I.
La signora Matilde era seduta sul
parapetto smantellato, colle spalle appoggiate all'edera della torre, spingendo
lo sguardo pensoso nell'abisso nero e impenetrabile; suo marito, col sigaro in
bocca, le mani nelle tasche, lo sguardo vagabondo dietro le azzurrine spirali
del fumo, ascoltava con aria annoiata; Luciano, in piedi accanto alla signora,
sembrava cercasse leggere quali pensieri si riflettessero in quegli occhi
impenetrabili come l'abisso che contemplavano. Gli altri della brigata erano
sparsi qua e là per la spianata ingombra di sassi e di rovi, ciarlando,
ridendo, motteggiando; il mare andavasi facendo di un azzurro livido,
increspato lievemente, e seminato di fiocchi di spuma. Il sole tramontava
dietro un mucchio di nuvole fantastiche, e l'ombra del castello si allungava
melanconica e gigantesca sugli scogli.
- Era qui? - domandò ad un tratto
la signora Matilde, levando bruscamente il capo.
- Proprio qui -.
Ella volse attorno uno sguardo
lungo e pensieroso. Poscia domandò con uno scoppio di risa vive,
motteggiatrici:
- Come lo sa?
- Ricostruisca coll'immaginazione
le vòlte di queste arcate, alte, oscure, in cui luccicano gli avanzi delle
dorature, quel camino immenso, affumicato, sormontato da quello stemma geloso
che non si macchiava senza pagare col sangue; quell'alcova profonda come un
antro, tappezzata a foschi colori, colla spada appesa al capezzale di quel
signore che non l'ha tirata mai invano dal fodero, il quale dorme sul chi vive,
coll'orecchio teso, come un brigante - che ha il suo onore al di sopra del suo
Dio, e la sua donna al disotto del suo cavallo di battaglia: - cotesta donna,
debole, timida, sola, tremante al fiero cipiglio del suo signore e padrone,
ripudiata dalla sua famiglia il giorno che le fu affidato l'onore ombroso e
implacabile di un altro nome; - dietro quell'alcova, separato soltanto da una
sottile parete, sotto un'asse traditrice, quel trabocchetto che oggi mostra
senza ipocrisia la sua gola spalancata - il carnaio di quel mastino bruno,
membruto, baffuto, che russa fra la sua donna e la sua spada; - il lume della
lampada notturna che guizza sulle immense pareti, e vi disegna fantasmi e
paure; il vento che urla come uno spirito maligno nella gola del camino, e
scuote rabbiosamente le imposte tarlate; e di tanto in tanto, dietro quella
parete, dalla profondità di quel trabocchetto attorno a cui il mare muggisce un
gemito soffocato dall'abisso, delirante di spasimo, un gemito che fa drizzare
la donna sul guanciale, coi capelli irti di terrore, molli del sudore di
un'angoscia più terribile di quella dell'uomo che agonizza nel fondo del
trabocchetto, e, fuori di sé, le fa volgere uno sguardo smarrito, quasi pazzo,
su quel marito che non ode e russa -.
La signora Matilde ascoltava in
silenzio, cogli occhi fissi, intenti, luccicanti. Non disse - È vero! - ma
chinò il capo. Il marito si strinse nelle spalle e si alzò per andarsene. Le
ombre sorgevano da tutte le profondità delle rovine e del precipizio.
- Se tutto ciò è vero, - ella
disse con voce breve; - s'è accaduto così come ella dice, essi debbono essersi
appoggiati qui, a questi avanzi di davanzale, a guardare il mare, come noi
adesso... - ed ella vi posò la mano febbrile - qui -.
Ei chinò lo sguardo sulla mano, poi
guardò il mare, poi la mano di nuovo. Ella non si muoveva, non diceva motto,
guardava lontano. - Andiamo, - disse a un tratto, - la leggenda è interessante,
ma mio marito a quest'ora deve preferire la campana del desinare. Andiamo -.
Il giovane le offrì il braccio,
ed ella vi si appoggiò, rialzando i lembi del vestito, saltando leggermente fra
i sassi e le rovine. Passando presso uno stipite sbocconcellato, osservò che
c'erano ancora attaccati gli avanzi degli stucchi.
- Se potessero raccontare anche
questi! - disse ridendo.
- Direbbero che allo stesso posto
dove s'è posata la sua mano, ci si è aggrappata la mano convulsa della
baronessa, la quale tendeva l'orecchio, ansiosa, verso quell'andito dove non si
udiva più il rumore dei passi di lui, né una voce, né un gemito, ma risuonavano
invece gli sproni sanguinosi del barone -.
La signora si tirò indietro
vivamente, come se avesse toccato del fuoco; poi vi posò di nuovo la mano,
risoluta, nervosa, increspata; sembrava avida d'emozione; avea sulle labbra uno
strano sorriso, le guance accese e gli occhi brillanti.
- Vede! - disse. - Non si ode più
nulla!
- Alla buon'ora! - esclamò il
signor Giordano; - dunque possiamo andare -.
La moglie gli rivolse uno sguardo
distratto, e soggiunse:
- Scusami, sai! -
Il raggio di sole prima di
tramontare si insinuò per un crepaccio a fior d'acqua, e illuminò
improvvisamente il fondo di quella specie di pozzo ch'era stato il
trabocchetto, le punte aguzze delle nere pareti, i ciottoli bianchi che
spiccavano sul muschio e l'umidità del fondo, e i licheni rachitici che
l'autunno imporporava. Il sorriso era sparito dal viso della signora
spensierata, e volgendosi al marito, timida, carezzevole, imbarazzata:
- Vieni? - gli disse.
- Bada, - rispose il signor
Giordano col suo ironico sorriso; - ci vedrai le ossa di quel bel cavaliere, e
farai brutti sogni stanotte -.
Ella non rispose, non si mosse,
stava chinata sulla buca; appoggiandosi ai sassi che la circondavano; infine,
con voce sorda:
- In fatti... c'è qualcosa di
bianco, laggiù in fondo... -
E senza attendere risposta:
- Se quest'uomo è caduto qui, ha
dovuto afferrarsi per istinto a quella punta di scoglio... vedete? si direbbe
che c'è ancora del sangue -.
Suo marito vi buttò il sigaro
spento, e volse le spalle; ella rabbrividì, come se avesse visto profanare una
tomba, si fece rossa, e si rizzò per andarsene. Era una graziosa bruna,
palliduccia, delicata, nervosa, con grandi e begli occhi neri e profondi; il
piede le sdrucciolò un istante sul sasso mal fermo, vacillò, e dovette
afferrarsi alla mano di Luciano.
- Grazie! - gli disse con un
sorriso intraducibile. - Si direbbe che l'abisso mi chiama -.
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