La prima volta che agguantarono
Tonino in questura, un sabato grasso, fu per via di quelle donne di San
Vittorello, che l'Orbo l'aveva strascinato a far baldoria coi denari della
settimana. Per fortuna non gli trovarono addosso la grossa chiave colla quale
aveva mezzo accoppato il Magnocchi, merciaio.
Erano stati a mangiare e a bere
all'osteria dei «Buoni Amici», lì in San Calimero, e l'Orbo aveva raccattato
pure il Basletta e Marco il Nano - pagava Tonino.
Dopo, pettoruto per la spesa che
aveva fatto, disse: - S'ha da andare al Carcano? - che c'era veglione quella
sera. Ma subito rientrato in sé si pentì della scappata, e contava nella tasca
adagio adagio i soldi che gli restavano.
Gli altri lo sbeffeggiavano. -
Hai paura della mamma, neh? o della Barberina che ti tratta a sculacciate, come
un bambino? - Già se loro andavano al veglione il biglietto lo pagavano a
spintoni, tutti e tre ragazzi che gli bastava l'animo di passare sotto il naso
delle guardie col mozzicone in bocca. E lì in teatro brancicamenti e pizzicotti
alle mascherine, che non cercavano altro, tanto che il Nano e Basletta escirono
a cazzotti, nel tempo che Tonino aveva condotto a bere una Selvaggia, la quale
leticava coi cappelloni ogni volta, a motivo di quel gonnellino di piume che
sventolava come una bandiera. Al caffè, coi gomiti sul tavolino, si erano dette
delle sciocchezze, e la Selvaggia ci rideva su, col petto che gli saltava
fuori, dall'allegria. Tonino gli avrebbe pagata mezza la bottega, sinché ne
aveva in tasca, tanto erano ladri quegli occhi tinti col carbone, e quel fiore
di pezza nei capelli, che gli avevano fatto come un'imbriacatura. E gli
proponeva questo, e gli proponeva quell'altro, come uno che se ne intendeva ed
era del mestiere, tavoleggiante al caffè della Rosa, lì a San Celso. L'Orbo,
accorso all'odor del trattamento, andava dicendo che Tonino era figlio della
prima erbaiuola del Verziere, e poteva spendere. Ma la ragazza voleva tornare a
ballare, to'! Era venuta pel veglione. Poi non aveva più sete; grazie tante;
un'altra volta. Tonino più s'accendeva: - Ancora un valzer, bellezza! - E ci si
metteva tutto, col suo bel garbo di giovane di caffè, pettinato a ricciolini,
dimenando il busto, le gambe che s'intrecciavano a quelle di lei, e sotto il
naso quel petto che gli infarinava il vestito. - Mi lasci andare, caro lei, in
parola d'onore. Ci ho lì il mio ballerino che mi ha pagato il costume, quel
turco che fa gli occhiacci. Se vuol venire a trovarmi sa dove sto di casa, a
San Vittorello; cerchi dell'Assunta -.
Tonino, rosso come un gallo, gli
avrebbe mangiato il naso a quel turco, anima sacchetta! L'Orbo, che gli stava
alle costole non avendo altro da fare, lo calmava così:
- Finiscila, e andiamo a bere -.
Là fuori aspettavano Marco il
Nano e Basletta, masticando un mozzicone di sigaro, e colle mani in tasca. Per
scaldarsi andarono insieme dal Gaina. Tonino, che gli bruciava il sangue dal
bere e dalla gelosia, ed anche di quel che gli dicevano che stesse sotto le
gonnelle di sua sorella, sbraitava che voleva fare uno sproposito, porca l'oca!
Voleva andare ad aspettare l'Assunta in barba al turco, proprio sulla sua
porta, a San Vittorello! E gli altri, Marco il Nano e Basletta, a ridergli sul
naso.
Lui, per mostrare che era in
sensi, non l'avrebbero tenuto in quattro. - Lascia andare, via! A quest'ora non
ci aprono più ti dico. Piuttosto andiamo dal Malacarne che ha il valpolicella
buono! - Tonino, buon figliuolo, da un momento all'altro, dimenticava ogni cosa
e si lasciava condurre dove volevano, allegro come un pesce, sgolandosi a
cantare la Mariettina , e come incontravano delle maschere gli gridavano
dietro delle porcherie.
