Il come, il quando ed il perché.
Il signor Polidori e la signora
Rinaldi si amavano - o credevano di amarsi - ciò che è precisamente la stessa
cosa, alle volte; e in verità, se mai l'amore è di questa terra, essi erano
fatti l'uno per l'altro: Polidori si godeva quarantamila lire di entrata, e una
pessima riputazione di cattivo soggetto, la signora Rinaldi era una donnina
vaporosa e leggiadra, e aveva un marito che lavorava per dieci, onde farla
vivere come se possedesse quarantamila lire di rendita. Però sul conto di lei
non era corsa la più innocente maldicenza, sebbene tutti gli amici di Polidori
fossero passati in rivista, col fiore all'occhiello, dinanzi alla fiera beltà.
Finalmente la fiera beltà era caduta - il caso, la fatalità, la volontà di Dio,
o quella del diavolo, l'avevano tirata pel lembo della veste.
Quando si dice cadere
intendesi che aveva lasciato cadere sul Polidori quel primo sguardo languido,
molle, smarrito, che fa tremare le ginocchia al serpente messo in agguato sotto
l'albero della seduzione. Le cadute a rotta di collo son rare, e alle volte
fanno scappare il serpente. La signora Rinaldi, prima di scendere da un ramo
all'altro, voleva vedere dove metteva i piedi, e faceva mille graziose moine
col pretesto di voler fuggire verso le cime alte. Da circa un mese ella si era
appollaiata sul ramoscello della corrispondenza epistolare, ramoscello
flessibile e pericoloso, agitato da tutte le aurette profumate. - Avevano
cominciato col pretesto di un libro da chiedere o da restituire, di una data da
precisare, o che so io - la bella avrebbe voluto fermarvisi un pezzo, su quel
ramo, a cinguettare graziosamente, perché le donne cinguettano sempre a
meraviglia, così cullandosi fra il cielo e la terra; Polidori, il quale aveva
vuotato il sacco, divenne presto arido, laconico, categorico che era una
disperazione. La poveretta chiuse gli occhi e le ali, e si lasciò scivolare un
altro po'.
- Non ho letto la vostra lettera;
né voglio leggerla! - gli disse incontrandolo all'ultimo ballo della stagione,
mentre seguivano la fila delle coppie. - Giacché non volete essere quello che
vi avevo ideato, lasciatemi rimanere quale voglio essere io -.
Polidori la fissava serio serio,
tormentandosi i baffi, ma colla fronte china. Gli altri ballerini che non
avevano nessuna ragione per stare a chiacchierare nel vano dell'uscio, li
spingevano verso il salone. La donna arrossì, quasi fosse stata sorpresa in un
abboccamento segreto con lui.
Polidori - il serpente - notò
quella vampa fugace. - Sapete che vi obbedirò ad ogni costo, - rispose
semplicemente.
La croce di brillanti scintillò
sul petto di lei, sollevandosi in trionfo. Tutta la sera la signora Rinaldi
ballò come una pazza, passando da un ballerino all'altro, tirandosi dietro uno
sciame di adoratori, cogli occhi ebbri di festa, luccicanti come le gemme che
le formicolavano sul seno anelante. Però ad un tratto, trovandosi faccia a
faccia colla sua immagine in un grande specchio, si fece seria e non volle
ballar più. Rispondeva a tutti di sentirsi stanca, molto stanca; e
macchinalmente cercava cogli occhi suo marito. Non c'era nemmen lui,
quell'uomo! In quei dieci minuti che rimase accasciata sul canapè, senza
curarsi che la sua veste si affagottava sgarbatamente, le passarono davanti
agli occhi delle strane fantasie, insieme alle coppie che ballavano il valzer.
Polidori solo non ballava, né si vedeva più. - Che uomo era mai costui?
Finalmente lo scorse in fondo a una sala deserta, faccia a faccia con una testa
pelata, che non doveva aver nulla da dire, sorridendo come un uomo per cui il
sorriso sia indifferente anch'esso. - Ella avrebbe preferito sorprenderlo colla
più bella signora della festa, in parola d'onore! - Polidori non se ne avvide.
Si alzò, premuroso sempre, e le offrì il braccio.
In quel momento, proprio in quel
momento doveva cacciarlesi fra i piedi anche suo marito, che cercava di lei.
Allora, bruscamente, aggiustandosi sull'omero la scollatura della veste, con un
leggiadro movimento della spalla, disse piano a Polidori, così piano che il
fruscio della seta coprì quasi il suono della voce:
- Sia pure, domani alle nove, ai
Giardini -.
Polidori s'inchinò profondamente
e la lasciò passare, raggiante e commossa, al braccio del marito.
Giammai mattino di primavera non
era sembrato così misteriosamente bello alla signora Rinaldi nella sua villa
deliziosa della Brianza, e giammai ella non l'avea contemplato con occhio più
distratto attraverso al cristallo scintillante del suo coupé, come
quando il suo legnetto attraversava rapidamente la piazza Cavour. Il sole
inondava i viali del giardino, caldo e dorato, sull'erba che incominciava a
rinverdire; l'azzurro del cielo era profondo. Coteste impressioni, ad insaputa
di lei, riverberavansi nei suoi grandi occhi neri, che guardavano lontano, non
sapeva ella stessa dove, né che cosa, mentre appoggiava la mano e la fronte
pallida alla manopola. Di tanto in tanto un brivido la faceva stringere nelle
spalle, un brivido di stanchezza o di freddo.
Appena la carrozza si fermò al
cancello, ella trasalì, e si tirò indietro vivamente, quasi suo marito si fosse
affacciato all'improvviso allo sportello. Esitò alquanto prima di scendere,
colla mano sulla maniglia pensando vagamente a quell'aspetto nuovo, sotto cui
le si affacciava alla mente suo marito; poi mise il piede a terra e si calò il
velo sul viso: un velo fitto, nero, tempestato di puntini, attraverso al quale
gli occhi acquistavano alcunché di febbrile, e i lineamenti una rigidità di
fantasma. La carrozza si allontanò di passo, senza far rumore, da carrozza
discreta e ben educata.
Il giardino sembrava destato
anche'esso prima dell'ora, e tutto sorpreso d'incominciar la sua giornata così
presto. Degli uomini in manica di camicia lo lavavano, lo pettinavano, gli
facevano la sua toeletta mattutina. Le poche persone che si incontravano
avevano l'aspetto di trovarsi là a quell'ora per la prima volta, e per ordine
del medico anche loro; osavano interrogare il velo della passeggiatrice
mattiniera, e indovinare il profumo del fazzoletto nascosto nel manicotto che
ella si premeva sul petto con forza. Un vecchio che si trascinava lentamente,
cercando il sole di marzo, si fermò a guardarla, com'ella fu passata,
appoggiandosi al bastone malfermo, e tentennò il capo tristamente.
