V.
Questa era la leggenda del
Castello di Trezza, che tutti sapevano nei dintorni, che tutti raccontavano in
modo diverso, mescolandovi gli spiriti, le anime del Purgatorio, e la Madonna
dell'Ognina. I terremoti, il tempo, gli uomini, avevano ridotto un mucchio di
rovine la splendida e forte dimora di signori i quali, al tempo di Artale
d'Alagona, aveano sfidato impunemente la collera del re, e sembravano avervi
impresso una stimmate maledetta, che dava una misteriosa attrattiva alla
leggenda, e affascinava lo sguardo della signora Matilde, mentre ascoltava
silenziosamente.
- E di quell'uomo? - domandò
improvvisamente, - di quel giovanotto che per sua disgrazia non era morto
cadendo nel trabocchetto, e che vi agonizzava lentamente, cosa ne è avvenuto?
- Chissà? Forse il barone avrà
udito ancora dei gemiti soffocati, o delle grida disperate che imploravano la
morte, forse dopo alcuni giorni, si sarà sentito il lezzo del cadavere da
quella specie di pozzo, forse avrà voluto prevenire che ciò avvenisse, - vi
fece gettar della calce viva, e non si sentì più nulla.
- È una storia spaventosa! -
mormorò la signora Matilde. - Togliamone pure i fantasmi, il suono della
mezzanotte, il vento che spalanca usci e finestre, e le banderuole che gemono,
è una spaventosa storia!
- Una storia la quale non sarebbe
più possibile oggi che i mariti ricorrono ai Tribunali, o alla peggio si
battono - rispose Luciano ridendo.
Ella gli agghiacciò il riso in
bocca con uno sguardo singolare. - Lo credete? - domandò.
Luciano ammutolì per quello
sguardo, per quell'accento, pel sentirsi dar del voi così distrattamente e a
quella guisa. Sopraggiungeva il signor Giordano.
Parlatemi d'altro, - diss'ella
sottovoce, con singolare vivacità, - non discorriamo più di cotesto... -
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