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Giovanni Verga
Eros

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La contessa Armandi era ritornata a Firenze sin dal principio dell'inverno, e per consiglio dei medici, per obbligo di condizione, per svago, per far piacere alla figliuola, avea dovuto ricominciar a veder gente, e a farsi vedere. Così non tardò molto ad incontrare Alberti. La contessa era sempre una donna di spirito, e non avea pensato a rimettere al pari dei denti, gli artigli che le erano cascati. Ella abbracciò Adele come la sua migliore amica, vide Alberti come se si fossero lasciati il giorno innanzi - e gli disse anche:

«Ci vuole un bel coraggio per dirle che son proprio l'Armandi di vent'anni fa, non è vero? Gli amici che invecchiano lontano non dovrebbero rivedersi giammai. Anche lei è cambiato, sa

«E tu hai amato quella donna.» gli disse Adele fra motteggevole ed imbronciata, allorché furono a casa, ritti dinanzi allo specchio del camino - ei ci si era guardato a lungo per la prima volta. Ci aveva pensato anche lui, ed era un po' lunatico quella sera; Adele aveva tentato dissipar la tenne nube. Egli sorrise dolcemente, ancora pensoso e le disse:

«Chissà se fra qualche anno non penserai la stessa cosa di me?»

«Cattivo! oh, cattivoesclamò con impeto la moglie buttandoglisi al collo. Quelle due parole dell'Armandi avevano però gettato un gran turbamento nel cuore di Alberto. Tutte le follìe del passato gli sfilavano dinanzi, ironiche, motteggiatrici, assurde, ridicole; prendevano la fisonomia di quella amante, già appassita, e coi capelli grigi; ei fu costretto a domandarsi quali sarebbero stati adesso i suoi sentimenti se l'Armandi, invece di lasciarlo come un guanto rotto in un viale del Valentino, avesse sempre continuato ad amarlo; se la gratitudine, il dovere, l'onore, lo legassero ancora a quella donna! Tutto quello che aveva sentito per lei se ne sarebbe dunque andato con gli anni e colla bellezza, poiché non sarebbe rimasto altro legame che il dovere, o peggio l'abitudine. Allora avea gettato gli occhi sullo specchio, e il suo pensiero era corso di lancio ad Adele. Anch'egli era cambiato, molto cambiato! Quel dubbio, quella timidità quell'inquietudine che agitavasi confusamente in lui da un pezzo, l'Armandi l'avea formulato nettamente colle sue parole e coi suoi capelli grigi; si sentiva più cambiato dentro di sé che all'esteriore; la stanchezza fisica influiva sulla prostrazione morale; tutti i suoi sentimenti avevano alcun che di fiacco, d'incerto, di sfiduciato, all'infuori di quel solo che qualche volta era un tormento - e Adele era ancora piena di giovinezza e di beltà! - Il suo fatale spirito d'analisti lo spingeva a tristi deduzioni; sembravagli che il nuovo sentimento il quale riempiva tutto il suo cuore fosse un effetto di quella medesima stanchezza fisica e morale, fosse quel bisogno di ritemprarsi che c'è nell'umana natura. Il suo amore era dunque l'egoismo del cuore, che invecchiando s'attacca a qualche cosa! Ma Adele che era giovane e ricca d'affetto?... tutto quello che aveva attratto o suscitato gli ardori della giovinezza di lui non doveva attrarre o suscitare adesso quelli di lei, sedurla, farle comprendere a qual uomo avesse ella legato la sua giovinezza? Avrebbe rinunziato a lei piuttosto che sapersela legata da un sentimento qualsiasi che non fosse stato puro amore. Il suo affetto per la moglie diveniva più intenso, meno espansivo, assai più timido e ombroso.

