X.
Quella fatale tendenza verso
l'ignoto che c'è nel cuore umano, e si rivela nelle grandi come nelle piccole
cose, nella sete di scienza come nella curiosità del bambino, è uno dei
principali caratteri dell'amore, direi la principale attrattiva: triste attrattiva,
gravida di noie o di lagrime - e di cui la triste scienza inaridisce il cuore
anzi tempo. Cotesto amore dunque che ha ispirato tanti capolavori, e che
riempie per metà gli ergastoli e gli ospedali, non avrebbe in sé tutte le
condizioni di essere, che a patto di servire come mezzo transitorio di fini
assai più elevati - o assai più modesti, secondo il punto di vista - e non
verrebbe che l'ultimo nella scala dei sentimenti? La ragione della sua caducità
starebbe nella sua essenza più intima? e il terribile dissolvente che c'è nella
sazietà, o nel matrimonio, dipenderebbe dall'insensato soddisfacimento d'una
pericolosa curiosità? La colpa più grave del fanciullo-uomo sarebbe la pazza
avidità del desiderio che gli fa frugare colle carezze e coi baci il congegno
nascosto del giocattolo-donna, il quale ieri ancora, gli faceva tremare il
cuore in petto come foglia?
All'ultimo veglione della Scala,
in mezzo a quel turbine d'allegria frenetica, avevo incontrato una donna
mascherata, della quale non avevo visto il viso, di cui non conoscevo il nome,
che non avrei forse riveduta mai più, e che mi fece battere il cuore quando i
suoi sguardi s'incontrarono nei miei, e mi fece passare una notte insonne, col
suo sorriso sempre dinanzi agli occhi, e negli orecchi il fruscìo del raso del
suo dominò.
Ella appoggiavasi al braccio di
un bel giovanotto, era circondata dagli eleganti del Circolo, adulata,
corteggiata, portata in trionfo; era svelta, elegante, un po' magrolina, avea
due graziose fossette agli òmeri, le braccia delicate, il mento roseo, gli
occhi neri e lucenti, il collo eburneo, un po' troppo lungo ed esile,
ombreggiato da vaghe sfumature, là dove folleggiavano certi ricciolini ribelli;
il suo sorriso era affascinante; vestiva tutta di bianco, con una gala di nastro
color di rosa al cappuccio, e faceva strisciare sul tappeto il lembo della
veste, come una regina avrebbe fatto col suo manto. Tutto ciò insieme a quel
pezzettino di raso nero che le celava il viso, ricamato da tutti i punti
interrogativi della curiosità, dove brillavano i suoi occhi, e dietro al quale
l'immaginazione avrebbe potuto vedere tutte le bellezze della donna, e porla su
tutti i gradini della scala sociale. Ella imponeva l'ingenuità, la grazia, il
pudore di una fanciulla da collegio in mezzo ad un crocchio di uomini, fra i
quali una signora per bene non sarebbesi avventurata neppure in maschera.
Era seduta colle spalle rivolte
alla sala accanto al suo giovanotto, e gli parlava come parlano le donne
innamorate, divorandolo cogli occhi, e facendogli indovinare i vaghi rossori
che scorrevano sotto la sua maschera, e i sorrisi affascinanti; gli posava la
mano sulla spalla, e l'accarezzava col ventaglio; sembrava che si facesse
promettere qualche cosa, con una insistenza affettuosa e carezzevole.
Io avrei dato qualunque cosa per
essere al posto di quel giovanotto, il quale sembrava mediocremente lusingato
di quella preferenza; avrei voluto indovinare tutto ciò che non potevo udire,
tutto ciò che si agitava nel cuore di lei; avrei voluto penetrare attraverso la
seta di quella maschera; l'incognito di quel viso, di quella persona, e di quel
modesto romanzetto sbocciato al gas della Scala aveva mille attrattive per un
osservatore. La mia simpatia, o la mia curiosità, avrà dovuto penetrarla come
corrente elettrica; perché si volse a guardarmi due o tre volte, con quei suoi
occhioni neri; poi si alzò, prese il braccio del suo compagno e si allontanò.
Sembrommi che all'allegria di
quella festa fosse succeduta una inesplicabile musoneria, che mi mancasse qualche
cosa; la cercavo con un'avida speranza di rivederla, quasi cotesta sconosciuta
fosse diggià qualche cosa per me.
