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Piovigginava, la campagna era
brulla, le ruote della carrozza s'affondavano nella via fangosa che i cavalli
salivano a fatica. Alberto guardava macchinalmente lo sgocciolar della pioggia
sui cristalli. Si udivano lenti i rintocchi dell'avemaria, e di tanto in tanto,
a seconda dello svoltare della strada, lo squillare acuto ed ora soffocato di
un campanello che sembrava inseguire Alberto da un pezzo.
«E così?» domandò aprendo lo
sportello bruscamente.
«I cavalli non ne possono più»
«Ammazzali!»
Ma come se il suono di quella
parola l'avesse colpito, gettò un'occhiata sulle povere bestie fumanti e
sgocciolanti di pioggia, e si ricacciò in fondo al legno.
I noti alberi che fiancheggiavano
la strada sfilavano lentamente attraverso gli sportelli, e lo salutarono
mestamente inclinando il capo con sommesso mormorìo. La carrozza oltrepassò il
cancello. Allora il marchese appoggiò il viso al cristallo per vedere una
fontana, che cadeva in rovina. La carrozza svoltò pel viale e si fermò.
«Diggià!» mormorò Alberto.
Nessuno era corso ad aprire lo
sportello. Egli balzò a terra. La villa sembrava disabitata, tutte le finestre
erano chiuse, i rami sfrondati e la pioggia cadeva lenta e monotona. Il
campanello che si era udito per l'erta tornò ad udirsi. Alberto bussò
risolutamente.
Un domestico sconosciuto venne ad
aprirgli e gli domandò cosa volesse, come se fosse un estraneo. Però egli
spinse il servitore per le spalle con un far da padrone che non lasciava alcun
dubbio ed andò difilato alle stanze di Adele. Prima ancora di giungervi
sentivasi un forte e singolare odore; l'uscio era socchiuso, e non si udiva né
parlare, né muoversi nella stanza. Alberto aprì esitante, e si arrestò sulla
soglia.
La camera era quasi buia; di
faccia all'uscio ardevano due candele su di un tavolino coperto da una tovaglia
bianca; dall'altro lato c'era il letto che sembrava vuoto, bianco come un
sepolcro nell'ombra. Sotto le coperte modellavasi vagamente una forma indecisa,
e sul guanciale, appena depresso, spiccavano due folte treccie nere, e sul viso
già disfatto gli occhi neri anch'essi, lucenti nella morte. Su di una piccola
tavola accanto al letto c'era un mucchio di piccoli utensili d'argento e di
cristallo che luccicavano; di contro al letto, colle spalle all'uscio, vedevasi
una poltrona, e una testa interamente canuta che sorpassava la spalliera alla
quale appoggiavasi. Tutte quelle cose stringevano il cuore.
L'inferma, vedendo un'ombra nel
vano dell'uscio, volse penosamente il capo, trasalì, e fece un languido
movimento per stendere la mano, atteggiando le labbra ad un pallido sorriso.
«Grazie!» mormorò con voce che a
lui mise il brivido nelle vene.
«Adele!... Adele!...»
«Vedi?» diss'ella soltanto.
Ei volse gli occhi su quella
tovaglia bianca, come se non l'avesse ancor vista, e la guardò a lungo in tal
modo che Adele premette tacitamente la mano che teneva nella sua.
Il medico s'era alzato.
«Il buon dottore!» disse lei.
Alberto gli strinse la mano con
forza.
«È la seconda volta che mi vede
in questa camera!» gli disse con un singolare sorriso. «Si rammenta?»
«Molto tempo addietro però!»
«Sì, molto tempo!»
E stette guardando Adele,
immobile e bianca nel suo bianco letto. Di quando in quando faceva scorrere uno
sguardo stralunato sulla coperta, quasi cercandovi il corpo di lei che vi si
smarriva, e le stringeva convulsamente la mano, come per accertarsi che ella
fosse ancor lì, e che quello non fosse un orribile sogno. Adele respirava con
pena; i ricami del suo corsetto sembravano alitare a guisa di farfalle. Dopo
quel lungo sguardo, e un più lungo silenzio: «Guardami Adele!...» diss'egli alfine.
