Questa, ogni volta che tornava a
contarla, gli venivano i lucciconi allo zio Giovanni, che non pareva vero, su
quella faccia di sbirro.
Il teatro l'avevano piantato
nella piazzetta della chiesa: mortella, quercioli, ed anche rami interi
d'ulivo, colla fronda, tal quale, ché nessuno si era rifiutato a lasciar
pigliare la sua roba pel Sacro Mistero.
Lo zio Memmu, al vedere nella sua
chiusa il sagrestano a stroncare e scavezzare rami interi, si sentiva quei
colpi di scure nello stomaco, e gli gridava da lontano:
- Che non siete cristiano, compare
Calogero? o non ve l'ha messo il prete l'olio santo, per dare così senza pietà
su quell'ulivastro? - Ma sua moglie, pur colle lagrime agli acchi, andava
calmandolo:
- È pel Mistero; lascialo fare.
Il Signore ci manderà la buon'annata. Non vedi quel seminato che muore di sete?
-
Tutto giallo, del verde-giallo
che hanno i bambini malati, poveretto! sulla terra bianca e dura come una
crosta, che se lo mangiava, e vi faceva venire l'arsura in gola al solo
vederlo.
- Questa è tutta opera di don
Angelino, brontolava il marito, per farsi la provvista della legna, e
chiapparsi i soldi della limosina -.
Don Angelino, il pievano, aveva
lavorato otto giorni come un facchino, col sagrestano, a scavar buche,
rincalzar pali, appendere lampioncini di carta rossa, e sciorinare in fondo il
cortinaggio nuovo di massaro Nunzio, che si era maritato allora allora, e
faceva un ben vedere nel bosco e coi lampioni davanti.
Il Mistero rappresentava la Fuga
in Egitto, e la parte di Maria Santissima l'avevano data a compare Nanni, che
era piccolo di statura, e si era fatta radere la barba apposta. Appena
compariva, portando in collo Gesù Bambino, ch'era il figlio di comare Menica, e
diceva ai ladri: «Ecco il mio sangue!» la gente si picchiava il petto coi
sassi, e si mettevano a gridare tutti in una volta: - Miseremini mei, Vergine
Santa! - Ma Janu e mastro Cola, che erano i ladri, colle barbe finte di pelle
d'agnello, non davano retta, e volevano rapirle il Sacro Figlio per portarlo ad
Erode. Quelli aveva saputo sceglierli il pievano, da fare i ladri! Veri cuori
di sasso erano! ché il Pinto, nella lite che aveva con compare Janu pel fico
dell'orto, gli rinfacciava d'allora in poi: - Voi siete il ladro della Fuga
in Egitto! -
Don Angelino, collo scartafaccio
in mano, badava a ripetere dietro il tendone di massaro Nunzio:
«Vano, o donna, è il pregar;
pietà non sento! - Pietà non sento!» - Tocca a voi, compare Janu -; ché quei
due furfanti avevano persino dimenticata la parte, tal razza di gente erano!
Maria Vergine aveva un bel pregare e scongiurarli, ché nella folla
borbottavano:
- Compare Nanni fa il minchione
perché è vestito da Maria Santissima. Se no li infilerebbe tutti e due col
coltello a serramanico che ci ha in tasca -.
Ma come entrò in scena San
Giuseppe, con quella barba bianca di bambagia, il quale andava cercando la sua
sposa in mezzo al bosco che gli arrivava al petto, la folla non sapeva più star
ferma, perché ladri, Madonna, e San Giuseppe avrebbero potuto acchiapparsi
colle mani, se il Mistero non fosse stato che dovevano corrersi dietro senza
raggiungersi. Qui stava il miracolo - Se i malandrini arrivavano ad acchiappare
la Madonna e San Giuseppe, tutti insieme, ne facevano tonnina, ed anche del
bambino Gesù, Dio liberi!
Comare Filippa, la quale ci aveva
il marito in galera per avere ammazzato a colpi di zappa il vicino della vigna,
quello che gli rubava i fichidindia, piangeva come una fontana, al vedere San
Giuseppe inseguìto dai ladri peggio di un coniglio, e pensava a suo marito,
quando gli era arrivato alla capannuccia della vigna tutto trafelato, coi
gendarmi alle calcagna, e gli aveva detto:
- Dammi un sorso d'acqua. Non ne
posso più! -
Poi l'avevano ammanettato come
Gesù all'orto, e l'avevano chiuso nella stia di ferro, per fargli il processo,
col berretto fra le mani, e i capelli divenuti per intero una boscaglia grigia
in tanti mesi di prigione - l'aveva ancora negli occhi - che ascoltava i
giudici e i testimoni con quella faccia gialla di carcerato. E quando se
l'erano portato via per mare, che non ci era mai stato, il poveretto, colla
sporta in spalla, e legato coi compagni di galera, a resta come le cipolle,
egli si era voltato a guardarla per l'ultima volta con quella faccia, finché
non la vide più, ché dal mare non torna nessuno, e non se ne seppe più nulla.