Sul tardi ci trovammo di nuovo
faccia a faccia accanto alla porta, mentre ella usciva dalla sala ed io vi
rientravo. Rimanemmo immobili, guardandoci fissamente a lungo, come due che si
conoscono, quasi anch'io, dopo averla guardata tre o quattro volte durante la
sera, fossi diventato qualche cosa per lei, il cuore mi batteva e sentivo che
doveva battere anche a lei; sembravami che entrambi bevessimo qualche cosa
l'uno negli occhi dell'altra; assaporavo il suo sorriso assai prima che le sue
labbra si schiudessero: ella mi sorrise infatti - un getto di buonumore e di
simpatia che diceva: «So che ti piaccio, e anche tu mi piaci!». La parola più affettuosa,
la lingua più dolce del mondo, non avrebbero potuto riprodurre l'eloquenza di
quel sorriso; il pensatore più eminente, o l'uomo di mondo più spensierato, non
avrebbe potuto analizzare quel sentimento che irrompeva improvviso in
un'occhiata, fra due persone che s'incontravano in mezzo alla folla, come due
viaggiatori che partono per opposte direzioni s'incontrano in una stazione,
l'una accanto ad uomo che amava forse ancora, l'altro che avea visto il braccio
di lei sull'òmero di quell'uomo. Due o tre volte ella si rivolse a guardarmi
collo stesso sorriso, ed io la seguii, senza sapere io stesso dietro a quale
lusinga corressi. La folla me la fece perdere di vista; la cercai inutilmente
nel ridotto, pei corridoi, nel caffè, in platea, da Canetta, in quei palchi che
potei passare in rassegna, dappertutto.
Avevo la febbre di uno strano
desiderio; divoravo cogli occhi tutti i dominò bianchi, tutte le vesti che
avessero ondulazioni graziose. A un tratto me la vidi improvvisamente dinanzi,
o piuttosto incontrai il suo sguardo che mi cercava. Io dava il braccio ad una
donna che rivedevo quella sera dopo lungo tempo. Nello sguardo dell'incognita
c'era una muta interrogazione; ella mi sorrise di nuovo; non potei far altro
che mandarle un saluto mentre mi passava accanto; ella si voltò vivamente, mi
lanciò a bruciapelo uno sguardo ed un sorriso e ripeté: - Addio! - Non
dimenticherò mai più quella voce e quell'accento!
Non la vidi più. Rimasi a
digerire il mio dispetto e il cicaleccio della mia compagna. Sognai tutta la
notte, senza chiudere gli occhi, quel viso che non conoscevo; sentivami in
cuore un solco luminoso lasciatovi da quello sguardo; l'impossibilità di
rintracciarla dava all'apparizione di quella sconosciuta un prestigio di cosa
straordinaria; nel sorriso di lei io poteva immaginare un poema d'amore, che
riceveva tutto l'interesse dall'essere troncato sul fiore e per sempre. Per
sempre! non è parola che scuote maggiormente l'animo umano? Io prolungai
quel sogno per tutto il giorno. Sembravami che ci fosse qualche cosa di nuovo
in me, e che avessi ricevuto il sacramento di una perdita immensa. Quando la
mia immaginazione si stancò di vagare nelle azzurre immensità dell'ignoto, per
una reazione naturale del pensiero, io guardai con sorpresa nel mio cuore, e
domandai a me stesso, se mi fossi innamorato di quel pezzettino di raso nero
che nascondeva un viso sconosciuto.
Lo sguardo di quell'incognita mi
aveva messo il cuore in sussulto mentre davo il braccio ad un'altra donna che
un tempo avevo amato come un pazzo, e che in quel momento istesso si esponeva
al più grave pericolo per me. Io maledivo l'ostinazione di cotesto affetto che
mi impediva di correre dietro alla sconosciuta con tutto l'egoismo che c'è in
un altro amore.
Per due o tre giorni cercai ansiosamente
quell'amante che non conoscevo, e sentivo che il rivederla mi avrebbe tolto
qualche cosa di Lei. La rividi in Galleria, la riconobbi a quello sguardo e a
quel sorriso che mi dicevano: «Son io, mi ravvisi?». Mi sentivo spinto
fatalmente verso di lei, e venti volte fui sul punto di prenderle la mano al
cospetto delle persone che l'accompagnavano.
