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Dopo vent'anni che non s'erano
più visti Alberto e sua cugina s'incontrarono a Firenze, spinti dal turbine
della fatalità.
Era il primo giorno delle corse.
Le Cascine brulicavano di spettatori; il cielo era azzurro, il sole
frastagliavasi fra i rami; i veli, le ciarpe, le piume svolazzavano; il prato
stendevasi come un'immensa tavola di bigliardo, screziato dai vivi colori dei
fantini che caracollavano; i cavalli nitrivano, si udivano gai accenti in tutti
i dialetti d'Italia, si vedevano dei fiori dappertutto, ai cappelli, sui
vestiti, nelle carrozze, alle testiere dei cavalli - c'era un profumo di
giovinezza, di festa, e di primavera che inebbriava.
Adele era a cavallo presso la calèche
di una sua amica di Viareggio, la Rigalli, e rispondeva al saluto delle sue
numerose conoscenze inchinando graziosamente il capo; mentre discorreva passava
il guanto sulla criniera della sua cavalla; così com'era, col suo amazzone
nero, e nel suo grazioso atteggiamento, era assai leggiadra; la calèche era
ovattata, riboccante di fiori, coi jockey ricamati e incipriati,
immobili come statue, i cavalli irrequieti, dall'occhio e dal garretto teso.
Una folla di curiosi s'era fermata vicino a quel bel gruppo.
«Oh, chi vedo!» esclamò tutt'a un
tratto la signora Rigalli «non è il marchese Alberti quel laggiù, che ci arriva
dall'India a cavallo del suo baio?»
Adele si volse di soprassalto, e
divenne bianca come il suo colletto di tela.
Alberti si avanzava al passo. Il
cavallo era impaziente, colle narici rosse, sbuffava, mordeva il freno bianco
di schiuma, e lo scuoteva con bruschi movimenti. Il cavaliere era calmo, serio,
freddo, e avea la mano di ferro; volgeva gli occhi sulla folla sbadatamente,
col sigaro in bocca, e avea l'occhio smorto, il pallore cadaverico, e
l'impassibilità quasi fosca. Guardava quella festa come un defunto avrebbe
potuto guardarla dalla tomba. Passando vicino alla calèche volse gli
occhi a caso, la Rigalli lo chiamò col più grazioso sorriso, ed ei si trovò a
faccia a faccia con Adele. Una fiamma rapida come un lampo passò per la prima
volta dopo tanti anni su quelle pallide guance. Intanto la Rigalli diceva
all'Adele:
«Mi permette che le presenti il
marchese Alberti?»
«Vuol presentarmi mio cugino?»
rispose Adele, ch'era divenuta calma e sorridente con un supremo sforzo di
volontà e stese ad Alberto il pomo del frustino attraverso la calèche, come
se gli stendesse la mano.
«È proprio un cugino d'America
dunque!»
«Son quelli i benvenuti. Da dove
ci piovete, cugino?»
«Da Calcutta.»
«Son più di dieci anni che non lo
si vede più! Cosa avete fatto tutto questo tempo?»
«L'ho passato in ferrovia e in
vapore, cugina mia.»
«Vi siete divertito?»
«Ma... assai.»
La calèche si mosse al
piccolo trotto; la signora Rigalli si fece promettere una visita dal marchese,
e i due cugini si trovarono accanto, in mezzo al gran viale.
«Volete permettermi di
accompagnarvi, cugina?» disse Alberto.
«Volentieri.»
Ei voltò le briglie, e si mise al
passo, accanto a lei, seguiti dal groom di Adele a distanza.
«Come trovate Firenze?» domandò
lei.
«Più bella che mai.»
«Vi fermerete parecchio?»
«Non lo so io stesso.»
«Raccontatemi qualche cosa dei
vostri viaggi.»
«Cosa volete che vi racconti?»
«Ma... quel che avete visto.»