Il Nano che aveva il vino
donnaiuolo, tornò al discorso dell'Assunta, un bel tocco di ragazza, per bacco,
con quel vestito da selvaggia! E allora Tonino s'infuriava coi compagni che non
lo lasciavano andare dove gli pareva e piaceva, e lo tenevano davvero per un
ragazzo! Così leticando, e colla lingua grossa, avevano fatto senza
accorgersene il Corso di San Celso e via Maddalena, che Tonino alla cantonata
si mise a correre per via San Vittorello, e voleva che gli aprissero a ogni
costo, giacché di sopra c'era ancora il lume. Le donne al sentire i sassi alle
finestre e i calci con cui picchiavano alla porta, si misero a gridare come se
venissero ad accopparle, e non per altro.
Magnocchi il quale era ancora di
sopra coi compagni, scese in istrada.
- Cosa venivano a cercare?
Volevano un salasso pel vino che avevano in corpo? - Te lo darò io il salasso,
barabba! -
Nel parapiglia si udì gridare: -
Ahi! m'ammazzano! - E l'Orbo fu appena in tempo di buttar via la chiave con cui
Tonino aveva rotto il capo a quell'altro, che il ragazzo, pallido come un
morto, non sapeva da che parte scappare, e già si udivano gli stivali delle
guardie.
Ai parenti andarono a dirglielo
il giorno dopo, mentre la sora Gnesa disfaceva il banco, e la Barberina, fuori
la baracca, guardava inquieta di qua e di là se spuntasse il fratello, perché
il padrone del caffè l'aveva mandato a cercare. Fu l'Adele, la ragazza del
barbiere che era venuta a vedere se ci avessero ancora due soldi di ravanelli
rossi, per dopo tavola, e l'aveva sentita in bottega. - Hanno ammazzato quel
che vende i nastri in via San Vittorello, e Tonino era nella rissa -. Per
fortuna il Magnocchi non era morto; ma le donne, madre e figlia, si misero a
strillare che Tonino li aveva precipitati. In un momento tutto il Verziere fu
in rivoluzione. Barberina afferrò in mano le sottane, e via a chiamare il
babbo, che solennizzava la domenica grassa dall'Ambrogio, il primogenito, il
quale teneva pizzicheria in via della Signora. - Hanno arrestato Tonino in via
San Vittorello! - Il sor Mattia, ancora male in gambe, prese il cappello per
correre a San Fedele, e Ambrogio anche lui, scongiurando la sorella di
chetarsi, per non rovinargli il negozio. In Questura li accolsero come cani,
padre e figlio. Li lasciavano lì, sulla panchetta, senza che nessuno gli
badasse, a far perdere tempo al pizzicagnolo, quella giornata, col cappello fra
le mani. Il maresciallo che lo conosceva, gli disse burbero: - Torni domattina.
Ha un bell'arnese di fratello, sa! -
Poi Tonino escì a libertà, col
cappelluccio sulle ventitré. Alla sora Gnesa che piagnucolava e brontolava,
rimbeccò: - Orsù! finitela, mamma! Che son stufo, veh! -
E accese la pipetta. La Barberina
invece non voleva finirla. Gli strillava che era un boia, e loro marcivano
sotto la tenda in Verziere per mantener il signorino in prigione e pagargli i
vizi. Tanto che il fratello voleva darle due ceffoni, e fregarle quella sua
faccia di pettegola colla sua stessa insalata, fregarle! In quella arrivò il
babbo, e si rimise la pipa in tasca, mogio mogio.
- Brigante! - cominciò il sor
Mattia. - Cattivo arnese! non vedi come si lavora noi, tua mamma, tua sorella e
Ambrogio? Ti pare che abbiamo a mantenere i tuoi vizi? Prima che ti accoppino
gli sbirri voglio strozzarti colle mie mani piuttosto! Voglio romperti le ossa!
- Ohè! - sclamava Tonino pallido
come un cencio, e schermendosi coi gomiti. - Ohè! non giocate colle mani,
babbo! non giocate! -
La sora Gnesa strillava peggio di
un oca, e la Barberina faceva accorrere tutto il Verziere. Il babbo diceva le
sue ragioni a tutti. Per dargli uno stato aveva messo Tonino cameriere al caffè
della Rosa, uno dei primi, e il padrone era suo amico. Quando si fosse
impratichito si poteva aprir bottega anche loro; Ambrogio pizzicagnolo, le
donne erbaiuole, lui al banco, tutta un'architettura che faceva rovinare quello
scapestrato! Il sor Mattia soffocava dalla bile. Per non lasciarsi andare a
qualche sproposito se ne tornò in via della Signora.
