-30-
La giornata era stata calda e
burrascosa, ma la sera era incantevole. La luna sorgeva dietro i monti, alcune bianche
nuvolette erano ancor disseminate pel cielo, il lago sembrava color d'acciaio,
solcato qua e là da bianche strisce luminose; di quando in quando, a lunghi
intervalli, un soffio di fresca brezza faceva stormire gli alberi e fiottare le
acque sommessamente.
La contessa Armandi avea passato
una di quelle giornate bisbetiche nelle quali avrebbe dato non so che cosa per
poter dire che aveva l'emicrania: s'era sentita stanca, inquieta, nervosa,
uggita; s'era aggirata pel salotto, si era guardata nello specchio, s'era messa
alla finestra, poi avea cominciato a leggere, avea buttato il libro da banda e
s'era appoggiata all'étagère, a guardare sbadigliando la lancetta
dell'orologio, ed era rimasta a guardarla mezz'ora senza accorgersene. Infine
aprì il pianoforte, e si mise a suonare, dapprima svogliatamente. Ad un tratto
udì gente al cancello; allora fece un movimento.
«Il marchese Alberti» annunziò il
domestico.
La contessa assentì del capo,
senza voltarsi, e continuò a suonare.
Alberto entrò, si accostò al piano,
e si mise dietro a lei; ella lo salutò con un cenno del capo, senza volger gli
occhi su di lui, animandosi contro una difficoltà di Schubert.
Infine smise bruscamente di
suonare, e si alzò.
«Che peccato!» esclamò Alberto.
«Continui, la prego!»
«No, mi annoia... Come sta?»
«Benissimo; ma ella non sta
bene.»
«Io? s'inganna. Com'è venuto?»
«In barca, dal lago. Ho sentito
la sua musica accostandomi alla villa, e avrei fatto meglio standomene ad
ascoltare laggiù...»
«Avrebbe fatto peggio, perché
m'annoiavo orribilmente. Le piace quel pezzo?»
«Moltissimo.»
«Lo suoni adunque.»
«Volentieri, se lo desidera.»
«Non per me!» diss'ella
voltandogli le spalle.
«Per chi, allora?»
«Ma... per coloro che sono sul
lago... pei pescatori.»
Alberto era rimasto immobile; indi
le si avvicinò e andò a sedere presso di lei, che s'era messa sul canapè,
scartabellando un libro nuovo.»
«Cos'ha?» le domandò piano, dopo
avere atteso inutilmente ch'ella levasse gli occhi.
«Nulla. Cosa mi trova? È stata
una brutta giornataccia, ecco tutto.»
«E son venuto in un brutto
momentaccio?»
«Al contrario, l'aspettavo.»
«Cosa legge?»
«Una sciocchezza» e buttò via il
libro: «suoni qualcosa, dunque!»
«Cosa desidera che suoni?
«Quel che vuole... Quell'Addio
di Schubert.»
«Ma se non le piace...»
Ella si strinse nelle spalle con
un movimento inimitabile. Alberti si mise al piano. L'Armandi s'appoggiò al
leggio, poi incominciò a leggere della musica, infine andò a riprendere il
libro che avea buttato via.
Alberti si volse, smise di
suonare, e stette alcuni minuti cogli occhi fissi su di lei, il gomito
appoggiato al pianoforte e la fronte sulla mano. Ad un tratto si alzò, e si
avvicinò al canapè.
«Avete finito?» domandò l'Armandi
levando gli occhi con sorpresa su di lui.
«Sì, non se n'era accorta?».
Ella sorrise, e chiuse il libro.
«Cosa fa a Bellagio? c'è molta
gente? si diverte? si annoia?»
«Sì» rispose Alberto
sbadatamente.
L'Armandi gli rivolse uno sguardo
fra il distratto e il penetrante, e si diede da fare per rassettare gli oggetti
che erano sulla tavola.
«La sera è bella?» domandò poscia
senza pensare a quel che diceva.
Ei volse gli occhi alla finestra
spalancata, che incorniciava il più bel chiaro di luna, e rispose:
«Bellissima.»
«È stato sul lago, oggi?»
«Son venuto in barca, gliel'ho
detto.»
Il discorso, privo d'alimento,
cadde del tutto. La contessa si guardava attorno, come cercando un pretesto per
rompere quel silenzio.