«Ho visto, su per giù, delle vie
Calzaiuoli, degli Arni, e delle colline di San Miniato dappertutto, in grande,
in piccolo, e in microscopico; e dei fiorentini gialli, rossi, e neri, che
dicono giuraddio un po' diversamente di noi altri.»
«E le donne?» domandò ridendo
Adele.
«E le donne... quali le hanno
fatte gli uomini.»
«Non so se devo ringraziarvi del
complimento, cugino.»
«Ringraziatemene, cugina, ché me
lo merito.»
Adele salutò una bella giovinetta
che passava in phaéton al fianco di un signore elegante. «Conoscete
quella signora?» gli domandò.
«No.»
«È Cecilia, la figliuola del
conte Armandi, adesso maritata Livoretti.»
Sul viso di Alberto passò una
nube rapidissima.
«Sono un uomo dell'altro mondo, cugina
mia, abbiate la bontà di mettermi al corrente. E della contessa cosa mi dite?»
«È sul lago di Como da due anni a
piangere la morte del marito.»
«Oh!... E della principessa
Metelliani?»
« È a Roma, presidentessa di non
so qual Congregazione di Carità... Vi sorprende?»
«No.»
Fecero un centinaio di passi
senza dir altro.
«Sapete che ci rivediamo in un
modo singolare?» disse Alberti tutt'a un tratto.
«Singolare o no, son lieta di
vedervi.»
Ei la fissò di un lungo sguardo,
e poscia:
«Avete molto spirito!»
Ella chinò lievemente il capo.
«Cugina mia» domandò Alberti
all'improvviso «che cosa direste se vi facessi la corte?»
«La direi la cosa più naturale di
questo mondo.»
«Dopo quel ch'è stato fra di
noi?»
«Appunto per quello.»
La sua cavalla fece uno sbalzo, e
s'inarcò tutta fremente sotto la mano ferma dell'amazzone.
«Siete forte!» le disse Alberto.
«Cora è docile» rispose lei
accarezzandola sul collo.
Tacquero. Andavano al piccolo
trotto per uno dei viali al di là del piazzone. Il sole, che tramontava come un
gran disco infuocato, lo inondava per tutta la sua lunghezza di pulviscoli
dorati. Alcune nuvole un po' alte sull'orizzonte disegnavansi come larghi
sprazzi di porpora e d'oro.
«Che bel tramonto!» disse Adele
per rompere quel silenzio.
Alberto levò il capo, e soggiunse
sbadatamente:
«Par d'essere a Belmonte.»
«Avete buona memoria, cugino!»
disse Adele con singolare sorriso. Alberti volle rispondere a quel sorriso.
«È la memoria del cuore, cugina
mia.»
«Comincereste a farmi la corte?»
«Non avete detto che sarebbe la
cosa più naturale?»
«Cugino mio, cosa pensereste di
me se vi permettessi d farmela?» domandò Adele alla sua volta, seria seria
«Avete ragione» rispose Alberto
brevemente.
I viali cominciavano a velarsi d'ombra.
Ella guardò di Sottecchi quell'uomo singolare.
«Siete stata felice qualche
volta?» domandò Alberti come rispondendo ad una lunga meditazione.
«...Sì» disse Adele dopo una
lieve esitazione. «Per quanto si può esserlo... E voi?»
«Io mi son divertito» rispose lui
con accento glaciale.
Discorrevano a sbalzi, con lunghe
interruzioni, come rispondendo ai pensieri che andavano svolgendosi per la loro
singolare situazione. Il marchese di tanto in tanto gettava un lungo sguardo
sulla cugina, che cavalcava calma e sicura.
«Non serbate rancore, cugina?»
domandò alfine.
«No.»
«Che peccato!»
«E voi, cugino?»
«Io non credo averne il diritto
in nessun caso... poiché nessuno ha torto a questo mondo!»
«Teoria comoda!»
Ei si rizzò sulle staffe con
fredda ed altera serietà:
«Cugina mia, quando m'avete detto
che non potevate permettermi di farvi la corte, io vi ho dato ragione!»