Adele si avvedeva qualche volta di ciò che passava pel capo del marito come una nube tempestosa. Indovinava il turbamento che sconvolgeva di tratto in tratto quell'anima, e non sapeva a che attribuirlo. Anch'essa divenne inquieta, timorosa e alquanto schiva alle volte. Temeva che gli spiriti irrequieti del marito si risvegliassero, e che egli stesso, combattendosi per debito d'onest'uomo, non potesse fare a meno di rimpiangere segretamente la libertà perduta, e la vita avventurosa di una volta. Anch'ella perciò era divenuta un po' melanconica, e qualche volta anche dispettosa. Avrebbe voluto mettere la sordina alle memorie che turbavano la mente del marito, come poteva mettergli le mani sugli occhi se voleva, per impedirgli di vedere le belle donne delle quali era gelosa - e poi per una tal superbietta di donna, ed anche per ambizioncella di moglie, avrebbe voluto scaricare su qualcuno, un caro qualcuno di da venire, la responsabilità di quella missione. «Se avessimo un bimbo!» gli diceva sottovoce, e celandogli in seno il viso infuocato.

Ei chinava il capo e stava zitto; una volta rispose con quel sorriso tutto suo:

«Hai voluto tentare il cielo, lo vedi, Adele mia!»

In quel tempo Gemmati era ritornato a Firenze da un lungo viaggio scientifico, e Adele avea dato scherzando al marito quella notizia raccolta nelle conversazioni dove si facevano le lodi del giovane scienziato.

«Bisogna scappar via da Firenze adessodomandò ridendo.

«Bisogna invitarlo a pranzo domani, e farmi perdonare i torti che ho verso di lui.»

Gemmati avea perdonato quei torti, noti oppur no, con una di quelle strette di mano che armonizzavano col suo viso aperto e leale. Avea riveduto Adele senza finta semplicità, senza riserbatezza affettata. Dopo la prima stretta di mano, tutti tre sentirono che non avevano più nulla a nascondersi, nulla a rimproverarsi, e respirarono liberamente.

«Sai che sono stato geloso di te!» gli disse Alberto allorché furono soli un momento.

«Non sarebbe stata la prima volta» rispose Gemmati ridendo. «Ti rammenti della figliuola del barbiere a Prato? e adesso, alla fine dei conti, mi tocca d'esser geloso io di te! Sei feliceaggiunse vedendo rientrare la marchesa.

«Sì» rispose Alberto con una certa vivacità.

Gemmati avea mille cose da raccontare dei suoi viaggi, e il suo dire era pieno di brio e d'interesse. La sera trascorse come un lampo, in una dolce e tranquilla intimità, e fece venire nel discorso il ricordo delle più belle sere di Belmonte. Gemmati s'era fatto un bell'uomo, dai lineamenti energici e virili; sembrava avesse acquistato in una vita attiva ed operosa tutto quello che Alberti aveva sciupato nella sua molle e tempestosa. Il marchese l'avea forse contemplato con cotesto sentimento, mentre Gemmati discorreva con sua moglie, e quando se ne fu andato, Adele disse:

«È sempre giovane, n'è vero, Alberto

La salute della marchesa Alberti era sempre delicata, in estate i medici le prescrivevano di fuggire Firenze. Ella soleva andare a Montecatini, a Viareggio, o a Livorno.

Quell'anno fu scelto Livorno.

«Vieni anche tu?» aveva domandato Alberto a Gemmati.

«Non posso. Ho speso tutto il mio poco avere nei viaggi, e adesso bisogna che metta giudizio. Comincio a farmi una discreta clientela. Sai come siamo noi altri medici, specialmente in principio di carriera? Non potrei lasciar Firenze per una settimana, senza mandare a monte quel che ho fatto sinora.»

Livorno quell'anno era una stazione alla moda. Gli alberghi e le ville rigurgitavano di forestieri. Giammai l'Ardenza e i Cavalleggeri erano stati più affollati di equipaggi eleganti. Il giorno stesso che la marchesa Alberti prendeva stanza nell'appartamento fissato preventivamente per telegrafo all'albergo della Gran Brettagna, giungeva da Berna nell'albergo istesso una di quelle coppie di zingari del gran mondo che scorazzavano per tutte le stazioni d'Europa segnate dalla moda - il principe e la principessa Metelliani.