- Voi lo sapete dove egli sia
adesso, Madre Addolorata! - biascicava la vedova del vivo inginocchiata sulle
calcagna, pregando pel poveretto, che gli pareva di vederlo, là, lontano, nel
nero. Ella sola poteva sapere che razza di angoscia doveva esserci nel cuore
della Madonna, in quel momento che i ladri erano lì lì per agguantare San
Giuseppe pel mantello.
- Ora state a vedere l'incontro
del patriarca San Giuseppe coi malandrini! - diceva don Angelino asciugandosi
il sudore col fazzoletto da naso. E Trippa, il macellaio, picchiava sulla
grancassa - zum! zum! zum! - per far capire che i ladri si accapigliavano con
San Giuseppe. Le comari si misero a strillare, e gli altri raccattavano dei
sassi, per rompere il grugno a quei due birbanti di Janu e di compare Cola,
gridando:
- Lasciate stare il patriarca San
Giuseppe! sbirri che siete! - E massaro Nunzio, per amore del cortinaggio,
gridava anche lui che non glielo sfondassero. Don Angelino allora affacciò la
testa dalla sua tana, colla barba lunga di otto giorni, affannandosi a calmarli
colle mani e colle parole:
- Lasciateli fare! lasciateli
fare! Cosi è scritto nella parte -.
Bella parte che aveva scritto! e
diceva pure che era tutta roba di sua invenzione. Già lui avrebbe messo Cristo
in croce colle sue mani per chiappargli i tre tarì della messa. O compare
Rocco, un padre di cinque figli, non l'aveva fatto seppellire senza uno
straccio di mortorio, perché non poteva spillargli nulla? - là, sotto la pietra
della chiesa, di sera, al buio, che non ci si vedeva a calarlo giù nella
sepoltura, per l'eternità. - E allo zio Menico non aveva espropriata la
casuccia, perché era fabbricata sulla sciara della chiesa, e ci pesava
addosso un censo di due tarì all'anno che lo zio Menico non era riescito a
pagar mai? Allorché aveva fabbricato la casuccia, tutto contento, trasportando
i sassi colle sue mani, non gli passava per la testa che un giorno o l'altro il
pievano glie la avrebbe fatta vendere per quei due tarì del censo. Due tarì
all'anno infine cosa sono? Il difficile era di metterli insieme tutti e due
alla scadenza, e don Angelino gli rispondeva, stringendosi nelle spalle:
- Cosa posso farci, fratel mio?
Non è roba mia; è roba della Chiesa -. Tale e quale come mastro Calogero, il
sagrestano, il quale ripeteva:
- Altare servi, altare ti dà pane
- diceva lui. Adesso s'era appeso alla fune del campanile e suonava a tutto
andare, mentre Trippa batteva sulla gran cassa, e le donne vociferavano: -
Miracolo! Miracolo! -
Qui lo zio Giovanni sentivasi
rizzare in capo i vecchi peli, al rammentare.
Giusto un anno dopo, giorno per
giorno, la vigilia del venerdì santo, Nanni e mastro Cola s'incontrarono in
quello stesso luogo, di notte, che c'era la luna di Pasqua, e ci si vedeva
chiaro come di giorno nella piazzetta.
Nanni stava appiattato dietro il
campanile, per sorprendere chi andasse da comare Venera, ché due o tre volte
l'aveva sorpresa tutta sossopra e discinta, e aveva sentito qualcuno
sgattaiolarsela dal cancello dell'orto.
- Chi c'era qui con te? È meglio
dirmelo. Se vuoi bene ad un altro, io me ne vado via, e buona notte ai
suonatori. Ma sai, quelle cose in testa non voglio portarle! -
Ella protestava che non era vero,
giurava per l'anima di suo marito, e chiamava a testimoni il Signore e la
Madonna appesi a capo del letto, e baciava colle mani in croce quella medesima
sottana di cotonina celeste che aveva imprestato a compare Nanni per fare la
Maria. - Pensaci! pensaci bene a quello che mi dici! - Egli non sapeva che la
Venera s'era incapricciata di mastro Cola quando l'aveva visto a fare il ladro
del Mistero colla barba di pelle d'agnello. - Or bene, - pensò allora - qui
bisogna mettersi alla posta del coniglio come il cacciatore, per accertarsi
della cosa cogli occhi propri -. La donna aveva detto all'altro: - Guardatevi
di compare Nanni. Egli ci ha in testa qualche cosa, al modo che mi guarda, e
come fruga per la casa ogni volta che arriva! - Cola aveva la madre sulle
spalle, che campava del suo lavoro, e non s'arrischiava più di andare da comare
Venera; - un giorno, due, tre, finché il diavolo lo tentò colla luna che
trapelava sino al letto dalle fessure delle imposte, e gli metteva dinanzi agli
occhi ad ogni momento la stradicciuola deserta, e l'uscio della vedova, allo
svoltare della piazzetta di faccia al campanile. Nanni aspettava, nell'ombra,
solo in mezzo alla piazza tutta bianca di luna, e in un silenzio che si udiva
suonare ogni quarto d'ora l'orologio di Viagrande, e il trotterellare dei cani
che andavano fiutando ad ogni cantuccio e frugavano col muso nella spazzatura.