C'era tal tranquilla amarezza,
tale accento di convinzione nel suo scetticismo, che il seno di Adele
gonfiavasi violentemente di tanto in tanto. Egli respirava con forza, a lunghi
intervalli. Cavalcavano in silenzio e a capo chino.
«Vi ringrazio per quest'ora che
non avevo più provato da vent'anni» disse alfine con voce sorda quell'uomo il
quale non si commoveva più.
Ella alzò il capo sgomenta quasi
cercando da dove venisse quella voce che la faceva trasalire.
«Torniamo indietro!» disse
brevemente.
Oltrepassarono il groom che
s'era fermato anch'esso, e lo lasciarono molto indietro. Nessuno di loro due
osò rompere per qualche tempo il silenzio che seguì. Il passo dei cavalli era
sonoro; la luna incominciava a sorgere e ad insinuarsi fra gli alberi,
strisciando sul bianco viale; a poco a poco i cavalli s'erano accostati e
andavano fiutandosi. Alberto prese la mano della cugina, che le cadeva lungo il
vestito.
«Lasciatemi...» diss'ella
dolcemente.
«Perdonatemi!» rispose Alberto
con voce sorda. «È la vostra ora!»
«Lasciatemi» ripeté Adele con
tanta maggior vivacità per quanto sentivasi divenir più debole. «Ora è troppo
tardi.»
«Vostro marito?»
«Chi?» diss'ella con voce che lo
fece trasalire.
«Gemmati!...»
Ella tirò bruscamente le redini,
e si rizzò sulla sella, pallida, immobile, con occhi scintillanti.
«Io mi chiamo ancora Adele
Forlani!» esclamò con voce estinta, ma colla fronte alta.
Il marchese ammutolì.
«Mi credevate maritata?» riprese
ella dopo alcuni istanti. «E parlavate in tal modo alla moglie del vostro
migliore amico!...»
Ei non rispose.
«Come siete divenuto, Alberto!»
esclamò essa celandosi il viso fra le mani.
«Vi faccio orrore?»
«No... mi fate pietà»
Andavano rasentando gli alberi
per non starsi vicini.
«Quanto avete dovuto soffrire per
essere così cambiato!» diss'ella alfine.
«Lo credete?» mormorò Alberti con
un strano sorriso.
«Sì! Tutte le sante credenze che
c'erano nel vostro cuore non si sbarbicano senza dolore. Quando mi avete
abbandonata per Velleda, quando vi siete invaghito dell'Armandi, quando avete
fatto piangere e avete pianto, c'era ancora qualche cosa in voi. Adesso non ci
avete più nulla. I vostri occhi asciutti mi fanno paura!»
«E voi?» diss'egli con voce che
sembrava uscire di sotterra «credete ancora a qualche cosa?»
«Credo a ciò che fa battere il
mio cuore.»
Egli sorrise. «Ciecamente?»
«Non posso dubitare di quel che
sento.»
«Io vi ho ingannata a vent'anni!»
«Io sono stata per morirne. Come
volete che potessi dubitare del sentimento che mi faceva tanto soffrire?»
Alberti non rispose
immediatamente. Poi le piantò gli occhi in viso e domandò:
«Voi siete bella, giovane e
ricca; come va che non vi siete maritata?»
«Ho sempre rifiutato.»
«Per chi?»
«Per voi.»
«Mi amavate?»
«Sì.»
«Anche dopo?»
«Sì.»
Ei rimase pensieroso.
«Cugina mia» disse ad un tratto,
con tutt'altro accento e con satanica disinvoltura «io non ho più capelli, né
illusioni; ho quarant'anni e trenta mila franchi di debiti.»
Dapprima Adele rimase come
fulminata, cogli occhi sbarrati, quasi ad afferrare il senso di quelle parole
che non poteva capire. Tutt'a un tratto si fece rossa come se Alberto l'avesse
percossa in viso col frustino.
«Ah!» gridò, «Ah!»
E fuggì di carriera
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