La principessa era abituata ad arrivar da per tutto come una regina, ed a stendere senza contrasto il suo ventaglio come uno scettro. Ella fu dunque ferita nel più vivo dell'amor proprio incontrando a Livorno una rivale preferita, incensata, corteggiata più di lei, e che per giunta non sembrava curarsi del suo trionfo, o godevaselo disinvoltamente, come cosa dovutale naturalmente - e chi poi? quella medesima donnina che ella aveva sempre eclissato col solo riflesso dei suoi biondi capelli! - quella figurina pallida, magra, tutta occhi, la quale non aveva cotesti occhi che per suo marito, e che tutti quegli imbecilli dell'Ardenza e dei Cavalleggieri adoravano da lontano come tanti Don Chisciotti. - Quel cencio stesso di marito glielo aveva lasciato lei, quando non avea saputo più che farsene. Se non si fosse trattato che di lui, ella avrebbe continuato ad essere la migliore amica di Adele, e del resto - a parte il principe, che nell'esistenza di Velleda non avea giammai contato altro che come principe - l'antico suo amante era davvero divenuto un cencio d'uomo. Ma adesso gliene voleva anche perché quel tal marito cencio o no, che essa le aveva regalato, il quale l'avea tanto amata, lei, la bella Manfredini! che anch'essa avea forse amato - forse - si fosse consolato proprio con quella Adele! si fosse consolato talmente da non caderle ai piedi la prima volta che l'avea riveduta da Pancaldi! - lei, la superba beltà che portava una corona di principessa! Se Adele le avesse rubato quella corona, non le avrebbe fatto maggior dispetto. L'indispettiva anche l'indifferenza serena di quella rivale innamorata soltanto del marito - fierezza, noncuranza, civetteria che fossero, irritavano, ferivano, umiliavano il suo orgoglio, la sua vanità, la sua civetteria. Se ci avesse pensato, avrebbe voluto colpire quella rivale nel solo lato che mostrava vulnerabile, in quel tal cencio di marito che ella - la vinta d'oggi - le avea buttato fra i piedi come una limosina.

Del resto coteste due rivali appartenevano alla medesima società, erano state amiche, sapevano vivere abbastanza per non dar spettacolo dei loro intimi sentimenti ai curiosi, agli invidiosi, alla folla, e per stringersi la mano, sin dalla prima volta, col più grazioso sorriso. Velleda e Alberto s'incontrarono, si salutarono, si rivolsero la parola al modo stesso, colla medesima disinvoltura. Ella disse che avevano finito come avevano incominciato - e realmente non era malcontenta che avessero finito a quel modo.

Le due amiche e rivali dimoravano nello stesso albergo, al medesimo piano, uscio contro uscio, si vedevano sovente, s'incontravano tutti i giorni alla medesima passeggiata e agli stessi ritrovi. Una sera che da Pancaldi s'era organizzata in parecchi una gran cena, alla quale Adele aveva brillato più del solito, e la principessa era stata più del solito uggita, mentre l'allegra comitiva usciva in massa a fare una passeggiata al chiaro di luna, Velleda, senza saper come, s'era trovata l'ultima e vicina ad Alberti. Essa gli rivolse un'occhiata singolare, e quindi gli disse mettendoglisi risolutamente al lato:

«Alla fin fine... davvero... perché non mi dareste il braccio

E avevano incominciato a discorrere di questo o di quello; poi nel separarsi gli avea detto con quel medesimo tono:

«Vedete che noi si sta meglio in questo modo... che in quell'altro.»

E da quel giorno s'era messa a far la corte ad Alberto.

Alberto se n'era avvisto, e ne provava una segreta soddisfazione, un po' per istinto di vecchio leone che vuol provare ancora le zanne, ma principalmente per uno strano sentimento che riferivasi a sua moglie. Era geloso senza osare di confessarlo all'Adele e a sé stesso, e provava una singolare civetteria mascolina a far intravvedere alla moglie, e a provar a sé medesimo, che egli era sempre preferito a tutti quei ganimedi che gli davano uggia. Non gli dispiaceva anche che sua moglie temesse un pochino per lui, giacché egli temeva per lei, e voleva metterle ai piedi anche lui qualcosa, una di quelle preferenze che lusingano tanto l'amor proprio di una donna.

Adele avea cominciato ad accorgersi anch'essa del tiro che intendeva giocarle la Metelliani; ma rifuggiva dai lamenti, dalle osservazioni, dalle scene, per alterezza naturale, o per timore di quel marito che le imponeva soggezione, e s'era chiusa nella sua dignità di moglie con tal dispettuccio che sembrava disinvoltura.

