cosa potrebbe fare per costringervelo? Schiaffeggiarlo? ei
ricorrerà ai tribunali e per vendicarsi lo farà insultar mortalmente da un suo
domestico che sarà lietissimo di buscarsi una discreta mancia andando in
prigione pel suo padrone. Non faccia follìe, per carità! Non gioveranno a
nulla.»
«È vero.» rispose Alberti in tono
breve.
«Abbiamo detto di essere amici
schietti, ed ho perciò il diritto di darle dei consigli. Anzitutto perché si
batterebbe? per dispetto o per gelosia?»
«Non lo so...» rispose il giovane
dopo una pausa.
«Non lo sa?... diggià!» diss'ella
con un gaio sorriso, «alla buon'ora!»
Andavano pel gran viale delle
Cascine. L'aria era ancor fresca, il cielo azzurro, e i grandi alberi si
elevavano dai due lati come immense muraglie di verdura. Per lungo tratto
Alberto e la contessa rimasero silenziosi, guardando distrattamente i
boschetti. Infine il giovane rivolse due o tre occhiate furtive su di lei, e
disse esitando:
«M'ha perdonato davvero?»
«Che cosa?...» domandò ella
saettandogli uno sguardo penetrante.
Egli ammutolì; ma la contessa,
senza dargli il tempo di aprir bocca, aggiunse con uno scoppio di riso
civettuolo:
«Ah!... Non ci pensavo più!»
L'Armandi, malgrado la bizzarria
del suo carattere, s'era mostrata, come avea promesso, amica schietta e vera
d'Alberti nell'uggioso periodo che aveva seguito la rottura di lui colla
Manfredini. Egli andava a trovarla più spesso, e distraevasi chiacchierando con
lei di cose indifferenti e sfogando l'umor nero. La contessa possedeva la rara
qualità di saper ascoltare. Più di una volta il giovane avea sorpreso sé stesso
in muta contemplazione di quella mano fina e aristocratica che carezzava
indolentemente il nastro della gorgierina, o gli sgonfietti del fisciò,
e almanaccava dove l'avesse vista un'altra volta.
L'Armandi partiva anch'essa pei
bagni, e a poco a poco Alberto aveva finito per andarla a trovare quasi ogni
giorno. Alla vigilia della partenza entrambi s'erano fermati più a lungo del
solito sul terrazzino a contemplare gli ultimi raggi del sole che moriva.
Alberto era taciturno, ed anche la contessa aveva parlato pochissimo.
«Non è punto allegro stasera!»
diss'ella come per scacciare la tristezza che invadeva anche lei.
«Si fermerà lungo tempo ai
bagni?»
«Dipenderà da mio marito; ma poi
andremo sul lago di Como.»
Ei chinò il capo e rimase zitto.
Anch'essa divenne astratta.
Poi gli disse abbassando la voce,
senza che ne sapesse il perché ella medesima:
«Veramente... le rincresce ch'io
parta?»
«Sì» rispose Alberto senza alzare
il capo.
La contessa ammutolì di nuovo.
Infine ella gli prese la mano, e gli disse dolcemente con voce commossa:
«Io non vi amo, non posso amarvi,
e non vi amerò giammai. Dopo quel ch'è stato fra di noi non possiamo esser altro
che amici. Volete?»
Ei strinse la mano ch'ella gli
porgeva, senza avere il coraggio di dire una sola parola.
Il giorno dopo Alberti era andato
a dire addio alla contessa. Nel momento di lasciarsi ella gli domandò:
«Verrà a trovarmi sul lago?»
«Sì.»
«Non manchi. Venga verso la metà
di settembre.»
E dopo alcuni istanti:
«Adesso cosa farà? Rimarrà a
Firenze tutta l'estate?»
«Non lo so.»
«Vada in campagna, ai bagni -
viaggi. Ella ha bisogno di distrarsi, dia retta alla sua amica... E soprattutto
cerchi d'innamorarsi, ma con giudizio, veh! tanto da non perderci la testa...
Addio.»
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