Ambrogio corse a trovare il
padrone del caffè, pregandolo di ripigliare Tonino, che era pentito e
prometteva di far giudizio.
- Caro lei, è impossibile. Nel
mio mestiere è un affare serio. Ora che in questura hanno preso gusto a vostro
fratello, non mi piace di vedermi quelle facce tutto il giorno in bottega, che
vengono a cercarmelo in cucina e dietro il banco. Ci va del mio negozio. Voi lo
pigliereste? -
Ambrogio non voleva che suo
fratello bazzicasse neppure nella sua bottega, dacché un questurino gli aveva
battuto sulla spalla come a un vecchio amico.
Le donne, il babbo e tutti si
sfogavano allora sul malcapitato, buono a nulla, che restava di peso alla
famiglia, e nessuno lo voleva. - Ero buono soltanto quando portavo a casa i
denari delle mance! - brontolava il ragazzone, che gli facevano mancare quel
che si dice il bisognevole, e lo tenevano in casa come un pitocco.
Un giorno che Basletta lo
incontrò a girandolare fra i banchi del mercato esclamò:
- Tò! Sei qui? È un pezzo che non
ti si vede. Mi paghi da bere? -
Tonino rispose che non aveva
soldi. I suoi di casa gli avevano fatte delle scene per quella storia di San
Vittorello. Basletta, come passavano vicino alla baracca della sora Gnesa,
adocchiò la Barberina che ammazzolava delle rape, colle belle braccia rosse,
nude sino al gomito.
- Finiscila! - borbottò Tonino. -
Non mi piacciono gli scherzi a mia sorella. -
- Guarda! adesso che sei stato in
tribunale ti sei fatto permaloso! Non te la mangio mica tua sorella! Bel modo
di accogliere la gente! -
Voleva condurlo a salutar gli
amici, cent'anni che non lo vedevano. Tonino, nicchiava. - Bestia! pel conto
che fanno di te i tuoi parenti! Piantali, via -.
Ai Buoni Amici trovarono l'Orbo,
che voleva salutar Tonino anche lui, e giuocava a briscola in un cantuccio con
dei carrettieri. Al Verziere non ci veniva più, perché la sora Gnesa lo
accusava di guastargli il figliuolo, e Barberina gli faceva delle partacce. -
Un gendarme, quella ragazza! - Poi dissero che volevano andare a cercare il
Nano, il quale aveva disertato dai Buoni Amici dacché l'oste non gli faceva più
credito.
Prima di scovare dove avesse dato
fondo il Nano dovettero girare mezza dozzina d'osterie. Marco adesso era come
un uccello sul ramo, dacché aveva piantato i Buoni Amici. L'Orbo, che aveva
vinto a briscola, pagò due volte da bere. Poi col Nano si abbracciarono e
baciarono come se uscissero tutti di prigione; e stavolta pagò il Nano.
- Voi altri, - conchiuse, - vi
fate ancora rubare i quattrini da quel dei Buoni Amici. - Belli, quelli amici!
Tutte guardie travestite, la sera! -
Sicché, per farla corta, escirono
in istrada ch'era acceso il gas, e Basletta doveva ancora andare a fare la
mezza giornata del lunedì col principale, che l'aspettava in via dei Bigli, -
c'era da mettere dei tappeti, prima di sera, che arrivavano i padroni! - Orbè!
- rispose il Nano. - Arriveranno senza tappeti, e il principale aspetterà. Io
ho piantato il mio, e piglio lavoro in casa, quando capita, da ebanista. È che
ci vogliono capitali. Ma intendo lavorare a modo mio -.
L'Orbo non gliene importava,
perché s'era guadagnata la giornata a briscola. Egli non aveva mestiere fisso.
Faceva di tutto, facchino, tosatore di cani, stalliere, sensale. Guadagnava
dippiù, ed era libero come l'aria. - Viva la libertà! - esclamò Basletta. -
Quando verrà la repubblica non ci saranno più né giovani né principali -.
