Il colèra mieteva la povera gente
colla falce, a Regalbuto, a Leonforte, a San Filippo, a Centuripe, per tutto il
contado - e anche dei ricchi: il parroco di Canzirrò, ch'era scappato ai primi
casi, e veniva soltanto in paese per dir messa a sole alto, l'aveva pigliato
nell'ostia consacrata: a don Pepè, il mercante di bestiame, gliel'aveva dato
invece in una presa di tabacco, alla fiera di Muglia, un sensale forestiero -
per conchiudere il negozio - diceva lui. Cose da far rizzare i capelli in
testa! Avvelenata persino la fontana delle Quattro Vie; bestie e cristiani vi
restavano, là! a Rosegabella, venti case, un bel giorno era capitato il
merciaiuolo, di quelli che vanno in giro colle scarabattole in spalla, e quanti
misero il naso fuori per vedere, tanti ne morirono, fin le galline. Ciascuno badava
quindi ai casi propri, collo schioppo in mano, appiattato dietro l'uscio,
accanto la siepe, bocconi nel fossatello, per le fattorie, nei casolari, da per
tutto. Quelli di San Marino s'erano anche armati, uomini e donne. Volevano
morir piuttosto di una schioppettata, o d'altra morte che manda Dio. Ma il
colèra, no, non lo volevano!
Nonostante, lo scomunicato male
andavasi avvicinando di giorno in giorno, tale e quale come una creatura col
giudizio, che faccia le sue tappe di viaggio, senza badare a guardie e a
fucilate. Oggi scoppiava a Catenavecchia, il giorno dopo si sentiva dire che
era alla Broma, cinque miglia soltanto da San Marino. Una povera donna gravida
di sei mesi, per aver aiutato certa vecchia che l'era caduto l'asino dinanzi
alla sua porta, e fingeva di piangere e disperarsi, era stata presa da dolori
quasi subito, ed era morta, lei e il bambino: sangue d'innocente che grida
vendetta dinanzi a Dio!
La sera, da quelle parti, chi
aveva il coraggio di arrischiarsi sino in cima alla salita, vedeva dietro la
china che nasconde il paesetto i fuochi e i razzi avvelenati che sembravano
quelli della festa del santo patrono, tutti col capitombolo verso San Martino,
e il domani poi si trovavano le macchie d'unto per terra e lungo i muri; qua e
là si sussurrava dei rumori strani che si udivano la notte: gatti che
miagolavano come in gennaio, tegole smosse quasi tirasse il maestrale, gente
che aveva udito bussare all'uscio dopo la mezzanotte - nientemeno - e dei carri
che passavano per le stradicciuole più remote, come delle macchine asmatiche
che andavano strascinandosi di porta in porta, soffiando e sbuffando, il
Signore ce ne scampi e liberi!
Il venerdì, verso mezzogiorno,
Agostino, quello delle lettere, era tornato dal rilievo della Posta colla borsa
vuota e tutto stravolto. Sua moglie, poveretta, al vederlo con quel viso, si
cacciò le mani nei capelli: - Che avete fatto, scellerato? Dove l'avete preso
tutto quel male in un momento? - Egli non sapeva dirlo. Laggiù, arrivato al
ponte, s'era sentito stanco tutt'a un tratto, e s'era seduto un momento sul
parapetto. Prima di lui c'era seduto un viandante, il quale si asciugava il
sudore con un fazzoletto turchino. - Don Domenico, il fattore, l'aveva
predicato tante e tante volte, di badare sopra tutto a certe facce nuove che
andavano intorno, per le vie, e nelle chiese perfino! (Potevate sospettarlo,
nella casa di Dio?) Cavavano fuori il fazzoletto, finta di soffiarsi il naso, e
lasciavano cadere certe polverine invisibili, che chi ci metteva il piede sopra
poi, per sua disgrazia, era fatta!
Il giorno stesso, a precipizio,
chi aveva qualche cosa da portar via, e un buco dove andare a rintanarsi, in
una grotta, fra le macchie dei fichidindia, nelle capannucce delle vigne, era
fuggito dal villaggio. Avanti il somarello, con quel po' di grano o di fave, il
cesto delle galline, il maiale dietro, e poi tutta la famiglia, carica di roba.