Intanto le cose andavano perché la Metelliani le spingeva, perché Alberto, senza dare positivamente una mano, chiudeva gli occhi e lasciava andare - e lasciava andare anche per un falso timore di sembrare ridicolo se avesse fatto il puritano - e andavano infine perché Adele non faceva nulla perché non andassero.

Un giorno Alberti, arrivando un po' tardi allo stabilimento dei bagni, incontrò la principessa.

«Vostra moglie è » gli disse lei con una lieve tinta di motteggio, indicando sul mare una barchetta carica di ombrellini di paglia e di veli svolazzanti. «Volete che andiamo a raggiungerla

Il marchese rispose qualche parola a caso, e le sedette accanto. Dopo alcuni momenti le domandò perché non fosse andata anche lei.

«Potrei dirvi perché vi aspettavo, ma non voglio lusingarvi. Ho corso tanto sui piroscafi, che il mare mi fa uggia persin dalla barchetta. Anche voi avete molto viaggiato, so

E si misero a parlar di viaggi.

«Chi ce l'avrebbe detto che dovevamo correr tanto per riunirci... da Pancaldidiss'ella ridendo.

Gli aveva detto codesto in un certo modo, e con tale accento da ricordargli perfettamente il punto dal quale erano pur partiti per correre - e gliel'aveva fatto rivedere in cosifatta maniera, che Alberto era rimasto taciturno.

«Non promettevate di riescir così buon marito, davvero!» gli disse poco dopo con uno sbalzo capriccioso del pensiero.

Alberto rispose al complimento ironico con un ironico chinar di capo.

«Schiettamente... senz'ombra di lusinga... se avessi potuto prevederlo... non mi chiamerei forse Metelliani

«Vedete che qualche volta torna meglio non prevedere

«Marchesa Alberti è un bel nome anch'esso. E poi tutti vi chiamano il marito modello. Non ve l'abbiate a male: è una bellissima cosa essere innamorato della propria moglie.. È vero che siete innamorato di vostra moglie? Sapete che avrei quasi il diritto di essere gelosa io? Vediamo, Alberto, cosa direste se fossi gelosa di vostra moglie

Alberto si dibatteva ancora contro il fascino di lei.

«Vi direi che avete torto» rispose freddamente e alteramente.

Ella si levò da sedere. «Francamente, se non fossi quella che sono vorrei essere... M'accompagnate sino alla mia carrozza

Alberti s'inchinò, le porse il braccio, e s'avviarono. Dopo alcuni passi: «Verrete al ballo di staseradomandò la principessa.

«Non so

«Ci sarà anche la vostra Adele

«In tal caso verrò per accompagnarvi lei» rispose egli con calma, e senza mostrare di aver sentito la puntura.

«Andrete pure al concerto delle quattro? Lei non manca mai.»

«Essa sa che fuggo i concerti, e me ne dispenserà

La principessa rizzò il capo, e fissò gli occhi nel vuoto corrugando le ciglia.

«Sicché alle quattro sarete liberodomandò dopo un istante, con quel medesimo sorriso.

«Liberissimo

«Ho intenzione di fare una gita sino a Montenero» riprese ella con vivacità. «La giornata è freschissima. Volete venire con me alle quattro? Andremo a cavallo. Domandatene il permesso a vostra moglie. Volete che glielo domandi io?»

«Mia moglie sarà lietissima

Ella si fermò, gli lanciò uno sguardo, scosse i capelli ancora profumati dal bagno con un brusco movimento del capo, e con intonazione singolare:

«Davvero? Dunque verrete?»

«Ma sì.»

«Non avete paura

«Paura di che?»

«Ma... che so io?...»

E lo fissò in viso ridendo stranamente.

«Proprio? Non temete che... la fatalità... È singolare

«Io sono incredulo

«Ah! Venite dunque ad incontrarmi alle quattro ai Cavalleggieri

Egli s'inchinò senza rispondere.

«Proprio? Verrete?»

«Certo.»

«È che temevo... Scusate: non ce l'avete più con me?»

«Non ce l'ho avuta mai.»

«Mai?»

«Mai.»

«Arrivederci dunque.»

 




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