In piazza della Scala si rivolse
due o tre volte per vedere se la seguissi. Le vaghe incertezze, le gioie
tumultuose, i febbrili desideri dell'amore a vent'anni mi inondarono il cuore
in una volta: l'ondeggiare della sua veste sembravami avesse qualche cosa di
carezzevole; il suo paltoncino bianco, e il fazzoletto che pel freddo si teneva
sul viso, avevano irradiazioni luminose. Io non saprei ridire l'emozione che
provai al pensiero di poterle dare il braccio, o di poter toccare un lembo di
quel fazzoletto. Ad un tratto ella attraversò la via, insieme alla sua
compagna, e seguìta dalla sua scorta di parenti, camminando sulla punta dei
piedi e rialzando il lembo del suo vestito, venne a mettersi al mio fianco. Mi
guardò in viso, come se aspettasse qualche cosa da me. Io sentii un dolore
acuto, e volsi le spalle.
La rividi ancora parecchie volte,
e gli occhi di lei mi domandavano: - Cos'hai? - io non osavo dirle: - Non mi
piaci più -. Ella si stancò di sollecitare i miei sguardi, e quando mi incontrò
volse altrove il capo. Una sera, sotto il portico della Scala, sentii
afferrarmi la mano da una mano tremante che vi lasciò un bigliettino
microscopico. Mi rivolsi vivamente: non vidi che visi sconosciuti, e un po' più
lungi la mia incognita che si allontanava senza guardarmi; sebbene fosse
passata così lontano, sebbene da qualche tempo distogliesse da me lo sguardo
con indifferenza, tutte le volte che mi incontrava, il mio pensiero corse a lei
senza esitare un momento, nello stesso tempo che per una strana contraddizione
tacciavo di follia il mio presentimento.
Una sola parola riempiva tutto il
biglietto: «Seguitemi». Chi? dove? perché? Coteste interrogazioni
diedero colori di fuoco a quella semplice parola; il mistero che vi era
racchiuso si rannodava, con logica irresistibile, a quell'incognita, e le
ridava tutta quella vaga e indefinibile attrattiva che il vedermela al fianco,
sotto il fanale a gas, avea fatto svanire in un lampo; il dubbio d'ingannarmi
mi mise addosso mille impazienze. Ella non sembrava nemmeno accorgersi di me -
io la seguii. Quando la porta della sua casa mi si chiuse in faccia rimasi in
mezzo alla strada, senza avere la forza di andarmene, coi piedi nella neve,
tutte le finestre della via che mi guardavano, e i questurini che venivano a
passarmi vicino. Dalle undici alle due del mattino io non ebbi un momento di
esitazione o di stanchezza; non dubitai un istante. Udii aprire pian piano la
porta, e vidi nell'ombra dell'arcata una forma bianca. Ella tremava come una
foglia quando le toccai la mano; sembrava che avesse la febbre; mi disse con
voce strozzata dalla commozione: - Che avete? che vi ho fatto? ditemelo - come se
ci conoscessimo da dieci anni.
Certe situazioni, certe parole,
certe inflessioni di voce hanno significazioni evidenti, irresistibili; la
giovinetta che avevo incontrata al veglione, in mezzo ad uomini che portavano
in trionfo Cora Pearl, e la quale mi gettava le braccia al collo nel buio di
una scala, dava la più luminosa prova di candore coll'espansione della sua
simpatia: sentimento strano che non sapevo spiegare, e di cui non osavo
chiederle ragione. Nella sua fiducia c'era tanta innocenza che avrei voluto
rubarle gli orecchini per insegnarle a diffidare degli uomini. Sentivo fra le
mie le sue povere mani tremanti, e le sue parole sommesse sembrava che mi
sfiorassero il viso come un bacio. Certi sentimenti inesplicabili hanno un
fondamento essenzialmente materiale; tutto l'incanto di quell'ora di paradiso
stava nel buio di quella scala. Sembravami che le larve dell'ideale avessero
preso corpo e mi stringessero le mani: - Io ti son piaciuta senza che tu mi
avessi vista in viso, - ella mi disse. - Ecco perché ti amo - e non mi domandò
nemmeno come mi chiamassi.
