I viaggiatori che erano nelle
prime carrozze del treno per Como, poco dopo Sesto, sentirono una scossa, e una
vecchia marchesa, capitata per sua disgrazia fra un giovanotto e una damigella
di quelle col cappellaccio grande, sgranò gli occhi e arricciò il naso.
Il signorino aveva una magnifica
pelliccia, e per galanteria voleva dividerla colla sua vicina più giovane,
sebbene fosse primavera avanzata. Fra il sì e il no, stavano appunto
aggiustando la partita, nel momento in cui il treno sobbalzò. Per fortuna la
marchesa era conosciuta alla stazione di Monza, e si fece dare un posto di
cupé.
I giornali della sera
raccontavano:
«Oggi, nelle vicinanze di Sesto,
fu trovato il cadavere di uno sconosciuto fra le rotaie della ferrovia.
L'autorità informa».
I giornali non sapevano altro.
Una frotta di contadini che tornavano dalla festa di Gorla si erano trovati
tutt'a un tratto quel cadavere fra i piedi, sull'argine della strada ferrata, e
avevano fatto crocchio intorno curiosi per vedere com'era. Uno della brigata
disse che incontrare un morto la festa porta disgrazia; ma i più ne levano i
numeri del lotto.
Il cantoniere, onde sbarazzare le
rotaie, aveva adagiato il cadavere nel prato, fra le macchie, e gli aveva messa
una manciata d'erbacce sulla faccia, ch'era tutta sfracellata, e faceva un
brutto vedere, per chi passava. Fra un treno e l'altro corsero il pretore, le
guardie, i vicini, e com'era la festa dell'Ascensione, nei campi verdi si
vedevano i pennacchi rossi dei carabinieri e i vestiti nuovi dei curiosi.
Il morto aveva i calzoni tutti
stracciati, una giacchetta di fustagno logora, le scarpe tenute insieme collo
spago, e una polizza del lotto in tasca. Cogli occhi spalancati nella faccia
livida, guardava il cielo azzurro.
La giustizia cercava se era il
caso di un assassinio per furto, o per altro motivo.
E fecero il verbale in regola, né
più né meno che se in quelle tasche ci fossero state centomila lire. Poi
volevano sapere chi fosse, e d'onde venisse; nome, patria, paternità e
professione. D'indizi non rimanevano che la barba rossa, lunga di otto giorni,
e le mani sudice e patite: delle mani che non avevano fatto nulla, e avevano
avuto fame da un gran pezzo.
Alcuni l'avevano riconosciuto a
quei contrassegni. Fra gli altri una brigata allegra che faceva baldoria a
Loreto. Le ragazze che ballavano, scalmanate e colle sottane al vento, avevano
detto:
- Quello là non ha voglia di
ballare! -
Egli andava diritto per la sua
strada, colle braccia ciondoloni, le gambe fiacche, e aveva un bel da fare a
strascinare quelle ciabatte, che non stavano insieme. Un momento s'era fermato
a sentir suonare l'organetto, quasi avesse voglia di ballar davvero, e guardava
senza dir nulla. Poi seguitò ad allontanarsi per il viale che si stendeva largo
e polveroso sin dove arrivava l'occhio. Camminava sulla diritta, sotto gli
alberi, a capo chino. Il tramvai era stato a un pelo di schiacciarlo, tanto che
il cocchiere gli aveva buttato dietro un'imprecazione e una frustata. Egli
aveva fatto un salto disperato per scansare il pericolo.
Più tardi lo videro sul limite di
un podere, seduto per terra, in attitudine sospetta. Pareva che strologasse la
pezza di granoturco, o che contasse i sassi del canale. Il garzone della
cascina accorse col randello, e gli si accostò quatto quatto. Voleva vedere
cosa stesse macchinando là quel vagabondo, mentre le pannocchie del granoturco
ci voleva del tempo ad esser mature, e in tutto il campo, a farlo apposta, non
vi sarebbe stato da rubare un quattrino.
Allorché gli fu addosso vide che
si era cavate le scarpe, e teneva il mento fra le palme. Il garzone, col
randello dietro la schiena, gli domandò cosa stesse a far lì, nella roba
altrui; e gli guardava le mani sospettoso. L'altro balbettava senza saper
rispondere, e si rimetteva le scarpe mogio mogio. Poi si allontanò di nuovo,
col dorso curvo, come un malfattore.