Adele volse il capo in attitudine
stanca. Ei mise sulla ventola la mano tremante, e la fece girare; allora la
luce della candela cadde sul viso dell'inferma. Ei rimase affascinato.
Non piangeva, non diceva una
parola, la guardava fiso al pari di spettro, e le stringeva la mano come se
un'altra mano di ferro gli stringesse il cuore. Sembrava che cogli occhi
cercasse avidamente qualche cosa, qualche cosa che non era più, e faceva
balenare la sua ragione.
Ella gli lesse tutto ciò in viso,
e due lagrime scorsero lentamente per le sue guance.
«Mi trovi tanto mutata» mormorò
essa con un dolce sorriso «che quasi non mi riconosci, è vero?... E non mi dici
nulla!..»
Egli non rispose subito. Poi, con
voce sorda:
«Sì... Tanto mutata!... E io
pure... io pure...»
Tutt'a un tratto si udì squillare
vicinissimo il campanello che aveva udito lungo la strada. Il dottore si alzò.
«Son le sonagliere dei cavalli!»
si affrettò a dire Alberto senza saper troppo il perché. Nessuno gli rispose.
Una vecchia domestica entrò pian piano, e posò sulla tavola due vasi di fiori.
«Cosa fate?» domandò Alberto. La
vecchia rimase indecisa, non sapendo che dire. Adele gli strinse la mano
tacitamente. «Non le faranno male quei fiori in camera?» domandò egli al
dottore.
Questi scosse il capo tristamente;
Alberto ammutolì.
Lo squillare del campanello, che
un momento era taciuto, risuonò nell'anticamera, e sembrava avvicinarsi di
stanza in stanza, insieme ad uno scalpiccio di passi e ad un borbottare
sommesso. Alberto istintivamente avea fatto un passo indietro, quasi si
sentisse inseguito. Poi, tutt'a un tratto, strappò la sua mano da quella di
Adele, con un movimento istintivo indietreggiò sino in mezzo alla camera, e
rimase ritto, pallido, fosco, coll'occhio fisso sull'uscio, affascinato.
Entrò il prete, il sagrestano,
due o tre contadini. Il marchese guardava come in un sogno tutta quella gente
che entrava così in casa sua, e s'accostava al letto di sua moglie. Li vedeva
muoversi appunto come le immagini di un sogno, taciti, misteriosi, borbottando
parole e facendo segni che non capiva. Adele non parlava, non lo guardava,
sembrava impietrita, come sotto un sudario. Poscia tutta quella gente se ne
andò, col medesimo scalpiccio funebre, col medesimo mormorìo di parole
sommesse, lasciando un odor singolare che non aveva mai sentito. Adele rimaneva
distesa sul letto, colle mani in croce sul petto, gli occhi rivolti adesso
verso di lui, e gli sorrideva serenamente.
«Ora lasciatemi confessare con
mia moglie!» disse improvvisamente Alberto alle due o tre persone ch'erano
presenti.
Rimase lunga ora nascosto tra le
cortine del letto, tenendo abbracciato il capo di lei. Non lo si vide muovere;
non si udì un singhiozzo o una parola; nessuno seppe che cosa avesse detto
quell'uomo a quella moribonda. Allorché rialzò il capo, nell'ombra del
cortinaggio, era più pallido di lei, e aveva gli occhi lucenti.
Il dottore gli fece un cenno.
Egli lasciò dolcemente la mano di lei.
Non si udiva altro rumore
all'infuori della pioggia che batteva sui vetri. Ei andò ad appoggiarvi la
fronte, guardando nel buio. Dopo qualche tempo si accostò al medico, e gli
domandò sottovoce:
«Ebbene, dottore?»
Il dottore non rispose. Allora
Alberto con la voce ancor più soffocata:
«Soffrirà molto?»
«No.»
«E... sarà per stanotte?»
«Domani al più tardi.»
Ei volse all'orologio uno sguardo
incerto.
«Crede che dei dispiaceri...
possano averla uccisa?» domandò poscia.