Ella si fece promettere che sarei
tornato a vederla la notte seguente. Ahimè! insensata promessa che
rimpiccioliva il desiderio nelle meschine proporzioni di un volgare
appuntamento. Noi avremmo dovuto inventare tutti gli ostacoli che mancavano
alla nostra felicità, o non rivederci mai più. La notte seguente tornai da lei
con un sentimento penoso, come se avessi perduto qualche cosa.
La rividi nel suo salottino,
raggiante di bellezza, ed il cuore mi si dilatò di gioia, quasi le prime
sensazioni della sciagura fossero piacevoli; contemplavo avidamente quelle
leggiadre sembianze che s'imporporavano per me, e in mezzo alla festa del mio
cuore sentivo insinuarsi un vago turbamento - il mio ideale svaniva; tutto
quello che c'era in quella bellezza veramente incantevole era tolto ai miei
sogni; sembravami che il mio pensiero si fosse impoverito trovandosi costretto
nei limiti della realtà. - Che hai? - mi disse. - Nulla, - risposi, - c'e
troppa luce qui -. Ella, povera ragazza, moderò la fiamma della lucerna. Non si
avvedeva del turbamento che c'era in me, e non avea paura della funesta avidità
con la quale i miei occhi la divoravano. Parlava sorridente, giuliva, come un
uccelletto innamorato canta su di un ramoscello; mi raccontò la sua storia, una
di quelle storie che l'angelo custode ascolta sorridendo. Aveva amato il cugino
con cui l'avevo vista al veglione, era venuta colla zia da Lecco per lui, e il
cugino, in capo a due o tre giorni di esitazione, le avea fatto capire
bellamente che non l'amava più. Allora, dopo le prime lagrime, ella avea
pensato a quello sconosciuto che al veglione della Scala l'avea guardata in
quel modo. - Io ti ho letto negli occhi che ti piacevo, - mi disse, - e ti
sorrisi perché ciò mi rendeva tutta lieta; in quel momento avevo un gran dolore
in cuore. Se mio cugino avesse seguitato ad amarmi, io non te lo avrei mai
detto, ma ti avrei sempre voluto bene come ad un fratello. Ora che mio cugino
non vuol saperne più di me... ebbene, anch'io voglio amare chi più mi piace! -
Tossiva di quanto in quanto, le guance le si imporporavano, e gli occhi le si
facevano umidi. - Non mi dire che mi sposerai, se vuoi lasciarmi come
quell'altro... Sono stata tanto malata! - Addio! - le dissi. - Tornerai domani?
La zia va dalle mie cugine, non aver paura; tornerai? - Addio -.
Non la vidi più. Sentii che mi
sarei trovato umile e basso dinanzi alla fiducia e all'entusiasmo di
quell'amore che non dividevo più. E sentivo del pari di aver perduto
irremissibilmente un tesoro.
In novembre ricevetti una lettera
listata di nero; era lo stesso carattere che aveva scritto seguitemi; le
mani mi tremavano prima d'aprirla: Se volete ripetere l'addio che deste ad
una mascherina all'ultimo veglione della Scala, scrivevami, recatevi al
Cimitero fra una settimana, e cercate della croce sulla quale sarà scritto X.
Quella lettera, per un caso che
farebbe credere alla fatalità, s'era smarrita alla posta, e mi pervenne con
qualche giorno di ritardo. Io volai a quella casa che non avevo più riveduta;
scorgendo le persiane chiuse, il cuore mi si strinse dolorosamente. Corsi al
Cimitero, senza osare di credere al presagio funesto di quella lettera; al
primo viale che infilai, quasi il destino si fosse incaricato di guidare i miei
passi, alla prima terra smossa di fresco, su di una croce di ferro, lessi quel
segno che ella avea desiderato sulla tomba, triste geroglifico del suo amore; e
lì, coi ginocchi nella polvere, mi parve di guardare in un immenso buio, tutto
riempito dalla figura della mia incognita, dal suo sorriso, dal suono della sua
voce, delle parole che mi ha dette, dai luoghi dove l'avevo vista. Sentii un
gran freddo.
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