E tutti e quattro andavano
ciondolando sul bastione, cantando a squarciagola, e giuocando a spintoni verso
il fossato.
Prima d'arrivare a Porta Romana
videro luccicare nel buio le placche dei carabinieri. Risposero che tornavano
dal lavoro. Tonino allora salutò la compagnia.
- Torna a casa, va, ragazzo! Se
no la Barberina ti dà le sculacciate! - gli gridavano dietro.
- Dacché è stato a San Fedele
quel ragazzo è diventato un pulcino bagnato, - disse l'Orbo. Ma ei non dava
retta. All'Orbo, che lo stuzzicava più davvicino, gli diede una gomitata che
quasi lo faceva ruzzolare nel fossato.
In casa aiutava al negozio delle
donne. Si alzava di notte, per scaricare i carri degli ortolani, rizzava il
banco, accendeva il caldaro per le bruciate. Più tardi scambiava delle
barzellette coi banchi vicini, giuocava di mano colle servotte, pispolava alle
ragazze che passavano. Poi sbadigliava e si stirava le braccia. Ogni giorno
leticava colla sorella che gli lesinava il soldo per la pipa.
- Gli serve per quelle donnacce
di via Pantano, che gli fanno pissi pissi dietro le persiane! - borbottava la
Barberina. Ella non avrebbe dato un cavolo a credenza neppure al sor Domenico,
il vinaio lì sulla cantonata, che era un uomo stagionato e facoltoso, e doveva
sposarla. Tutta intenta al suo negozio, quella ragazza! Il sor Domenico stesso,
alle volte, si muoveva a compassione del ragazzaccio, e gli dava il soldo
ridendo. Tonino, rosso come un pomodoro, lo prendeva perché dovevano essere
cognati; ma gli cuoceva dentro, perbacco!
- Lavora! - gli rinfacciava il
sor Mattia. - Fa quello che facciamo noi, poltronaccio! - E non si sarebbe
mosso per cento lire dal suo posto, accanto al banco del pizzicagnolo, colle
mani in croce sul bastone.
Gli amici, ogni volta che
incontravano Tonino, gli dicevano:
- O scioccone! non vedi che ti
tengono peggio di un cane? Fossi in te li pianterei, loro e il pane che ti fanno
sudare -.
L'Orbo aggiungeva che lui non
voleva mischiarcisi, perché la Barberina minacciava di cavargli gli occhi, se
lo vedeva bazzicare con suo fratello.
- Un accidente, quella ragazza! -
Ora lui cercava di vivere in pace e avere il suo pane assicurato. S'era messo a
fare il facchino in una drogheria. Un buon impiego, niente da fare, e qualcosa
spesso da mettersi in tasca. Tonino giurava che a lui gli bastava l'animo di
pestargli il muso come i gatti, a sua sorella. Volevano vedere?
Ai Buoni Amici era una vergogna
dovere accettare sempre le gentilezze degli altri; o se facevano un litro alla
mora, e gli toccava pagarlo, esser costretto a segnarlo sul muro, col carbone.
Gli davano a credenza perché sapevano di chi era figlio, e che in fin dei conti
avrebbe pagato. Inoltre s'ingegnava con le carte da giuoco, a briscola o a
zecchinetta, talché alle volte andava a finire a pugni e a calci, e l'oste li
cacciava tutti fuori, per non compromettere l'osteria. Già i questurini la
tenevano d'occhio, a motivo di quelle facce che vi bazzicavano, e ogni volta
che c'era da fare una retata per primo mettevano le mani ai Buoni Amici.
Aveva ragione il Nano di dire che
quel posto era peggio del bosco della Merlata. Non si era mai sicuri d'andare a
dormire nel suo letto, quando si passava la sera in quella bettola. Ma egli
stesso vi era tornato per la malinconia di non poterne fare a meno. Là si
radunavano l'Orbo, Basletta, ed altri amici dello stesso fare, che alle volte
conducevano pure delle donne, e si stava allegri, mondo birbone!