Andava lungo l'argine del canale,
sotto i gelsi che mettevano le prime foglie. I prati, a diritta e a sinistra,
erano tutti verdi. L'acqua, nell'ombra, scorreva nera, e di tanto in tanto
luccicava al sole, un bel sole di primavera, che faceva cinguettare gli
uccelli.
Il garzone aggiunse ch'era
rimasto più di un'ora in agguato per vedere se tornasse quel vagabondo; e non
avrebbe mai creduto che facesse tante storie per andare a finire sotto una
locomotiva. L'aveva riconosciuto da quelle scarpe che non si reggevano neppure
collo spago, e gli erano saltate fuori dai piedi, di qua e di là dalle rotaie.
- Gli è che al momento in cui le
ruote vi son passate di sopra quei piedi hanno dovuto sgambettare! - osservò il
cameriere dell'osteria, corso sin là all'odore del morto come un corvo, in
giubba nera e col tovagliuolo al braccio. Egli aveva visto passare quello
sconosciuto dall'osteria verso mezzogiorno: una di quelle facce affamate che vi
rubano cogli occhi la minestra che bolle in pentola, quando passano. Perfino i
cani l'avevano odorato, e gli abbaiavano dietro quelle scarpacce che si
slabbravano nella polvere.
Come il sole tramontava l'ombra
del cadavere si allungava, dai piedi senza scarpe, a guisa di spaventapassere,
e gli uccelli volavano via silenziosi. Dalle osterie vicine giungevano allegri
il suono delle voci e la canzone del Barbapedana. In fondo al cortile, dietro
le pianticelle magre in fila si vedevano saltare e ballare le ragazze
scapigliate. E quando il carro che portava i resti del suicida passò sotto le
finestre illuminate, queste si oscurarono subito dalla folla dei curiosi che
s'affacciavano per vedere. Dentro, l'organetto continuava a suonar il valzer di
Madama Angot.
Più tardi se ne seppe qualche
cosa. La affittaletti di Porta Tenaglia aveva visto arrivare quell'uomo della
barba rossa una sera che pioveva, era un mese, stanco morto, e con un
fardelletto sotto il braccio che non doveva dargli gran noia. Ed essa glielo
aveva pesato cogli occhi per vedere se ci erano dentro i due soldi pel letto
prima di dirgli di sì. Egli aveva domandato prima quanto si spendeva per
dormire al coperto. Poi ogni giorno che Dio mandava in terra aspettava che gli
arrivasse una lettera, e si metteva in viaggio all'alba, per andar a cercare
quella risposta, colle scarpe rotte, la schiena curva, stanco di già prima di
muoversi. Finalmente la lettera era venuta, col bollino da cinque. Diceva che
nell'officina non c'era posto. La donna l'aveva trovata sul materasso, perché
lui quel giorno era rimasto sino a tardi col foglio in mano, seduto sul letto,
colle gambe ciondoloni.
Nessuno ne sapeva altro. Era
venuto da lontano. Gli avevano detto: - A Milano, che è città grande, troverete
-. Egli non ci credeva più; ma s'era messo a cercare finché gli restava qualche
soldo.
Aveva fatto un po' di tutti i
mestieri: scalpellino, fornaciaio, e infine manovale. Dacché si era rotto un
braccio non era più quello; e i capomastri se lo rimandavano dall'uno
all'altro, per levarselo di fra' piedi. Poi quando fu stanco di cercare il pane
si coricò sulle rotaie della ferrovia. A che cosa pensava, mentre aspettava,
supino guardando il cielo limpido e le cime degli alberi verdi? Il giorno
innanzi, mentre tornava a casa colle gambe rotte, aveva detto: - Domani! -
Era la sera del sabato; tutte le
osterie del Foro Bonaparte piene di gente fin sull'uscio, al lume chiaro del
gas, dinanzi alle baracche dei saltimbanchi, affollata alle banchette dei
venditori ambulanti, perdendosi nell'ombra dei viali, con un bisbiglio di voci
sommesse e carezzevoli. Una ragazza in maglia color carne suonava il tamburo
sotto un cartellone dipinto. Più in là una coppia di giovani seduti colle
spalle al viale si abbracciavano. Un venditore di mele cotte tentava lo stomaco
colla sua mercanzia.