La signora Rinaldi si arrestò
dinanzi alla sponda del laghetto, saettando a dritta e a sinistra un'occhiata
guardinga, cercando qualche cosa o qualcuno. Il mormorìo fresco dell'acqua, e
lo stormire lieve lieve degli ippocastani la isolavano completamente; allora
sollevò alquanto il velo, e cavò dal guanto un bigliettino meno grande di una
carta da giuoco. Per due o tre minuti l'acqua seguitò a scorrere, e le foglie a
stormire per conto loro. La donna aveva gli occhi assorti, avidi, umidi di
sogni.
Tutt'a un tratto un passo
frettoloso le fece rizzare il capo, e il sangue le avvampò sulle guance, come
se gli occhi ardenti del nuovo arrivato le avessero sfiorato il viso con un
bacio.
Polidori stava per portare la
mano al cappello, quando ella gli arrestò il gesto con uno sguardo
impercettibile, e gli passò vicino senza fissarlo.
Camminava a capo chino,
ascoltando lo stridere della sabbia sotto i suoi stivalini, senza guardare
dinanzi a sé. Di tanto in tanto si metteva il fazzoletto alla bocca; per
riprender fiato, quasi il suo cuore divorasse avidamente tutta l'aria che la
circondava.
L'onda lenta del ruscello
l'accompagnava chetamente, borbottando sottovoce, addormentando le ultime sue
paure; l'ombra dei cedri e il silenzio del viale deserto la penetravano
vagamente, con sottile voluttà.
Quando si fermò dinanzi alla
gabbia del leopardo il petto le scoppiava e i ginocchi le tremavano forte, ché
accanto a lei si era fermato anche Polidori, guardando attentamente il superbo
animale, con la curiosità che avrebbe mostrato un contadino sbandato per quelle
parti, e le disse piano: - Grazie! -
Ella non rispose, si fece rossa,
e strinse con forza i ferri della stia a cui appoggiava la fronte. Cotesta
sensazione le faceva bene sulla epidermide della mano senza guanto. Chi avrebbe
potuto immaginare che quella semplice parola, scambiata di furto, in fondo a
quel deserto, dovesse vibrare tanto deliziosamente! No! davvero! C'era da
perderci la testa! Ella si sentiva avvampare fin sulla nuca, che ei, ritto dietro
le sue spalle, poteva vedere arrossire; un'onda di parole sconnesse e
tumultuose le montavano alla testa, la ubbriacavano; parlava del ballo dove si
era divertita assai; di suo marito il quale era partito all'alba, quand'ella
non aveva ancora chiuso gli occhi.
- Però non sono stanca!
quest'aria fresca fa bene, tanto bene! ci si sente rinascere, non é vero?
- Sì! è vero! - rispose Polidori
guardandola fisso negli occhi; ma ella non osava levarli di terra.
- Quando sarò in Brianza voglio
levarmi col sole tutti i giorni. In città facciamo una vita impossibile. Ma
però voi altri signori dovete preferirla -.
Parlava in fretta, e con voce un
po' troppo alta e squillante, sorridendo spesso, a caso; gli era grata
inconsciamente che ei non osasse interromperla, non osasse mischiare la sua
voce a quella di lei. Finalmente Polidori le disse: - Ma perché non avete
voluto ricevermi a casa vostra? -
Ella gli piantò gli occhi in viso
per la prima volta dacché erano lì, sorpresa, dolorosamente sorpresa. - Finora
in tutto quello che avevano fatto, in tutto quello che avevano detto, il male
non c'era stato che vagamente, in nube, nella loro intenzione, con squisita
delicatezza che i suoi sensi finissimi assaporavano deliziosamente, come il
leopardo sdraiato ai loro piedi si godeva il raggio caldo del sole, ammiccando
la larga pupilla dorata, con quel medesimo inconscio e voluttuoso stiramento di
membra. Richiamata così bruscamente alla realtà, stringeva le mani e le labbra
con un'espressione dolorosa; gli occhi le si velarono quasi, seguendo nello
spazio l'incantesimo che si era rotto, e gli fissò in volto quegli occhi
stralunati. Tutta l'esperienza che possedeva Polidori non seppe fargli leggere
quello che vi si scorgeva. - Ah! - disse poi con voce mutata, - sarebbe stato
più prudente!...
- Siete crudele! - mormorò
Polidori.
- No! - rispose ella sollevando
il capo, un po' rossa, ma con accento fermo. - Non sono come tutte le altre
signore, non sono prudente!... quando mi romperò il collo, vorrò godermi
l'orrore del precipizio sotto di me! Tanto peggio per voi se non capite -.
Allora ei le afferrò la mano per
forza, divorando tutta la sua bellezza palpitante con uno sguardo assetato, e
balbettò:
- Volete?... volete?...
Ella non rispose, e fece uno
sforzo per ritirare la mano.
Polidori implorava la sua grazia
con parole concitate, deliranti. Le ripeteva una domanda, una preghiera, sempre
la stessa, con diverse inflessioni di voce che andavano a ricercare la donna
nelle più intime fibre di tutto il suo essere; ella ne sentiva la vampa, le
sembrava di esserne avviluppata e divorata, soverchiata da un languore mortale
e delizioso; e cercava di svincolarsi, pallida, smarrita, colle labbra
convulse, spiando il viale di qua e di là con occhi pazzi di terrore,
contorcendosi sotto quella stretta possente, facendo forza con tutte e due le
mani febbrili per strapparsi da quell'altra mano che sentiva ardere sotto il
guanto.
Infine, vinta, fuori di sé,
balbettò:
- Sì! sì! sì! - e fuggì dinanzi a
qualcuno di cui si udiva avvicinarsi il calpestìo.
Uscendo dal giardino era così
sconvolta che stette per buttarsi sotto i cavalli di una carrozza. Aveva avuto
un appuntamento! Quello era stato un appuntamento! E ripeteva macchinalmente,
balbettando: - È questo! è questo! - Si sentiva tutta piena ed ebbra di cotesta
parola, e le sue labbra smorte agitavansi senza mandare alcun suono, vagamente
assaporando la colpa.
Andò barcollante sino alla prima
carrozza che incontrò; e si fece condurre dalla sua Erminia, quasi in cerca di
aiuto. La sua amica, vedendosela comparire dinanzi con quel viso, le corse
incontro fin sull'uscio del salotto. - Che hai?
- Nulla! nulla!
- Come sei bella! Cos'hai?
Ella, invece di rispondere, le
saltò al collo e le fece due baci pazzi.
La signora Erminia era abituata
alle sfuriate d'amicizia della sua Maria. Si misero a guardare insieme le
fotografie che avevano viste cento volte, e i fiori che erano da un mese sul
terrazzino.