Quelli che erano rimasti, i più poveri, da principio avevano fatto il diavolo,
minacciando di sfondar le porte chiuse, e bruciare le case dei fuggiaschi;
poscia erano corsi a tirar fuori dal magazzino tutti i santi del paese, come
quando si aspetta la pioggia o il bel tempo, l'Addolorata, coi sette pugnali di
stagno, san Gregorio Magno, tutto una spuma d'oro, san Rocco miracoloso che mostrava
col dito il segno della peste, sul ginocchio. All'ora della benedizione, nel
crepuscolo, quelle statue ritte in cima all'altare buio, facevano arricciare i
peli ai più induriti peccatori. Si videro delle cose allora da far piangere di
tenerezza gli stessi sassi: Vito Sgarra che si divise dalla Sorda, colla quale
viveva in peccato mortale da dieci anni; padre Giuseppe Maria a far la croce
sul debito degli inquilini che proprio non potevano pagarlo; Angelo il
Ciaramidaro andare a messa e a comunione come un santo, senza che gli sbirri
gli dessero noia, e la notte dormire tranquillo nel suo letto, colla disciplina
irta di chiodi e insanguinata al capezzale, accanto allo schioppo carico che ne
aveva fatte tante. Misteri della Grazia! come diceva il predicatore. Tutta la
notte, in fondo alla piazzetta, si vedeva la finestra della chiesa illuminata
che vegliava sul villaggio, e di tratto in tratto udivasi martellare la
campana, alla quale rispondeva da lontano una schioppettata, poi un'altra, poi
un'altra - una fucilata che non finiva più, pazza di terrore, e si propagava
per le fattorie, pei casolari, per le ville, per tutta la campagna circostante,
dove i cani uggiolavano, sino all'alba.
La domenica mattina, spuntava
appena l'alba, si vide una cosa nuova nel Prato della Fiera, appena fuori del
villaggio. Era come una casa di legno, su quattro ruote, con certe figuracce
brutte dipinte sopra, e lì vicino un vecchio carponi, che andava cogliendo erbe
selvatiche. I cani avevano dato l'allarme tutta la notte, e quello del
maniscalco, che stava da quelle parti, non s'era dato pace, quasi avesse il
giudizio!
- Eccolo lì, povera bestia! gli
manca solo la parola! -
Il maniscalco raccontava a tutti
la stessa cosa, via via che andavasi facendo gente dinanzi alla bottega. La
gente guardava il cane, guardava la baracca, e scrollava il capo.
Dirimpetto, sugli scalini della
croce in campo alla strada, c'erano altri in crocchio che guardavano, e
parlavano sottovoce fra di loro, col viso scuro. Dal muro del cimitero spuntava
lo schioppo di Scaricalasino, malarnese, che accennava a tre o quattro altri
suoi compagni della stessa risma, lontan lontano, verso la Broma, e poi verso
Catenanuova, con gran gesti neri al sole. Dal ballatoio della gnà Giovanna suo
marito chiamava gente anche lui, in fondo alla piazza, agitando le braccia in
aria. - Quello! Quello! - gridavasi da un crocchio all'altro. E il vecchio
carponi era corso a rintanarsi. Sul finestrino del carrozzone era passata una
figura scarna di donna, coi capelli scarmigliati; poi s'erano uditi strilli di
ragazzi e pianti soffocati. Dalla strada principale giungevano il farmacista,
il Capo Urbano, le guardie, col giglio sul berretto e grossi randelli in mano.
La folla dietro, come un torrente, mormorando, uomini torvi, donne col lattante
al petto. Da lontano, verso San Rocco, la campana sonava sempre a distesa. Don
Ramondo, colle mani e colla voce andava dicendo alla folla: - Largo, largo,
signori miei! Lasciatemi vedere di che si tratta -. Poi sgusciarono dentro il
baraccone tutti e due, lui e il Capo Urbano; le guardie sbatterono l'uscio sul
naso ai più riottosi. Ci fu un po' di parapiglia, un po' di schiamazzo, qualche
pugno sulla faccia. Infine il farmacista e il Capo Urbano ricomparvero vociando
tutti e due che non era nulla, il Capo Urbano sventolando un foglio di carta in
aria, don Ramondo sgolandosi a ripetere: - Niente! Niente! Son poveri
commedianti che vanno intorno per buscarsi il pane. Poveri diavoli morti di
fame -.