Infine si udì una pedata, rasente i muri, fermarsi all'uscio della Venera, e
bussar piano, una, due volte, e poi più lieve ed in fretta, come uno che gli
batte il cuore dal desiderio e dalla paura, e Nanni si sentiva picchiare anche
lui dentro il petto quei colpi. Poi l'uscio si schiuse, adagio adagio, con uno
spiraglio più nero dell'ombra, e si udì una schioppettata.
Mastro Cola cadde gridando: -
Mamma mia! m'ammazzarono! -
Nessuno udì né vide nulla, per
timore della giustizia; la stessa comare Venera disse che dormiva. Soltanto la
madre, all'udir la schioppettata, si sentì colpita nelle viscere, e corse come
si trovava, a raccattare Cola dall'uscio della vedova, gridando - Figlio mio!
figlio mio! - I vicini si affacciarono coi lumi, e solo rimaneva chiuso
quell'uscio contro il quale la madre disperata imprecava così: - Scellerata!
scellerata! Mi hai assassinato il figliuolo! -
La madre, ginocchioni accanto al
letto del ferito, pregava Dio, giungendo le mani forte forte, cogli occhi
asciutti che sembrava una pazza: - Signore! Signore! Mio figlio, Signore! - Ah!
che mala Pasqua le aveva dato il Signore! Giusto il venerdì santo, mentre
passava la processione, col tamburo e don Angelino incoronato di spine! Ah! che
nero faceva in quella casa! e dall'uscio aperto si vedeva il sole, e i seminati
belli, ché la gente quella volta non aveva avuto bisogno di pregare Dio per la
buona annata, e lasciava solo don Angelino a battersi le spalle colla
disciplina; anzi quando il sagrestano era andato a far legna col pretesto del
Mistero, l'avevano minacciato di rompergli le gambe a sassate, se non andava
via lesto. - Nella sua casa solo si piangeva! ora che tutti erano contenti!
Nella sua casa sola! Buttata lì davanti a quel lettuccio come un sacco di
cenci, disfatta, diventata decrepita tutta in una volta, coi capelli grigi,
pendenti di qua e di là della faccia. E non udiva nessuno della gente che
riempiva la stanza per curiosità. Non vedeva altro che quegli occhi appannati
del figliuolo e quel naso affilato. Gli avevano chiamato il medico; ci avevano
condotta comare Barbara, quella della buona ventura, e la povera madre s'era
levati di bocca tre tarì per fargli dire una messa da don Angelino. Il medico
scrollava il capo. - Qui ci vuol altro che la messa di don Angelino; - dicevano
le comari - qui ci vorrebbe il cotone benedetto di fra' Sanzio l'eremita,
oppure la candela della Madonna di Valverde, che fa miracoli dappertutto -. Il
ferito, col cotone benedetto sullo stomaco, e la candela davanti alla faccia
gialla, spalancava gli occhi appannati, guardando i vicini ad uno ad uno, e
cercava di sorridere alla mamma, colle labbra pallide, per farle intendere che
si sentiva meglio davvero, con quel cotone miracoloso sullo stomaco. Egli
accennava di sì col capo, con quel sorriso tanto triste dei moribondi che
dicono di star meglio. Il medico invece diceva di no; che non avrebbe passato
la notte. E don Angelino, per non screditare la mercanzia, ripeteva:
- Ci vuole la fede per fare i
miracoli. Se non c'è la fede è come lavare la testa all'asino. I santi, le
reliquie, il cotone benedetto, tutte belle cose quando si ha la fede -. La
povera madre ne aveva tanta della fede, che parlava a tu per tu coi Santi e la
Madonna, e diceva alla candela benedetta, presto presto e coi denti stretti: -
Signore! Signore! Voi me la farete la grazia! Voi mi lascerete il mio
figliuolo. Signore! - E il figliuolo ascoltava, intento, cogli occhi fissi
sulla candela, e cercava di sorridere, e dire di sì col capo anche lui.
Tutto il villaggio impazzì a
strologare i numeri di quel fatto: ma chi ci vinse l'ambo fu solo la gnà
Venera. Anzi ci avrebbe preso il terno se ci metteva anche il sangue che si era
trovato nella piazzetta, poiché mastro Cola annaspando e barcollando era andato
a cascare giusto nel punto dove l'anno prima aveva fatto il ladro del Mistero.
Però la gnà Venera dovette spatriare dal paese, perché nessuno gli comperava
più il pane del panchetto, e la chiamavano «la scomunicata». Compare Nanni,
anche lui durò un pezzo a scappare di qua e di là, per le sciare e le chiuse,
ma alla prima fame dell'inverno lo avevano acchiappato di notte vicino alle
prime case del paese, dove aspettava il ragazzo che soleva portargli il pane di
nascosto. Gli fecero il processo e se lo portarono di là del mare, col marito
di comare Filippa.
Anche lui, se non avesse pensato
di mettersi la gonnella della «scomunicata» per fare la Beata Vergine!
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