«Sul tavolino ci son dei sigari»
gli disse «fumi pure, siamo in campagna.»
«Grazie.»
«Mi racconti che c'è di nuovo?
Cosa si dice da quelle parti?»
«Si dice che i bigatti vanno
benone.»
«Ah! Avremo della seta a buon
mercato dunque?»
«Certamente!»
«Che fortuna!»
Improvvisamente l'uscio s'aprì,
ed entrò correndo una graziosa bambina di quasi cinque anni, che andò a
buttarsi nelle braccia della contessa.
«Adagio, cara!» esclamò la madre
baciandola. «Cosa dirà il signore di una bimba che entra così all'impazzata?»
La bambina si volse a guardare il
signore coi grandi occhi timidi e curiosi. Alberto le disse cingendola colle
braccia:
«Mi permette che le dia un bel
bacio, signorina?»
La bambina seria seria acconsenti
col capo, e sporse la guancia rosea.
«Com'è bella, e come le
somiglia!» disse Alberto baciandola.
La contessa suonò un po'
vivamente, e consegnò la figlia alla governante.
«Perché rimandarla?...» domandò
Alberto, sorpreso da quel brusco congedo.
«È tardi per lei, sono quasi le
dieci» rispose ella secco secco.
Alberti si alzò.
«Ma io non sono una ragazzina!» disse
ridendo la contessa, e ritirò la mano che egli le stringeva per andarsene.
«Son venuto in un cattivo momento
davvero!»
«No.»
«Non la disturbo?»
«Parli, taccia, legga, suoni, ma
non mi lasci sola con la mia noia, ché sarei capace di buttarmi nel lago»
diss'ella col medesimo sorriso.
«Tanto meglio!»
L'Armandi gli rivolse una tacita
interrogazione, e si appoggiò alla spalliera del canapè, contemplando i disegni
della ventola.
Successe un lungo silenzio.
«E la sua ballerina?» domandò
quasi sbadatamente.
«Sta benissimo» rispose Alberti
senza levare gli occhi dall'album.
E tacquero nuovamente.
Tutt'a un tratto Alberti le
piantò gli occhi in viso e domandò:
«Perché mi domanda della mia
ballerina?»
«Così... per parlare di qualche
cosa...»
Ei chiuse l'album, si alzò, andò
a vedere l'ora che segnava l'orologio, e tornò a sedersi senza aprir bocca.
La contessa l'avea seguito collo
sguardo, e s'era fatta pensierosa. Alla sua volta gli piantò gli occhi in
faccia anche lei, e gli disse:
«Perché le rincresce che le parli
della sua ballerina?»
«Non mi rincresce» rispose
Alberti un po' bruscamente.
«Ho bisogno di rammentarle i
nostri patti?» riprese l'Armandi dopo una lieve esitazione. «Non siamo più
amici come prima? Non ho più il diritto d'interessarmi a lei? di darle dei
consigli all'occorrenza? Ella è giovane e pieno di cuore - troppo, forse. - Non
le ho detto che quella ragazza le conviene, giacché non è pericolosa per la sua
immaginazione?»
«Grazie.»
Successe un lungo silenzio.
«M'ascolti» riprese infine la
contessa, mentre Alberti stava a capo chino. «Le ho parlato sempre con tanta
schiettezza, che non le ho lasciato nemmeno il diritto di essere ingiusto. Sa
che non l'amo, e che non l'amerò giammai, ma che le voglio un gran bene - in un
altro modo - e che la sua amicizia mi è carissima. Però il giorno in cui ella
mi amerà sarà un gran male, ci pensi! Se avrò un amante lo dirò a lei per primo
- nient'altro - per provarle la schiettezza dei miei sentimenti, e costringerla
a rimanere quello che desidero ch'ella sia per me. Le basta? Potrà promettermi
di mantenere sempre dentro cotesti limiti le nostre relazioni? Ella è un uomo
d'onore - parta o rimanga.»
Alberto rimase alcuni istanti
silenzioso. Poscia rispose:
«Ha ragione.»
La contessa gli strinse la mano.
«Stasera sono stata bisbetica, e
forse anche cattiva» riprese gaiamente. «È affar di nervi; mi perdoni, amico
mio. Vuole che le suoni qualche pezzo per ricompensarlo della noia?»