In quel momento, per
combinazione, passava Polidori nel phaeton del suo amico Guidetti, col
sigaro in bocca, e salutò la signora Erminia allo stesso modo come avrebbe
potuto salutare Maria, se l'avesse scorta rincantucciata fra gli arbusti,
premendosi le mani sul petto che voleva scoppiarle. Era una cosa da nulla; ma
uno di quei nonnulla che penetrano in tutto l'essere di una donna come la punta
di un ago. Allora, tornando a casa, la signora Rinaldi scrisse a Polidori una
lunga lettera, calma e dignitosa, onde pregarlo di rinunciare a
quell'appuntamento, di cui le aveva strappata la promessa in un momento di
aberrazione, un momento che rammentava ancora con confusione e rossore, per sua
punizione. C'era tanta sincerità nella contraddizione dei suoi sentimenti, che
quell'istante d'abbandono, dopo un'ora sembrava infinitamente lontano, e se
qualche cosa di vivo vibrava tuttora fra le linee della lettera, era solo il
rimpianto di sogni che si dileguavano così bruscamente. Ella faceva appello
all'onore e alla delicatezza di lui per
farle dimenticare il suo errore, e lasciarle la stima di se stessa.
Polidori si aspettava quasi
quella lettera: la signora Rinaldi era troppo inesperta per non pentirsi dieci
volte, prima di aver motivo di pentirsi davvero; ei fece una cosa che gli provò
come quella donnina inesperta avesse ridestato in lui un sentimento schietto e
forte con tutta la freschezza delle prime impressioni: le rimandò la lettera
accompagnata da questa breve risposta:
«Vi amo con tutto il rispetto e
la tenerezza che deve inspirare la vostra innocenza. Vi rimando la lettera che
mi avete diretta, perché non sarei degno di conservarla, e non oserei
distruggerla. Ma l'imprudenza che avete commesso scrivendo una tal lettera è la
prova migliore della stima in cui deve avervi ogni uomo di cuore».
- Mio marito! - esclamava Maria
con una strana intonazione di voce. - Ma mio marito è felicissimo! La rendita
sale e scende per fargli piacere, i bachi sono andati bene, le commissioni
piovono da ogni parte. C'è un cinquanta per cento di utili netti! -
Erminia la stava a guardare a
bocca aperta.
- Senti, bambina, tu hai la
febbre. Mesciamoci del the -.
Due giorni dopo, per guarire
della febbre, che le aveva trovato la sua Erminia, le disse:
- Andrò in Brianza con Rinaldi.
L'aria, l'ossigeno, la quiete, il canto degli usignoli, la famiglia... Che
peccato non ci abbia dei bambini da cullare! -
Là, sotto gli alberi folti, di
faccia ai larghi orizzonti, sentiva una strana irritazione contro quella pace
che la invadeva lentamente, suo malgrado, dal di fuori. Andava spesso sulle
balze pittoresche verso il tramonto, a sciuparsi gli stivalini, e a montarsi la
testa di proposito con dei sentimenti presi a prestito nei romanzi. Polidori
aveva avuto il buon gusto di eclissarsi con garbo, restando a Milano, senza far
nulla di teatrale e di convenzionale, come uno che sa mettere della cortesia
anche a farsi dimenticare. - Né ella avrebbe saputo dire se pensasse ancora a
lui; ma provava delle aspirazioni indefinite, che nella solitudine le tenevano
compagnia, l'avviluppavano mollemente e tenacemente in quell'inerzia
pericolosa, e parlavano per lei nel silenzio solenne che la circondava, e
l'uggiva. Ella sfogavasi a scrivere delle lunghe lettere alla sua amica,
vantandole le delizie ignorate della campagna, la squilla dell'avemaria fra le
valli, il sorger del sole sui monti; facendole il conto delle ova che
raccoglieva la castalda, e del vino che si sarebbe imbottigliato quell'anno.
- Parlami un po' più dei tuoi
libri e delle tue corse a cavallo, - rispondeva la Erminia. - Di' a tuo marito
che non ti lasci andare al pollaio, o che ci venga anche lui -.
E un bel giorno, dopo un certo
silenzio, si mise in viaggio, un po' inquieta, e andò a trovare la sua Maria.
- T'ho fatto paura? - le disse
costei. - M'hai creduto un'anima desolata in via di annientarsi?
- No. T'ho creduto una che si
annoia. Qui e una vera Tebaide: non c'è che da darsi a Dio o al diavolo. Vieni
con me, a Villa d'Este. Voi mi permettete che ve la rubi, non è vero, Rinaldi?
- Ma io desidero che ella si
diverta e sia allegra -.
A Villa d'Este c'era davvero da
stare allegri: musica, balli, regate, corse sui vaporini, escursioni nei
dintorni, un mondo di gente, bellissime toelette, e Polidori, il quale era
l'anima di tutti i divertimenti.
La signora Rinaldi non sapeva che
ci fosse anche lui; e Polidori, se avesse potuto prevedere la sua venuta, le
avrebbe reso il servigio di non farsi trovare a Villa d'Este. Ma oramai aveva
accettato certo incarico nell'organizzare le regate, e non poteva muoversi
senza dar nell'occhio prima che le regate avessero avuto luogo. Egli fece
capire tutto ciò alla signora Rinaldi, brevemente e delicatamente, la prima
volta che si incontrarono nel salone, facendole in certo modo delle scuse
velate, e scivolando sul passato con disinvoltura. Maria, superato quel primo
istante di turbamento, si era sentita rinfrancare non solo, ma, per una strana
reazione, il contegno riservato di lui le metteva in corpo degli accessi matti
d'ironia. Egli diceva che sarebbe partito subito dopo le regate, perché aveva
promesso di trovarsi con alcuni amici in Piemonte, per una gran caccia, e
veramente gli rincresceva lasciare tante belle signore a Villa d'Este.
- Davvero? - domandò la signora
Rinaldi con un certo risolino. - Chi le piace dippiù?
- Ma... tutte, - rispose
tranquillamente Polidori, - la sua amica Erminia per esempio -.
Proprio! Ella non ci aveva mai
pensato: la sua amica Erminia doveva far girare la testa ai signori uomini a
preferenza di ogni altra, col suo visino piccante, e il suo spirito di
diavolessa; così noncurante degli omaggi a cui era avvezza naturalmente - e
marchesa per sopramercato - di quelle marchese che portano la loro corona sì
fieramente, che ogni mortale sarebbe lietissimo di farsi accoppare per
coglierle un fiore.
Colla sua Erminia erano sempre
insieme, sul lago, sul monte, nel salone, sotto gli alberi. Adesso ella la
osservava come se la vedesse per la prima volta; la studiava, la imitava e
qualche volta anche le invidiava dei nonnulla. Senza volerlo, aveva scoperto
che la sua Erminia, con tutte le sue arie da regina, era un tantino civetta, di
quella civetteria che non impegna a nulla, ma contro la quale nondimeno tutti
gli uomini vanno a rompersi il naso. Era un affar serio! Non si poteva fare un
passo senza trovarsi fra i piedi Polidori, il bel Polidori, corteggiato come un
re da tutte quelle signore, il quale senza aver l'aria di avvedersene
comprometteva orribilmente l'Erminia - il peggio era che non se ne avvedeva
neppur lei, e che tutti non accettavano ad occhi chiusi le risate che ella ne
faceva. La signora Rinaldi pensava che se non fosse stato un tasto tanto
delicato, ella l'avrebbe fatto suonare all'orecchio della sua amica, e le
avrebbe fatto osservare che suono falso rendeva.