La folla nonostante li seguiva
mormorando e accavallandosi come un mare. Sulla piazza il Capo Urbano fece
anche lui il suo discorsetto: - Via! via! State tranquilli. Sono o non sono il
Capo Urbano? - Poi infilò l'uscio della farmacia con don Ramondo. La folla
cominciò a diradarsi. Alcuni andarono a casa, a contar la notizia; altri,
siccome il sagrestano si slogava sempre a sonare a messa, entrarono in chiesa.
Qualcheduno, più ostinato, ritornò verso il Prato della Fiera. Quei poveri diavoli
di comici, che si tiravano dietro la loro casa al par della lumaca, passato il
temporale, tornarono a metter fuori le corna ad uno ad uno, appunto come fa la
lumaca. Il vecchio aveva sciorinato all'uscio un gran cartellone dipinto. La
moglie, con un tamburo al collo, chiamava gente; i ragazzi, camuffati da
pagliacci, facevano mille buffonerie, e la giovinetta, colle gambe magre nella
maglie color di carne fresca, un fiore di carta nei capelli, il gonnellino più
gonfio di una bolla di sapone, le braccia e le spalle nere fuori dal corpetto
di seta stinta, soffiava nella tromba, col poco fiato del suo petto scarno.
Pure era una novità pel paese, e i giovinastri correvano a vedere, spingendosi
col gomito. Inoltre i comici avevano altri richiami per il pubblico: un
cardellino che dava i numeri del lotto; il ronzino che contava le ore, e
indovinava gli anni degli spettatori colla zampa; un ragazzo che camminava
sulle mani, portando in giro, stretto fra i denti, il piattello per raccogliere
la buona grazia. Quando si era fatta un po' di gente, calavano il tendone
un'altra volta, e rientravano tutti a rappresentare la commedia coi burattini,
la donna col tamburone al collo, gridando sempre dalla piattaforma: - Avanti,
signori! Avanti, che comincia! - Si pigliava alla porta quel che si poteva: un
baiocco, delle fave, qualche manciata di ceci anche. I ragazzi gratis. Fino
alla sera, tardi, ci fu ressa dinanzi alla baracca, sotto il gran lampione
rosso che chiamava gente da lontano. Amici e conoscenti si vociavano da un capo
all'altro del Prato della Fiera; si scambiavano i frizzi salati e le parolacce
come dentro avevano fatto Pulcinella e la Colombina. Nessuno pensava più al
castigo di Dio che avevano addosso.
Ma la notte - ci volevano più di
due ore alla messa dell'alba - tac tac, vennero a chiamare in fretta lo
speziale. - Presto, alzatevi, don Ramondo, ché dai Zanghi hanno bisogno di voi!
- Il poveraccio non riusciva a trovare i calzoni al buio, in quella confusione.
Zanghi, steso sul letto, freddo, colla barba arruffata, andava acchiappando
mosche, colle mani fuori del lenzuolo, le mani nere, gli occhi in fondo a due
buchi della testa. Sua moglie seminuda, coi capelli sulle spalle, tutta gonfia
e arruffata anche lei come una gallina ammalata, correva per la stanza,
cercando di aiutarlo senza saper come, coi figliuoli che le strillavano dietro.
- Dottore! dottore! Cos'è? che ve ne pare? - Don Ramondo non diceva nulla:
guardava, tastava, versava la medicina nel cucchiaio, colle mani tremanti, la
boccetta che urtava ogni momento nel cucchiaio, e faceva trasalire al
tintinnìo. E il malato pure, colla voce cavernosa, che sembrava venire dal
mondo di là, balbettando: - Don Ramondo! Don Ramondo! Che non ci sia più aiuto
per me? fatelo per questi innocenti, ché son padre di famiglia! - Poi, come
s'irrigidì, colla barba in aria, e i figliuoli si misero ad urlare più forte,
aggrappandosi alle coperte di lui che non udiva, don Ramondo prese il suo
cappello, e la donna gli corse dietro in sottana com'era, colle mani nei
capelli, gridando aiuto per tutto il vicinato. Spuntava l'alba serena nel cielo
color di madreperla; alla chiesa, lassù, si udiva sonare la prima messa.