«Il suo è un male ereditario, di
quelli che non perdonano... I dispiaceri non possono che averne accelerato lo
sviluppo...»
«Anche l'assassino non fa che
accelerare!...» interruppe Alberto collo stesso accento calmo e profondo,
lasciandosi cadere su di una poltrona di faccia al medico. E rimase cogli occhi
fissi su di lei che teneva gli occhi chiusi e sembrava che dormisse.
«Lei deve aver bisogno di riposo»
riprese poco dopo il dottore dolcemente. «Approfitti di questa breve ora in cui
essa è calma...»
«E quando non potrò vederla più?»
Il vecchio chinò il capo.
«Mi pare impossibile che non
debba vederla più!» mormorò poscia Alberto come fra di sé.
E un istante dopo:
«Che cosa diverrà, dottore?»
Costui alzò un dito al cielo.
Alberto vi rivolse gli occhi anche lui, seguendo macchinalmente quel gesto.
Poscia fissando sul medico uno sguardo singolare:
«Lei non è materialista, dottore?»
«Non sono uno scienziato, sono un
povero medico di campagna. Ho assistito a molti momenti simili, ed ho visto
molti dolori...»
«Ha visto morire delle persone
care?»
«Sì.»
«Dev'esser così!» mormorò
Alberti, dopo alcuni istanti di meditazione.
E rimase colla fronte fra le
mani, e i gomiti sui ginocchi.
Di tanto in tanto l'inferma era
agitata da scosse convulsive, e tremava tutta; sembrava tormentata persin nel
sonno da un'arcana ambascia. Allora Alberto levava il capo, fissava su di lei
gli occhi ardenti di febbre, e quando la respirazione di lei si faceva più
calma, tornava a chinarli a terra.
Improvvisamente fu scosso da un
rantolo, la moribonda cominciò ad agitare il capo sul guanciale e chiamò
Alberto con un suono inarticolato. Egli balzò in piedi, e le prese la mano
ch'era fredda come il marmo.
«Dottore!» esclamò con voce
concitata.
Il medico prese il polso, e lo
lasciò ricadere senza dir nulla.
«Soffre?»
«Per poco...»
La moribonda fissava su di lui
gli occhi che si andavano appannando. Il rantolo si faceva più soffocato, e
l'ambascia più spasmodica.
«Che lunga notte!» mormorò
Alberto asciugandosi il sudore della fronte.
Cominciavano ad udirsi i
campanacci delle mandre che andavano al pascolo. Alberti levò il capo come
svegliandosi, e vide confusamente che i vetri delle finestre cominciavano ad
imbiancare. Alla pallida luce dell'alba il viso di Adele sembrava livido. Essa
era supina, immobile, col viso affilato e gli occhi appannati. «Adele!» mormorò
Alberto chinandosi su di lei. Ella sollevò le palpebre stentatamente. «Son qui
Adele!» ripeté una di quelle frasi insensate che strappa l'angoscia. Le bianche
labbra della poveretta si agitarono.
«Dottore, mi sente!» esclamò
Alberto con un'immensa commozione nella voce, interrogando il medico con occhi
ansiosi.
Costui chinò i suoi e non
rispose. Alberto chinò il capo
Adele ricominciò a tremare. Il
medico prese per un braccio Alberto e volle condurlo via Ei gli rivolse uno
sguardo profondo.
«Non abbiate paura!» disse.
«Paura?» rispose il vecchio stringendosi
nelle spalle.
Un brivido corse per tutto il
corpo della moribonda. Alberto prese quasi macchinalmente il crocifisso ch'era
a capo del letto, e lo mise fra le mani agghiacciate di lei - il viso si
profilò, i muscoli del mento e della bocca si rilasciarono e rimase immobile.
Ei la guardò, si chinò su di lei,
si rialzò lento lento, lasciò dolcemente le mani che stringevano ancora le sue,
e fece un passo indietro.
Il medico gli prese la destra.
Egli lo guardò trasognato e balbettò:
«Perché?... Diggià?... Per
sempre?...»
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