Perciò si sforzava di non farle
scorgere nemmeno la pena che tutto quell'armeggìo le arrecava, pel bene che
voleva ad Erminia, ben inteso - di Polidori poco le importava - era un uomo e
faceva il suo mestiere, oramai!... eppoi era di quelli che sanno consolarsi. Ma
Erminia aveva tutto da perdere a quel giuoco, con un marito come il suo, che le
voleva bene, ed era proprio un marito ideale. Che talismano possedeva dunque
quel Polidori per eclissare un uomo come il marchese Gandolfi nel cuore di una
donna bella, intelligente e corteggiata come l'Erminia? Certe cose non si sanno
spiegare.
Per nulla al mondo avrebbe voluto
che anima viva si fosse accorta di quel che succedeva, e avrebbe voluto
chiudere gli occhi a tutti gli altri come li chiudeva lei; ma francamente,
c'era da perdere la pazienza.
- Mia cara, io non mi raccapezzo
più, - le diceva Erminia ridendo, tranquilla, come se non si trattasse di lei.
- Cos'hai? Alle volte mi sembra che io debba averti fatto qualcosa di grosso a
mia insaputa! -
Oibò! quella povera Erminia come
s'ingannava!... non le aveva fatto altro che la pena di vederla impaniarsi
spensieratamente in quei pasticcio; anzi di lasciarvisi impaniare, perché quel
Polidori sembrava impastarlo e rimpastarlo a suo grado con un'abilità
diabolica. Doveva averne fatte molte di grosse quell'uomo, per aver acquistato
quella maestria; era proprio un pessimo soggetto!
- Cara Maria! - le disse Erminia
un bel giorno, e con un bel bacione. - Mi sembra che quel Polidori ti trotti un
po' più del dovere per la testa. Guardati! è un individuo pericoloso, per una
bambina come te!
- Io? - rispose ella stupefatta.
- Io?... - e non sapeva trovare altre parole sotto quegli occhioni acuti di
Erminia.
- Tanto meglio! tanto meglio!
M'hai fatto una gran paura! tanto meglio!
- Per una bambina, - pensava
Maria, - non mi usa molti riguardi, la mia Erminia! Certe cose cavano gli
occhi! -
La signora Rinaldi era spietata
per i corteggiatori eleganti, per gli innamorati ad ora fissa, nella
passeggiata del parco o nelle serate di musica, pei conquistatori in guanti di
Svezia. Una volta che Polidori si permise di fare qualche osservazione
rispettosa in propria difesa, ella gli lanciò in faccia uno scoppio di risa
squillanti.
- Oh! oh! -
Egli parve impallidire, colui,
alfine! Siccome le altre signore gli ronzavano sempre attorno come api a Polidori
- la colpa era di quelle signore che lo guastavano - ella soggiunse:
- Non vi fate scorgere, ne sarei
desolata.
- Per chi?
- Per voi, per me... e per gli
altri - per tutto il mondo -.
Questa volta ei non si lasciò
sconcertare dal sarcasmo, e rispose con calma:
- Non mi preme che di voi -.
Ella avrebbe voluto colpirlo in
viso con un altro getto di quella ilarità spietata e mordente, ma il riso le
morì sulle labbra, dinanzi all'espressione che quelle due parole davano a tutta
la fisonomia di lui.
- Potete insultarmi, - rispose
egli, - ma non avete il diritto di dubitare del sentimento che avete messo nel
mio cuore -.
Maria chinò il capo, vinta.
- Non ho rispettato ciecamente la
vostra volontà, quale sia stata? Vi ho chiesto una spiegazione? Non ho prevenuto
il vostro desiderio? e non son riescito a far le viste di aver dimenticato
quello che nessun uomo al mondo potrebbe dimenticare... da voi?... E se ho
sofferto, per questo, c'è alcuno al mondo che mi abbia visto soffrire? -
Egli parlava con voce calma, con
l'atteggiamento tranquillo che davano a quelle parole pacate un'eloquenza
irresistibile.
- Voi!... - balbettò Maria.
- Io! - ribatte Polidori, - che
vi amo ancora, e che non ve lo avrei detto giammai -.
Ella che si era fermata per
strappare le foglie degli arbusti, fece due o tre passi per allontanarsi da
lui, povera bambina! Polidori non ne fece uno solo per seguirla.
La signora Rinaldi era divenuta a
un tratto malinconica e fantastica. Stava delle lunghe ore col libro aperto
alla medesima pagina, colle dita vaganti sulla tastiera del pianoforte, col
ricamo abbandonato sui ginocchi, a contemplare l'acqua, i monti e le stelle. Lo
specchio del lago riverberava tutte le sfumature dei suoi pensieri più
indefiniti, e provava una squisita voluttà a sentirseli ripercuotere dentro di
sé, intenta, assorta. Perciò sfuggiva alle allegre brigate e preferiva errare
in barchetta sul lago, sola, quando i monti vi stendevano larghe ombre verdi, o
quando i remi luccicavano fra le tenebre, come spade d'acciaio, o quando il
tramonto vi spirava tristamente con vaghe strisce amaranti; frapponeva la tenda
fra sé e i barcaiuoli, e coricata sui cuscini godeva a sentirsi cullata
sull'abisso, ad immergervisi quasi, tuffando la mano nell'acqua, sentendosene
guadagnare tutta la persona con un brivido misterioso; le piaceva sprofondare
il suo sguardo nel buio interminato, al di là delle stelle, e a fantasticare su
quel che doveva rischiarare qualche lumicino lontano che tremolava fra il buio,
nella china dei monti. Cercava i viali erbosi, i misteriosi silenzi del
boschetto, o lo spettacolo del lago in quelle ore in cui il sole vi splendeva
come su di uno specchio, o tutte le finestre dell'albergo stavano ancora
chiuse, e la rugiada luccicava sull'erba del prato, e le ombre erano folte
sotto gli alberi giganteschi, e lo scricchiolare della sabbia sotto i suoi
passi le sussurrava all'orecchio misteriose fantasticherie; spesso andava a
leggere o a passeggiare sulla sponda del laghetto, nei viali remoti dei Campi
Elisi, quando la luna si posava dolcemente sul lago e le accarezzava le
mani bianche, o quando le finestre del salone stampavano nel buio del viale
larghi quadrati di luce fredda, e la musica del salone faceva vagare arcane
fantasie sotto le grandi ombre silenziose ed addormentate. Al di là di quelle
ombre misteriose, dietro quei vetri scintillanti, il movimento della festa
ammorzato, velato, acquistava una fusione di colori, di linee e di suoni, che
lo rendeva affascinante, qualcosa fra il baccanale e la danza degli spiriti
alati; allora respirando la vertigine, rimaneva lì, colla fronte sui vetri, con
un formicolìo leggero alla radice dei capelli.
