-35-
Il conte Armandi era un uomo
politico, gentiluomo sino alla punta delle unghie, dignitoso, serio, freddo, ed
uomo di mondo: avea la riputazione d'aver corso la cavallina in gioventù, la
qual cosa gli avea lasciato una elegante piacevolezza di maniere ed una lieve
tendenza all'epicureismo che gli andava come un guanto. Ei stava a Torino
durante le sessioni parlamentari, e il resto dell'anno viaggiava, e andava ai
bagni, dove riunivasi la chiesuola de' suoi amici politici.
Quando Alberti entrò nel salotto
la contessa non c'era; ma il marito accolse il nuovo invitato come una vecchia
conoscenza, e gli parlò del fu marchese, ch'era stato suo amico, e della
marchesa, ch'era detta a Milano la bella toscana. La contessa si fece un
poco aspettare, sicché fu quasi il conte che dovette presentare Alberto alla
moglie.
«Mia cara Emilia, vi son grato
d'avermi fatto riannodare una vecchia conoscenza di famiglia.»
«Finalmente!» diss'ella ad
Alberto stendendogli la mano.
Come furono riuniti i tre o
quattro amici che desinavano in casa Armandi, la contessa prese il braccio
dell'ultimo venuto, il colonnello Marteni, e passò nella sala da pranzo.
Alberto sedette accanto alla signora Rigalli, che stavolta era venuta davvero.
Il colonnello Marteni, dei
carabinieri piemontesi, era un bellissimo uomo, con una larga cicatrice che gli
attraversava mezza la fronte, e con due nastri turchini all'occhiello del suo
abito da borghese; egli era amico personale del conte Armandi, che l'aveva
indotto a venire a passare il suo mese di permesso sul lago di Como. Il
colonnello faceva galantemente onore alla tavola, ai suoi ospiti, e alla sua
dama, con galanteria un po' soldatesca. Le signore andavano matte per quel bel
militare che s'era acquistato a Custoza ed a Goito i suoi nastri e la sua
cicatrice, e ne parlavano tanto che il Marteni, da uomo di spirito, avea
cercato due o tre volte di cambiar discorso, ed infine s'era salvato colla
contessa, andando a prendere il caffè nel salotto.
La contessa in tutta la sera non
avea rivolto che pochissime volte gli sguardi e la parola ad Alberti. I
commensali avevano seguito in sala la prima coppia e s'erano fermati in diversi
gruppi. Alberto era andato sulla terrazza; il conte Armandi discorreva con
altri due presso il camino; la signora Rigalli assediava il suo militare sul
canapè; la contessa era accanto alla tavola: dopo alcuni minuti di quelle ciarle
scucite che avviano la conversazione, volse attorno una rapida occhiata, versò
del caffè in una chicchera, e andò difilata verso la terrazza. Alberto stava
colle spalle appoggiate alla balaustrata, e vedendo comparir l'Armandi nel vano
luminoso del balcone, si rizzò di soprassalto; ella gli afferrò la mano e gli
disse sottovoce, rapidamente, con accento intraducibile:
«Vi ringrazio. Adesso non v'è
cosa che non farei per voi.»
Ei le afferrò la mano, fissandola.
- Così rimasero alcuni istanti zitti e palpitanti.
«Lo sapete che mio marito mi
ucciderebbe?... Volete che mi faccia uccidere? Volete che mi perda per voi?»
diss'ella sorridente. «Volete?»
In quel momento il conte avea
finito di discorrere col suo interlocutore, e avvicinavasi alla terrazza.
Scostò la tenda, si fermò un po' sulla soglia per abituare i suoi occhi alle
tenebre, e scambiò qualche parola con Alberti. La contessa rientrò centellando
tranquillamente il suo caffè, col più spensierato sorriso in viso. Passando
vicino alla signora. Rigalli e al Marteni, disse ridendo:
«Schiettamente, cara Virginia,
vorreste essere un uomo celebre, glorioso, decorato?»
«Ma... se non fossi quel che
sono... vorrei esserlo!»
«Idee false, amica mia, una delle
tante ingiustizie sociali! Non c'è che una donna capace di far quello che il
colonnello non oserebbe di fare, nemmeno colla speranza di una terza medaglia,
per...»
Sedette sulla poltrona favorita,
appoggiando il capo alla spalliera, e bevendo il caffè con una specie di
voluttà, d'orgoglio e di trionfo.
«Per che cosa?» domandò il
Marteni.
«Per una cosa da nulla, per un
capriccio... per una tazza di caffè...» rispose l'Armandi con uno scoppio di
risa. «Prenda la mia ch'è vuota, Marteni.»
Gli invitati se n'erano andati a
poco a poco. Alberti era rimasto a discorrere coll'Armandi presso l'uscio.
«Verrà domani?» gli domandò la
contessa, cogliendo giusto quel momento. «Venga alle quattro. Ci ho della
musica nuova.»
|