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Il matrimonio fu celebrato in
ottobre. Alberti si prestò a quelle pratiche che esigevano gli usi e le
convenienze con perfetta compiacenza. In questa occasione molti suoi
conoscenti, che non sapevano più nulla di lui, lo rividero. Ei piegava il capo
con una tinta di galanteria a tutto quello che Adele trovava necessario, o
semplicemente conveniente - fossero anche stati dei pregiudizi - la schiettezza
delle convinzioni di lei glieli rendevano rispettabili, ci credesse o no. Adele,
al contrario, mettevaci il giulivo entusiasmo di chi è felice - un tal
riverbero del suo affetto vergine e schietto; amava il cugino francamente,
senza reticenze, senza dubbi, a cuore aperto, abbandonandogli con spensierata
generosità tutti i tesori che per lui avea accumulato in segreto nel suo cuore.
Alberto fece tutto quello che fanno gli altri, colla massima semplicità, senza
esitazione. Andò in chiesa, serio e rispettoso, almeno al vedere, e allorché
Adele gli mise la mano nella sua, e udì che si univa a lui per sempre con un
fil di voce, e la vide dolcemente commossa, anche quell'uomo si turbò alquanto,
e con lieve tremito strinse nella sua la mano che tremava.
Dopo la cerimonia religiosa
partirono per Belmonte.
Il marchese avea preso un coupé
riservato sino a Pistoia, e allorché furono in vagone, e Adele si fu assisa,
chiuse i vetri della parte dov'era lei, tirò le tendine, le mise il plaid sotto
i piedi, le rese con delicatezza paterna tutte quelle piccole cure, poi le si
assise di faccia, le prese le mani, e le disse dolcemente, sorridendo con certa
solennità:
«Vi saluto, marchesa Alberti.»
Era commossa anche lei, ed un po'
turbata, guardava fuori lo sportello pudibonda del suo imbarazzo, e si lasciava
stringere le mani con un abbandono affettuoso.
Aveva un bel vestito grigio, un
cappellino di paglia, dei lunghi guanti di Svezia, ed il suo viso delicato
sembrava più pallido attraverso il velo azzurro. Pareva che Alberto non potesse
saziarsi di contemplare quella donna leggiadra che ormai gli apparteneva -
ella, senza vederlo, sentiva quello sguardo, e ne era tutta penetrata. Ad un
certo punto, sempre col viso allo sportello, posò una mano su quelle di lui.
«Non vi faccio paura?» le chiese
Alberto dolcemente.
Ella raccolse le sue vesti, andò
a sedere a fianco di lui, e senza rispondergli direttamente si misero a
discorrere di mille argomenti comuni, di ricordi, che per loro avevano
significati reconditi, e racchiudevano non so quali misteriose attrattive. Ei
parlava poco, e l'ascoltava intento, con una certa avidità, come se stesse
analizzando minutamente, con affetto gli avvolgimenti di quelle trecce,
l'alitare di quel velo, le balze di quel vestito, le trine di quei polsini, i
rossori improvvisi e irragionevoli che salivano al viso di lei, e che egli
sentivasi dolcemente scorrere nelle vene. Ad un tratto:
«Vorrei tornare ai miei
vent'anni!» disse collo sguardo fiso nel vuoto.
La locomotiva fermavasi
sbuffante.
«Diggià!» esclamò lei.
«No, siamo a Prato.»
«Oh!... lasciami vedere!»
E si misero l'uno accanto
all'altro presso lo sportello a guardar la campagna - ei con un sentimento che
non avea provato da lungo tempo. Tutto ciò che vedevasi era verde ed azzurro.
Adele, colle mani appoggiate alla manopola, gli diceva sommessamente qualche
parola insignificante, come se stesse a parlargli di un gran segreto. Il nastro
del suo cappellino svolazzava di tanto in tanto sul viso ad Alberto. Sembrava
che i polmoni di lui si dilatassero avidamente, onde abbeverarsi di tutte
quelle vergini sensazioni che gli erano quasi sconosciute. «Non vi faccio
paura... proprio?» domandò quasi timidamente e a voce bassa. Adele cercò di
nascosto la mano di lui, e la strinse a lungo, mentre il conduttore verificava
i biglietti. Anche quel non so che di furtivo che vi era in tanta schiettezza
faceva una potente impressione su di Alberto. Ei le prese le mani, serio serio,
e guardandola negli occhi:
«Adele mia, quel prete m'ha
stregato.»
Adele s'era fatta seria
anch'essa.
«Stregato o no, son contento, e
non saprei spiegarti il sentimento che mi lega a te. Non è solo amore il mio:
sembrami che tu faccia parte di me, della mia casa, del mio nome. Tu sei la
continuazione di mia madre, e mi è dolce chiamarti col suo nome. Ho amato in
tutti i modi, ma non ho provato mai nulla di ciò che provo adesso. Sembrami che
noi ci apparteniamo per qualche cosa che è in noi e al di fuori di noi - il
mondo, la legge, gli uomini, Dio, che so?... Se mai avessi a dubitare di quel
che sento adesso, vorrei morire.»
A poco a poco le era caduto ai
piedi, e parlava con tale accento di calma e salda convinzione, che le lagrime
spuntarono nell'orbita di Adele. Ella piegossi dolcemente verso di lui, gli
cinse il collo delle sue braccia, e reclinò mollemente il capo sul capo di
Alberto.
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