Una sera, tutt'a un tratto, la si
vide comparire in mezzo al ballo come una visione affascinante, più pallida e
più bella che mai, e con qualcosa che nessuno le aveva mai visto sulla bocca e
negli occhi. La folla si apriva commossa dinanzi a lei; Erminia andò ad
abbracciarla; uno sciame di eleganti giovinotti le fece ressa attorno per
strapparle la promessa di un giro di valzer o di una contradanza; ella si fermò
un istante con quel medesimo sorriso sulle labbra, e quegli occhi splendenti
come le lucciole del viale, cercando intorno, e come scorse Polidori gli buttò
il fazzoletto.
- Dio salvi la regina! - esclamò
Polidori piegando un ginocchio.
- Ti rubo il tuo ballerino, sai,
- disse Maria tutta festante alla sua Erminia. - Ho una voglia matta di fare un
bel giro di valzer anche io -.
Polidori era uno di quei
ballerini che le signore si disputano coi sorrisi e a colpi di ventaglio sulle
dita - quando il sorriso ha fatto troppo effetto. Possedeva la forza e la
grazia, lo slancio e la mollezza; nessuno sapeva rapirvi come lui verso le
sfere spumanti d'ebbrezza color di rosa con un colpo di garetto, adagiandovi
sul braccio destro come su di un cuscino di velluto. Dicevano che egli solo
possedesse quell'intelligenza squisita dello Strauss, che vi fa perdere il
fiato e la testa, e sapeva mettere nel braccio, nei muscoli, in tutta la
persona, la foga, l'abbandono, l'estasi. - Non voglio che balliate più! - Non
voglio che balliate con altre - gli disse Maria fermandosi anelante, colle
guance rosse, cogli occhi un po' velati - e fu tutto per quella sera.
Ah! come era trionfante, e come
il cuore le ballava dentro il petto, mentre quel cavaliere invidiato
l'accompagnava fra la folla ammiratrice! e mentre si ravvolgeva stretta nella
sciarpetta nera in mezzo al viale, dove i rumori della festa si dileguavano, e
le fantasticherie sorgevano, vaghe, senza forma, ma assetate ancora! Pareva di
essere in preda a un sogno delizioso, quando al valzer successe un
notturno di Mendelson, un notturno che le passava anch'esso fra i capelli e
sulla fronte, e fra le spalle, come una mano di velluto fresca e odorosa. A un
tratto una figura nera si frappose dinanzi alla luce delle finestre che cadeva
sul viale; il suo sogno le sorgeva improvviso dinanzi come un'ombra. Ella si
alzò di soprassalto, sbigottita, in tumulto, balbettando qualche parola
sconnessa che voleva dir no! no! no! e andò a ricovrarsi nel salone, rifugiandosi
in mezzo al rumore e alla luce - la luce che le faceva socchiudere gli occhi
abbarbagliati, e il rumore che la stordiva gradevolmente, la lasciava intontita
e sorridente, un po' rigida e pensosa. Erminia l'accarezzava quasi fosse un
ninnolo leggiadro; quelle signore dicevano ad una voce che era proprio carina,
così accerchiata dai più eleganti cacciatori di avventure, colle spalle al
muro, come una cerbiatta addossata alla roccia: si sarebbe detto che le
tremolasse negli occhi la lagrima della sconfitta.
Polidori fu degli ultimi ad
assalirla, da cacciatore che la sorte aveva destinato pel colpo di grazia; e
sembrava mosso a pietà della vittima, giacché parlandole con un viso serissimo
della pioggia e del bel tempo, si limitava a farle il suo briciolo di corte,
domandandole con grande interesse di cose indifferentissime: se avesse fatto la
sua gita in barca, se il giorno dopo sarebbe andata alla sua solita passeggiata
mattutina verso i Campi Elisi. - Ella lo guardò negli occhi senza mai
rispondere. Ei non insistette altro.
Erminia si era messa al piano, e
tutti stavano intenti ad ascoltarla; Maria non aveva occhi che per lei, anche
quando li fissava vagamente nelle fantasie dell'ignoto, perché era lei che le
evocava quelle fantasie e l'affascinava con esse: la sala intera splendida e
calda fremeva di armonia. Erano di quei fatali momenti in cui il cuore si
dilata con violenza dentro il petto e soverchia la ragione.
Maria rabbrividiva dalla testa ai
piedi, accasciata nella poltrona, colla fronte nella mano, e Polidori le
sussurrava sul capo parole ardenti che le facevano fremere come cosa animata i
ricci dei capelli sulla nuca bianca. La poveretta non vedeva più nulla, né la
sala splendente, né la folla commossa, né gli occhi lucenti e penetranti di Erminia,
e si abbandonò a quel che credeva il suo destino, senza forza, coll'occhio
vitreo, come una morente.
- Sì! sì! - mormorò con un
soffio.
Polidori si allontanò pian piano,
per lasciarla rimettere, e andò a fumare la sua sigaretta nella sala del
bigliardo.
La brezza del lago fece vacillare
tutta notte le fiammelle dei candelabri posti sul caminetto di lei, che si
guardava nello specchio per delle ore intere, senza vedersi, con occhi fissi,
arsi dalla febbre.
Il signor Polidori passeggiava da
un pezzo pel viale deserto in un'ora mattutina che gli ricordava un convegno di
caccia; non si accorgeva del paesaggio incantevole per altra cosa che per
sprofondarvi delle lunghe occhiate impazienti. Di tratto in tratto si fermava
in ascolto, e rizzava il capo proprio come un levriere. Finalmente si udì un
passo leggiero e timido di selvaggina elegante. Maria giungeva, e appena scorse
Polidori, sebbene sapesse di trovarlo là, si arrestò all'improvviso, sgomenta,
immobile come una statua. Il suo fine profilo arabo sembrava tagliare il velo
fitto. Polidori, a capo scoperto, si inchinò profondamente, senza osare di
toccarle la mano, né di rivolgerle una sola parola.
Ella, anelante, turbata, sentiva
per istinto quanto fosse imbarazzante il silenzio: - Sono stanca! - mormorò con
voce rotta. - L'emozione la soffocava.
Così dicendo seguitò ad
inoltrarsi pel viale che saliva serpeggiando per la china del monte, ed ei le
andava accanto, senza parlare, soggiogati entrambi da una forte commozione.
Così giunsero ad una specie di monumento funerario. Maria si fermò ad un tratto
appoggiando le spalle alla roccia e col viso fra le mani. Infine scoppiò in
lagrime. Allora ei le prese le mani, e vi appoggiò lievemente le labbra, come
uno schiavo. Allorché sentì finalmente che il tremito di quelle povere manine
andava calmandosi, le disse piano, ma con un'intonazione ineffabile di
tenerezza:
- Dunque vi faccio paura?