Passò dinanzi una bottega
socchiusa; c'era in fondo una donna che allattava un bimbo, e un uomo, in
maniche di camicia, fumava sulla porta. Egli camminando guardava ogni cosa, ma
non osava fermarsi; gli sembrava che lo scacciassero via, via, sempre via. I
cristiani pareva che sentissero già l'odor del morto, e lo evitavano. Solo una
povera donna, che andava a Sesto curva sotto una gran gerla e brontolando, si
mise a sedersi sul ciglio della strada accanto a lui per riposarsi; e cominciò
a chiacchierare e a lamentarsi, come fanno i vecchi, ciarlando dei suoi poveri
guai: che aveva una figlia all'ospedale, e il genero la faceva lavorare come
una bestia; che gli toccava andare fino a Monza con quella gerla lì, e aveva un
dolore fisso nella schiena che gliela mangiavano i cani. Poi anch'essa se ne
andò per la sua strada, a far cuocere la polenta del genero che l'aspettava. Al
villaggio suonava mezzogiorno, e tutte le campane si misero in festa per
l'Ascensione. Quando esse tacevano una gran pace si faceva tutto a un colpo per
la campagna. A un tratto si udì il sibilo acuto e minaccioso del treno che
passava come un lampo.
Il sole era alto e caldo. Di là
della strada, verso la ferrovia, le praterie si perdevano a tiro d'occhio sotto
i filari ombrosi di gelsi, intersecate dal canale che luccicava fra i pioppi.
- Andiamo, via! è tempo di
finirla! - Ma non si muoveva, col capo fra le mani. Passò un cagnaccio randagio
e affamato, il solo che non gli abbaiasse, e si fermò a guardarlo fra esitante
e pauroso; poi cominciò a dimenar la coda. Infine, vedendo che non gli davano
nulla, se ne andò anch'esso; e nel silenzio si udì per un pezzetto lo
scalpiccìo della povera bestia che vagabondava col ventre magro e la coda
penzoloni.
Gli organetti continuarono a
suonare, e la baldoria durò sino a tarda sera, nelle osterie. Poi, quando le
voci si affiocarono e le ragazze furono stanche di ballare, ricominciarono a
parlare del suicidio della giornata. Una raccontò della sua amica, bella come
un angelo, che si era asfissiata per amore, e l'avevano trovata col ritratto
del suo amante sulle labbra, un traditore che l'aveva piantata per andare a
sposare una mercantessa. Ella sapeva la storia con ogni particolare; erano
state due anni a cucire allo stesso tavolo. Le compagne ascoltavano mezze
sdraiate sul canapè, facendosi vento, ancora rosse e scalmanate. Un giovanotto
disse che egli, se avesse avuto motivo di esser geloso, avrebbe fatta la festa
a tutti e due, prima lei e poi lui, con quel trincetto che portava indosso,
anche quando non era a bottega - non si sa mai! - E si posava colle mani in
tasca davanti alle ragazze, che lo ascoltavano intente, bel giovane com'era,
coi capelli inanellati che gli scappavano di sotto a un cappelluccio piccino
piccino. Il cameriere portò delle altre bottiglie, e tutti, coi gomiti
allungati sulla tovaglia, parlavano di cose tenere, cogli occhi lustri,
stringendosi le mani. - In questo mondo cane non c'è che l'amicizia e un po' di
volersi bene. Viva l'allegria! Una bottiglia scaccia una settimana di
malinconia.
Alcuni si misero in mezzo a
rappattumare due pezzi di giovanotti che volevano accopparsi per gli occhi
della morettina che andava dall'uno all'altro senza vergogna. - È il vino! è il
vino! - si gridava. - Viva l'allegria! - I pacieri furono a un pelo di
accapigliarsi coll'oste per alcune bottiglie che vedevano di troppo sul conto.
Poi tutti uscirono all'aria fresca, nella notte ch'era già alta. L'oste stette
un pezzetto sprangando tutte le porte e le finestre, facendo i conti sul
libraccio unto. Poi andò a raggiungere la moglie che sonnecchiava dinanzi al
banco, col bimbo in grembo. Le voci si perdevano in lontananza per la strada,
con scoppi rari e improvvisi di allegria. Tutto intorno, sotto il cielo
stellato, si faceva un gran silenzio, e il grillo canterino si mise a stridere
sul ciglio della ferrovia.
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