Per le stradicciuole ancora buie
si udiva uno sbatter d'usci, un insolito va e vieni, un mormorio crescente. Sull'angolo
della piazza, nel caffè di Agostino il portalettere buon'anima, avevano
dimenticato il lume acceso, nella bottega vuota, i bicchieri ancora capovolti
nel vassoio, e dinanzi all'uscio c'era un crocchio di gente che discuteva colla
faccia accesa. Neli, il maggiore dei figliuoli, sporgeva il capo di tanto in
tanto fra le tendine dello scaffale, più pallido del suo berretto da notte,
cogli occhi gonfi, per vedere se qualcuno venisse a prendere il rum o
l'acquavite. E a tutti coloro che l'interrogavano dall'uscio, senza osare di
entrare, rispondeva quasi sempre scrollando il capo: - Così! Sempre la stessa!
- Poi si vide uscire dalla parte del vicoletto la ragazzina che andava correndo
dal sagrestano per le candele benedette.
Ogni momento giungeva qualcheduno
che veniva dalla casa di Zanghi, e aveva visto dall'uscio spalancato il letto
in fondo alla camera, col lenzuolo disteso, le candele accese al capezzale e i
figliuoli che piangevano. Altri portavano altre brutte notizie. - Il Capo
Urbano che stava imballando le materasse; il farmacista che tardava ad aprire
la bottega. La folla cominciava ad ammutinarsi a misura che cresceva. -
Cristiani del mondo! Che ci vogliono far morire davvero come bestie nella tana!
-
Uno, colla faccia stralunata,
raccontava come Zanghi avesse acchiappato il male, nella baracca dei
commedianti. L'aveva visto lui, coi suoi occhi, il vecchio che lo tirava per la
falda del vestito perché gli pareva che volesse passare a scappellotto. - Anche
comare Barbara! che pur non si era mossa di casa! - E quell'infame Capo Urbano
che andava dicendo: - Non è nulla, non è nulla -, e mostrava la carta bianca!
Quella era la carta del Sotto Intendente che ordinava di lasciar spargere il
colèra! Ah! volevano proprio farli morire come bestie nella tana, cristiani di
Dio!
Tutt'a un tratto si udirono
dietro lo scaffale delle grida: - Mamma! mamma! - e delle grida di dolore
disperate. Neli irruppe nella bottega urlando come una bestia feroce, coi pugni
sugli occhi. Un parente corse lesto lesto a chiudere gli scaffali, per tutta
quella gente che s'affollava nella bottega e nessuno poteva tenerla d'occhio.
Allora la folla, quasi fosse
corsa una parola d'ordine, si mosse tutta come una fiumana, gridando e
minacciando. Un'anima buona si mise le gambe in spalla, e corse per le
scorciatoie dal Capo Urbano, a dirgli che scappasse. Ma il poveraccio, da un
bel pezzo, fiutando come si mettevano le cose, aveva infilato l'usciolo
dell'orto, carponi fra le viti, e preso il volo pei campi.
Quelli del baraccone stavano facendo
cuocere quattro fave, a ridosso del muricciuolo, seduti sulle calcagna, per
covar la pentola cogli occhi, tutta la famiglia. A un tratto udirono gridare: -
Dàlli! dàlli! - e videro la folla inferocita che correva per sbranarli. -
Signori miei! siamo poveri diavoli, poveri commedianti che andiamo intorno per
buscarci il pane! - Il vecchio annaspava colle mani, per fare intendere le sue
ragioni; la donna copriva i figlioletti colle ali, come una chioccia; la
giovinetta colle braccia in aria. Arrivò una prima sassata, che fece colare il
sangue. Poi un parapiglia, la gente in mucchio accapigliandosi, gli strilli
delle vittime, che si udivano più forte. - No! no! non li ammazzate ancora!