- Voi non mi disprezzate ora? -
disse Maria. - Non è vero? -
Egli giunse le mani, in
un'espressione ardente di passione ed esclamò:
- Io? Disprezzarvi io? -
Maria sollevò il viso disfatto e
lo fissò con occhi sbarrati, e colle lagrime ancora sul viso mormorava
confusamente parole insensate: - È la prima volta!... ve lo giuro! - Ve lo
giuro, signore!...
- Oh! - esclamò Polidori con
impeto. - Perché mi dite questo? a me che vi amo? che vi amo tanto! -
Quelle parole vibravano come cosa
viva dentro di lei; un istante ella se le premé forte colle mani dentro il
petto, chiudendo gli occhi; ma immediatamente le avvamparono in viso, come avessero
compito in un lampo tutta la circolazione del suo sangue, e le avessero arso
tutte le vene. - No! no! - ripeteva; - ho fatto male, ho fatto assai male! sono
stata una stordita. Credetemi, signore! Non sono colpevole; sono stata una
stordita; sono davvero una bimba, lo dicono tutti, lo dicono anche le mie
amiche -. La poverina cercava di sorridere, guardando di qua e di là
stralunata. - Ho bisogno che non mi disprezziate!
- Maria! - esclamò Polidori.
Ella trasalì, e si tirò indietro
bruscamente, spaventata dall'udire il suo nome. Polidori chino dinanzi a lei,
umile, tenero, innamorato, le diceva:
- Come siete bella! e come è
bella la vita che ha di questi momenti! -
Maria si passava le mani sugli
occhi e pei capelli, confusa, smarrita, e s'accasciava su di sé stessa, e
ripeteva quasi macchinalmente: - Se sapete che affare grosso è stato
l'attraversare il viale, quel viale che ho fatto tutti i giorni. Non avrei mai
creduto che potesse essere così! Davvero! non credevo! - E sorrideva per farsi
coraggio, senza osare di guardar lui, abbandonata contro il sasso che le faceva
da spalliera, tirandosi i guanti sulle braccia, ancora leggermente convulse, e
seguitava a chiacchierare a modo del fanciullo che canta di notte per le strade
onde farsi coraggio. - Sono stata disgraziata! sì, confesso che sono un
cervellino strano! Ho delle pazze tendenze per quel mondo che forse non è altro
se non un sogno, un sogno di gente inferma, sia pure! alle volte mi pare di
soffocare fra tanta ragione in cui viviamo; sento il bisogno d'aria, di andarla
a respirare in alto, dove è più pura ed azzurra. Non è mia colpa se non mi
persuado di esser matta, se non mi rassegno alla vita com'è, se non capisco gli
interessi che preoccupano gli altri. No! non ci ho colpa. Ho fatto il possibile.
Sono in ritardo di parecchi secoli. Avrei dovuto venire al mondo al tempo dei
cavalieri erranti -. Il suo leggiadro sorriso aveva una melanconica dolcezza e
s'abbandonava senz'accorgersene all'incanto che contribuiva a crearsi ella
stessa.
- Beato voi che potete vivere a
modo vostro!
- Io vorrei vivere ai vostri
piedi.
- Tutta la vita? - domandò ella
ridendo.
- Tutta la vita.
- Badate che vi stanchereste, -
gli rispose gaiamente. - Voi dovrete stancarvi spesso! - ripeté Maria con uno
sguardo che cercava di rendere ardito e sicuro.
Polidori la trovava deliziosa nel
suo imbarazzo - soltanto quell'imbarazzo si prolungava troppo.
Prima di venire a
quell'appuntamento, nell'istante supremo di passar l'uscio, Maria aveva provato
tutte le pungenti emozioni che danno la curiosità dell'ignoto, l'attrattiva del
male, il fascino dello sgomento che le serpeggiava nelle vene con brividi
arcani e irresistibili; con una confusione tale di sentimenti e di idee, di
impulsi e di terrore, che l'avevano spinta a precipitarsi nell'ignoto suo
malgrado, in una specie di sonnambulismo, senza sapere precisamente cosa
andasse a fare. Se Polidori le avesse steso le braccia al primo vederla,
probabilmente ella si sarebbe spaccata la testa contro la rupe alla quale
adesso appoggiavasi mollemente, con abbandono. Ora, incoraggiata dal vedersi ai
piedi quell'uomo contrastato e invidiato, sentiva una deliziosa sensazione al
contatto di quel muschio vellutato che le accarezzava le spalle; come le parole
che egli le diceva tenere e ferventi le accarezzavano dolcemente l'orecchio e
se ne sentiva invadere mollemente, come da un delizioso languore. Egli era così
gentile, così rispettoso e così buono! non osava toccarle la punta delle dita,
e si contentava di sfiorarla dolcemente col soffio ardente di quella passione
che lo teneva prostrato dinanzi a lei quasi dinanzi a un idolo. Tutto ciò era
senza ombra di male, e carino, carino. A poco a poco Polidori le aveva preso la
mano, ed ella senza accorgersene gliela aveva abbandonata. Anche lui era sinceramente
e fortemente commosso in quel momento, e cercava gli occhi di lei con occhi
assetati ed ebbri. Ella senza vederli ne sentiva la fiamma, non osava levare i
suoi, e il riso le moriva sulle labbra; non aveva la forza di ritirare le mani
ad ogni nuovo tentativo che faceva, quasi il suono di quelle parole le
addormentasse vagamente in un sonno dolcissimo l'anima e la coscienza, la
facesse entrare in un'estasi angosciosa; Polidori non poteva saziarsi di
ammirarla in quell'atteggiamento, abbandonata su di se stessa, colle braccia
inerti, la fronte china e il petto anelante, e infine esclamò con uno slancio
di passione, stendendo le braccia convulse:
- Come siete bella, Maria, e come
vi amo! -
Ella si rizzò di botto, seria e
rigida, quasi sentisse dirselo per la prima volta.
- Voi lo sapete che vi amo tanto!
da tanto tempo! - ripeteva lui.
Ella non rispondeva; curvando
all'indietro tutta la persona, e a testa bassa, in atteggiamento sospettoso,
colle sopracciglia aggrottate, agitando macchinalmente le mani, come se
cercasse farsene schermo contro qualche cosa, colle labbra pallide e serrate.
Ad un tratto, levando gli occhi sul viso sconvolto di lui, incontrando quegli
occhi, mise un strido soffocato, e si arretrò sino all'ingresso di quella
specie di monumento sepolcrale, bianca di terrore, difendendosi colle braccia
stese da quella passione che l'atterriva ora che vedeva cosa fosse, guardandola
in faccia per la prima volta, balbettando:
- Signore!... signore!... -
Egli ripeteva fuori di sé,
supplichevole, in un'implorazione affascinante di delirio e d'amore:
- Maria! Maria!...