«Sì» rispose egli distratto.
L'Armandi si mise al piano, e suonò
lungamente senza interrompersi. Alberti sembrava ascoltasse attentamente,
silenziosamente, e quand'ella si alzò, un po' stanca, non aprì nemmen bocca per
ringraziarla.
Lei, seduta nell'angolo più
oscuro, taceva da un pezzo; il silenzio era profondo; di tanto in tanto un
soffio di brezza spingeva verso l'interno del salotto le tende del balcone e il
profumo dei fiori ch'erano sulla terrazza; dalla finestra aperta vedevasi la
superficie del lago incresparsi in strisce argentee.
Infine la contessa si alzò senza
dire una parola e andò lentamente sulla terrazza. Alberti la seguì. Si
appoggiarono alla balaustrata, guardando il lago. Non si vedeva un lume;
mezzanotte suonava lontano.
«Diggià!» mormorò l'Armandi.
Alberto prese il cappello per
andarsene. Ella rispose appena al suo saluto, e non si volse nemmeno per
vederlo partire. Udì vagamente chiudersi l'uscio del vestibolo, e poco dopo i
passi di lui nel viale.
«La sua barca è laggiù?» domandò
all'improvviso e con vivacità dall'alto della terrazza.
«Sì.»
«Sa remare?»
«Credo di sì.»
«Rimandi il barcaiuolo, e
m'aspetti.»
Dopo pochi momenti egli se la
vide comparire dinanzi infilandosi i guanti, con un velo sul capo, il viso
bianco e serio, gli occhi luccicanti.
«Sa proprio remare?» replicò
brevemente e senza volgere gli occhi su di lui.
«Sì, sì.»
Ella saltò nella barca senza
aggiungere altro, e sedette a poppa.
La barchetta scivolò sulle acque
tranquille, e allorché furono molto lontani dalla sponda Alberto lasciò i remi.
La contessa guardava in silenzio la striscia luminosa che fuggiva dinanzi a
loro sulla superficie bruna del lago, e l'acqua che s'increspava scintillante
intorno ai remi. Stava mezzo sdraiata sui cuscini, tenendo il capo un po'
arrovesciato indietro sul tappeto che sfiorava le acque, e guardando in alto;
di tanto in tanto saettava uno sguardo su di Alberto, che teneva gli occhi
rivolti altrove, e non diceva motto. Il silenzio aveva un fascino voluttuoso;
quella pallida luce sembrava versare onde di non so qual nebbia seduttrice,
un'ora suonava. La donna rivolse indolentemente il capo verso il luogo dove
echeggiavano ancora gli ultimi rintocchi e tutt'a un tratto, fissando in volto
ad Alberto gli occhi luccicanti, e bruscamente, ridendo quasi ironica, gli
disse:
«Marchese Alberti, se in questo
momento ci fosse anche in voi il conte Armandi, e se una metà del vostro
individuo giurasse all'altra metà di non essere l'amante di vostra moglie, lo
credereste?»
Alberto rimase sbalordito. Poi si
rizzò di botto, e le disse con voce tremante e soffocata:
«Perché vi trastullate col mio
cuore come con un cencio?»
Ella s'era alzata anche lei; si
teneva ritta sulla poppa, leggermente pallida, cogli sguardi smarriti, le
labbra smorte e sorridenti.
«No, Alberto!... Dico per
ischerzo...» rispose con uno scoppiettìo convulso.
Ei le afferrò le mani
«Aspettate!» diss'ella seria,
risoluta, e con voce concitata. «Giuratemi che non è un capriccio il vostro!»
«Oh!...»
Il brusco movimento di lui
minacciò di far rovesciare la barchetta. La contessa vacillò, mise un piccolo
grido.
«Non cominciamo dalla fine!»
disse.
I primi chiarori dell'alba
imbiancavano il cielo quando la barca toccò la sponda. La luna era smorta, il
lago sembrava più scuro; la contessa era pallida, pensosa, sembrava pentita.
Saltò vivamente sulla riva per non toccare la mano che il giovane le offriva;
spinse la barchetta bruscamente col suo stivalino, e s'incamminò a passo lento
verso il cancello, guardando con occhi distratti il lume che ardeva ancora nel
salotto.
«Addio» gli disse con voce
incerta, senza guardarlo, a capo chino.
|