A trovare il Basletta veniva
spesso Lippa, una bruna alta appena così, ma col diavolo in corpo, e dicevano
che doveva sposarla in estremis . Basletta brontolava quando lo
chiappava a cena; ma ella gli ficcava le mani nel piatto senza domandare il
permesso, e come non bastasse, alle volte, si tirava dietro anche la Bionda,
magra e allampanata, che ci volevano gli spintoni per risolverla ad entrare, e
si mangiava i piatti cogli occhi. Tonino stesso, per compassione, una volta
l'aveva invitata, e così s'era fatta la conoscenza. Dopo venivano fuori a
passeggiare all'aria aperta sul bastione.
- Mia sorella non vuol capirla
che alla mia età ho bisogno di denari anch'io! - brontolava fra di sé. - Gli
par che tutti non abbiano altro in mente fuori del negozio, come il suo vinaio.
- E tu ingégnati! - gli rispose
l'Orbo. Marco il Nano in quei giorni aveva fatto un negozio, che arrivava
sempre colle tasche piene, e gli altri ne parlavano sottovoce fra di loro. Le
guardie di questura quando venivano a fiutare il vento, e vedevano che
cambiavano discorso, o tacevano subito, battevano sulla spalla di Tonino, e gli
ripetevano: - Bada bene, che ci torni a San Fedele! -
La Bionda, se leticavano sul
bastione, perché Tonino era geloso, gli diceva colla faccia pallida: - Hai
ragione, tò! ma io sono una povera ragazza, e bisogna che m'aiuti! - Lui si
struggeva sentendosela spiattellare in faccia, con quella voce calma, e quegli
occhi grigi che lo guardavano tranquillamente sotto il lampione. Spesso erano
insieme, lui, l'Orbo e Marco il Nano colla Bionda, briachi tutti e quattro, che
ogni volta allungavano le manacce Tonino avrebbe fatto un omicidio. E poi da
solo ruminava ciò che gli rinfacciava la Barberina, che bisognava prima d'ogni
altro ingegnarsi.
E s'ingegnò davvero. La Barberina
non sapeva che dovesse ingegnarsi appunto col suo cassetto, una notte che tutti
dormivano in bottega, e che si era messo a lavorare attorno al banco con un
chiodo storto in punta. Fatto il tiro spalancò l'uscio, e si mise a gridare al
ladro, come se la Barberina fosse donna da lasciarsi infinocchiare. Ma essa lo
abbrancò pel collo, in camicia com'era, e voleva mandarlo in galera senza dar
retta a lui che giurava e spergiurava, colle mani in croce, di non saper nulla.
Accorsero la mamma, Ambrogio e il sor Mattia, a fargli vomitare il morto, e
così lo cacciarono via nudo e crudo, che la Bionda, quando lo vide arrivare con
quella faccia, non ebbe il coraggio di chiudergli l'uscio sul naso.
L'Orbo, che era diventato amico
di casa, gli predicava: - Se vuoi vivere alle spalle di quella povera ragazza,
sei un maiale ve'! -
Lei pure gli seccava d'averlo
sempre attaccato alle sottane, che non gli lasciava mezz'ora di libertà colla
sua gelosia; e lo mandava a lavorare. Egli sospettava che fosse per godersela
insieme all'Orbo.
- Ti giuro che voglio bene
soltanto a te! - rispondeva lei. - Ma che vuoi farci? Non son mica una signora!
-
E lui se ne andava, col cuore
stretto in un pugno.
Un bel giorno arrestarono il Nano
e Basletta, per un furto di certi pacchi di candele nella drogheria dov'era
l'Orbo, e Tonino pure, col pretesto che l'avevano trovato sul canto di via
Armorari a far la guardia. Lui e il suo avvocato giuravano che era a far
tutt'altro, e ci si trovava per una sua occorrenza. Ma fu inutile: lo condannarono
alla prigione. Nel carcere però correva voce che la Bionda s'era messa
coll'Orbo, e aveva fatto la spia per levarsi Tonino di fra i piedi, e papparsi
le tre lire della denuncia. Tonino non voleva crederci; eppure il babbo, la
mamma, suo fratello Ambrogio, persino la Barberina, erano venuti a visitarlo in
carcere, rinfacciandogli che glielo avevano predetto. - Ma tant'è, erano
venuti! E lui piangeva e si sentiva alleggerire il cuore. - Ma la Bionda no!
Dicevano che avevano visto l'Orbo
coi panni di Tonino, una giacchetta a scacchi, che era ancora nel cassettone
della Bionda, quando l'avevano arrestato.
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