- No! - ripeteva costei smarrita,
- no!...
Polidori si arrestò di botto, e
si passò due o tre volte la mano sulla fronte e sugli occhi con un gesto
disperato. Indi le disse con voce rauca:
- Voi non mi avete mai amato,
Maria!
- No! no! lasciatemi andare! -
ripeteva ella, quando Polidori s'era già allontanato. - Signore!... signore!...
Polidori subiva suo malgrado la
forte commozione di quell'istante, ed era tutto tremante anch'esso come quella
povera ingenua.
- Sentite, abbiamo fatto male! -
ripeteva ella con voce convulsa. - Abbiamo fatto male... - e si sentiva venir
meno.
In quel punto, all'improvviso, si
udì rumore fra le piante e lo scalpiccìo di chi sopraveniva si arrestò poco
lontano, come esitante.
- Maria! - esclamò una voce
talmente alterata che nessuno di loro due la riconobbe: - Maria! -
Polidori, ridivenuto l'uomo di
prima da un momento all'altro, prese vivamente Maria per un braccio e la spinse
pel viale da dove era venuta la voce, e in un lampo scomparve fra gli
andirivieni del sepolcreto. Maria arrivando nel viale, si trovò faccia a faccia
con Erminia, pallida anch'essa, che cercava a fatica di dissimulare il suo
turbamento, e voleva spiegarle qualche cosa, dandosi un'aria indifferente.
Maria le piantò in viso certi occhi che avevano una strana espressione.
- Che vuoi? - le chiese soltanto,
con voce sorda dopo alcuni istanti di un silenzio che sembrò eterno.
- Oh! Maria!... - rispose
Erminia, buttandole le braccia al collo.
E fu tutto. Ritornarono indietro
l'una al fianco dell'altra, senza aprire bocca e a capo chino. Come furono in
vista dell'albergo, sentirono tutte e due a un tempo di dover assumere un
contegno. - Lucia mi aveva detto ch'eri scesa in giardino, - disse Erminia, - e
ciò mi ha fatto venire il desiderio di fare una passeggiata mattutina anch'io,
col pretesto di venire in traccia di te.
- Grazie - rispose Maria
semplicemente.
- Però comincia ad esser troppo
tardi per passeggiare. Il sole è già caldo -.
Maria infatti aveva preso un
colpo di sole che l'aveva abbacinata e stordita. Era rimasta come scossa e
turbata in tutto il suo essere. Alle volte macchinalmente si stringeva le mani,
come per riconoscersi, o per cercarvi qualche cosa, un'impronta del passato, e
chiudeva gli occhi. Quando incontrava degli sguardi curiosi, e tutti le
sembravano curiosi, oppure quelli della sua amica, avvampava in viso. Stava
rincantucciata nel suo appartamento il più che poteva, e quindi molti credevano
che fosse partita. La sola vista di Erminia le faceva corrugare la fronte, e
dava un non so che di fosco a tutta la sua fisionomia. Però era abbastanza
donna di mondo per sapere dissimulare sino a un certo punto i suoi sentimenti,
quali essi fossero. Erminia, che non ne era illusa, provava un vero rammarico.
- Io son sempre la tua Erminia,
sai! - le diceva ogni volta che poteva, scuotendole amorevolmente le mani. - Io
son sempre la tua Erminia, quella di prima! quella di sempre! -
Maria sorrideva a fior di labbra,
gentile e distratta.
- Hai torto, vedi! - ripeteva
Erminia. - Ti inganni!... t'inganni, se credi che io non ti voglia più il bene
di prima! -
Ella aveva infatti delle
sollecitudini materne per la sua Maria, delle sollecitudini che sovente
indispettivano costei, come se prendessero l'aspetto di una sorveglianza
amorevole e discreta. Un giorno Erminia la sorprese mentre stava incominciando
una lettera; e le domandò semplicemente se suo marito le avesse scritto; la
domanda veniva così male a proposito, che Maria fu quasi per arrossire, come se
fosse stata nel punto di dover rispondere una bugia.
- No! mio marito non mi guasta
tanto. È troppo occupato.
- Sì, è troppo occupato! -
affermò Erminia senza rilevare l'ironia della risposta, - è seriamente
occupato. Affoga negli affari, poveretto!
- Che dici mai? se sono la sua
passione, l'unica sua passione!
- Lo credi? - domandò Erminia,
fissandole in faccia quei suoi occhioni acuti.
- Ma sì! - rispose Maria con un
risolino che le contraeva gli angoli della bocca, e aggiunse ancora, come
correttivo: - Non ho alcun motivo di esser gelosa però. Mio marito non giuoca,
non va al caffè, non è cacciatore, non ama i cavalli, non legge che il listino
della Borsa - nulla, ti dico!
- È vero; non ama che te! -
Maria inchinò il capo con un
sorrisetto contraffatto; ma non aggiunse verbo per un pezzo, e poi, amaramente:
- Avete ragione, sono anche
un'ingrata!
- No, non sei ingrata; sei una
donnina viziata, una testolina guasta, che vede falso in molte cose e che non
ci vede in certe altre. Il solo torto di tuo marito è di non averti aperto gli
occhi sul gran bene che ti vuole.
- Fortunatamente che ha
incaricato te di dirmelo.
- Sì, io che ti voglio bene,
anch'io! bene davvero!... Vuoi che partiamo domattina?
- Oooh!
- Ti rincresce?
- No, mi sorprende soltanto la
risoluzione improvvisa, così come si fa nelle commedie, per le ragazze che
hanno abbozzato un romanzetto...
- Scusami; ti ho proposto di
venire con me... Ma se vuoi restare...
- No, voglio venire anch'io. Solamente
bisogna trovare un pretesto plausibile, per non far pensare al romanzo a tutti
i curiosi che ci vedranno ordinare così in furia le nostre valige.
- Il motivo è bello e trovato,
tanto più che è il motivo vero. Io vado ad incontrare mia suocera che arriva
domani da Firenze, e tu naturalmente vieni con me, per non rimaner sola a Villa
d'Este.
- Benissimo! E dacché dobbiamo
partire, più presto sarà meglio sarà. Desidero andare col primo treno -.
Partirono infatti di buon
mattino. A lei scoppiava il cuore passando dinanzi a quelle finestre chiuse,
sulle quali l'ombra dei grandi alberi dormiva tuttora, uscendo da quel viale
deserto, ove si era aggirata fantasticando tante volte.
Il lago, nella pace di quell'ora,
aveva un incantesimo singolare, e ogni menomo particolare del paesaggio si
animava, sembrava che fosse vissuto con lei, le si stampava nell'intimo del
cuore profondamente. Appena fu nel vagone aprì il libro che aveva portato
apposta, e vi nascose il viso e gli occhi pieni di lagrime. Erminia seppe non
avvedersi di nulla, ed ebbe l'accortezza di lasciarle assaporare
voluttuosamente il dolore del distacco.
Alla stazione trovarono la
carrozza di Erminia, la quale volle accompagnare l'amica sino a casa.
- Rinaldi non è a Milano - le
disse rispondendo al movimento di sorpresa che aveva fatto Maria non trovando
nessuno ad aspettarla. - È andato a Roma.
- Senza scrivermelo! senza
lasciarmi una parola! - mormorò Maria.
- Sì, ha scritto. La lettera deve
averla mio marito -.
Ma subito s'interruppe, perché
cominciava a spaventarsi dell'agitazione che si andava manifestando sul viso di
Maria. - Infine, - le disse, - tosto o tardi devi saperlo. Rinaldi è corso a
Roma per regolare degli affari... Sai.. quando si è lontani non vanno sempre
come dovrebbero andare. Tuo marito era inquieto. Colla sua gita accomoderà
tutto.
- Cos'è stato? - balbettava Maria, turbata maggiormente da
quell'annunzio perché la sorprendeva in quel momento. - Cos'è avvenuto?
- Non ti spaventare; tuo marito
sta bene. È accaduto che uno dei suoi debitori è fallito. Questione di denaro.
- Ah! - disse Maria respirando; e
un'ombra d'ironia le tornò sul viso.
Suo marito sembrava che facesse
apposta onde giustificare il sorrisetto amaro di lei. Era così preoccupato del
suo affare che non aveva più testa per nessun'altra cosa al mondo. Passarono
parecchi giorni senza che ei si facesse vivo altrimenti. Alla fine arrivò un
telegramma che mise in grande costernazione il socio di lui, il quale partì
subito per Roma.
- Oh! - esclamò allora Maria con
quell'intonazione pungente che le era divenuta abituale da otto giorni. - Ma
dev'essere proprio un affar serio! Del resto per mio marito sarà sempre un
affar serio. Vuol dire che il mio posto in questa circostanza, sarebbe vicino a
lui. Non me lo dice; ma si capisce che non me ne ha scritto nulla per
delicatezza. E giacché il socio è andato a raggiungerlo, dovrei partire anch'io
-.
Malgrado la leggerezza che
ostentava, fu sorpresa, e rimase inquieta osservando che Erminia approvava il
suo progetto. Per un istante un'idea nera le si affacciò alla mente e le
scolorò il viso; ma subito dopo tornò a ridere nervosamente come prima.
- Se mio marito non mi avesse ben
avvezzata a lasciarlo fare un po' a suo modo, ci sarebbe davvero di che
spaventarsi.
- Spaventarsi di che? di fare un
viaggio sino a Roma? nella bella stagione, e nel paese più bello?...
- Hai ragione; sarà quasi come
andare in villeggiatura. Tanto, Roma o la Brianza è lo stesso. E tu non torni a
Villa d'Este?
- No.
- Oh!...
- Accompagno mia suocera a
Firenze.
- Che peccato!... parlo di Villa
d'Este, perché ci dev'essere una brillante compagnia in questo momento. Sei
proprio una brava figliuola, dovrebbe dirti tua suocera -.
La sera stessa partì per Roma; ma
era in uno stato febbrile che non sapeva spiegarsi, e la sua inquietudine
aumentava avvicinandosi al termine del suo viaggio che le parve eterno. Trovò
suo marito tanto mutato in così breve tempo, che al primo vederlo ne fu quasi
spaventata. Rinaldi le strinse le mani con effusione; ma sembrò più che sorpreso
del suo arrivo improvviso. Egli era così sconvolto che non faceva altro che
ripeterle: - Perché sei venuta? Perché venire?... -
- Non avevo mai visto mio marito
così! - diceva Maria ad Erminia alcuni mesi dopo, la prima volta che la
rivedeva dopo che era tornata a Milano. - Non credevo che la fisonomia di
quell'uomo potesse destare tale impressione, né che egli sapesse dire di quelle
parole, né che la sua voce avesse di quei suoni che vi sconvolgono l'anima da
cima a fondo -. Non l'aveva mai visto così!
Anch'essa era molto mutata, la
povera Maria! aveva una ruga impercettibile fra le sopracciglia, che solcava
finamente il candore purissimo della sua fronte, e alle volte stendeva come
un'ombra su tutta la sua fisonomia.
- Sì: sono stati giorni
terribili, mi par di sentirmeli ancora dentro il petto, come un gruppo nero,
come una fitta dolorosa che mi è quasi cara, tanto è profonda e radicata. Ormai
hanno stampato in me un'orma così indelebile che non potrei scancellarla senza
farmi male. Che momento, quando sorpresi mio marito colla pistola in pugno! che
momento! E come ebbi la forza di avviticchiarmi a lui per impedirgli di morire
- giacché egli voleva morire, me lo ha detto dopo. Non aveva il coraggio di
dirmi che non poteva più comperarmi né cavalli, né palco alla Scala, né
gioielli, nulla! e piangeva, come piangono certi uomini che non hanno pianto
mai, con quelle lagrime che vi scavano un solco dentro all'anima. Quante cose
mi son passate in un lampo per la testa in quel momento in cui sentivo contro il
mio quel cuore che batteva ancora per me, e per me sola! e contro il quale
nascondeva il viso che ardeva!... Tu sei stata assai gentile a venirmi a
trovare ora che sono salita a un quarto piano. Tu sei stata molto gentile!
- Ma tu non lo sei gran fatto, cara
Maria, facendomi di questi ringraziamenti. Vuol dire che non avevi una bella
opinione di me!
- No! ma che vuoi? quando si son
viste tutte le cose che ho viste!... e poi la disgrazia ha questo di peggio,
che ci rende ingiusti... Figurati che quando era corsa la voce che io fossi
vedova!... mi ha fatto un certo senso il vedere che a nessuno fosse venuto in
mente che ero rimasta senza appoggio, laggiù a Roma... nessuno di quelli che
dicevano di avere per me tanta amicizia! Ma non mi lagno, sai! Avevo torto verso
di te poi, ti voglio sempre bene! -
Esitò alquanto e infine le buttò
le braccia al collo con impeto.
- Perdonami! perdonami! Sono
stata ingiusta contro di te, contro di tutti! Ho avuto ragione tante volte! -
Erminia le ricambiava la stretta,
assai commossa anche lei, ma senza risponder verbo.
- Ero folle! - mormorò dopo
un'altra esitazione, col viso contro il petto di Erminia. - Ora non ci penso
più.
- Ed io non ci ho mai pensato, -
disse alfine Erminia ridendo al suo solito, ma con grande sincerità di viso e
di accento.
Maria rizzò il capo vivamente e
le piantò in faccia due occhioni fiammeggianti: - Mai pensato? mai?
- Mai.
- Ma allora... allora non l'ho
amato nemmen io! No! davvero? Mai! -
|