Vediamo prima se sono innocenti! vediamo prima se portano il colèra! - C'erano
pure delle anime buone in quella ressa. - Ma gli altri non volevano intender
ragioni: Neli di comare Barbara, che gli sanguinava il cuore dall'angoscia,
Scaricalasino che aveva visto coi suoi occhi Zanghi stecchito sotto il
lenzuolo, massaro Lio che si sentiva già i dolori di ventre addosso. In un
attimo la baracca fu tutta sottosopra: i burattini, gli scenari, i cenci, la
poca paglia fradicia dei sacconi. Poi, dopo che non ebbero più dove frugare,
fecero un mucchio d'ogni cosa, e vi appiccarono il fuoco. - Bravo! E adesso
come farete a scoprire se portavano il colèra? - gridarono alcuni. Ma il povero
capocomico non sentiva e non badava più a nulla, né le grida di morte, né le
falci, né le scuri; pallido e stravolto, col sangue giù per la faccia, i capelli
irti, gli occhi fuori della testa, voleva buttarsi sul fuoco per spegnerlo
colle sue mani, urlando che lo rovinavano, che gli toglievano il suo pane,
strappandosi i capelli dalla disperazione, in mezzo alla famigliuola tutta
pesta e malconcia, scampata per miracolo alla strage. - Meglio, meglio che ci
avessero uccisi tutti! - Neppure il colèra li aveva voluti, da per tutto dove
l'avevano incontrato, stanchi ed affamati.
Ancora, dopo cinquant'anni,
Scaricalasino, il quale è diventato un uomo di giudizio, dice a chi vuol dargli
retta, che il colèra ci doveva essere, nel baraccone. Peccato che lo
bruciarono! Quelli erano bricconi che andavano attorno così travestiti per non
dar nell'occhio, e buscavano centinaia d'onze a quel mestiere.
Dove avevano saputo far le cose
bene era stato a Miraglia, un paesetto mangiato dal colèra e dalla fame, il
giorno in cui s'erano viste lì pure certe facce nuove per la via dove da un
mese non passava un cane, e la povera gente, senza pane e senza lavoro,
aspettava il colèra colle mani in mano. Anche costoro mostravano di essere dei
viandanti rifiniti dal lungo viaggio, come una famigliuola di zingari: l'uomo
che si dava per calderaio, la moglie che diceva la buona ventura, la figlia,
una bella bruna, la quale doveva averne fatte molte, così giovane com'era, e
portava attaccato al petto cascante un bambino affamato e macilento. Dei suoi
diciotto anni non le erano rimasti che due grandi occhi neri, degli occhi
scomunicati che vi mangiavano vivo. Anch'essi si portavano dietro tutta la loro
casa in un carretto sconquassato, coperto da una tenda a brandelli, che veniva
avanti traballando, tirato da un somarello sfinito. Siccome la popolazione si
era commossa al loro apparire, e minacciava, il sindaco accorse anche qui colle
guardie, armate sino ai denti, gridando da lontano: - Via! via! - come si fa ai
lupi. Loro a ripeter la commedia che venivano da lontano, che li avevano
scacciati da ogni dove, che erano affamati, e preferivano li uccidessero a
schioppettate. Allora, per non saper che fare, temendo di accostarsi per paura
del colèra, li lasciarono lì, fuori del paese, guardati a vista come bestie
pericolose. Nessuno chiuse occhio, quella notte, la vigilia di San Giovanni,
che c'era un chiaro di luna come di giorno. Tutt'a un tratto, coloro che
stavano a guardia, nascosti dietro il muro, videro lo zingaro che s'era
avventurato carponi sino alle prime case, razzolando in un mondezzaio. Colà
l'uccisero di una schioppettata, senza dirgli neppure: - guàrdati! - Dopo gli
trovarono un torsolo di cavolo che ci aveva ancora in pugno, e il petto della
camicia tutto gonfio di bucce e frutta marcia. Al rumore, alle grida che si
udivano da lontano, tutto il paese fu in piedi subito, e la caccia incominciò.
La vecchia fu raggiunta all'argine del fossatello, barcollando sulle gambe
stecchite. La giovane dinanzi al carretto, che voleva difendere la sua
creatura, come succede anche alle bestie, con certi occhi che facevano paura, e
cercava di afferrare le scuri per aria, colle mani insanguinate. Dopo, frugando
fra i cenci della carretta, si disse che avevano scovato le pillole del colèra
e ogni cosa. Ma quegli occhi più d'uno non poté dimenticarli. E ancora, dopo
cinquant'anni, Vito Sgarra, che aveva menato il primo colpo, vede in sogno
quelle mani nere e sanguinose che brancicano nel buio.
Però, se erano davvero innocenti,
perché la vecchia, che diceva la buona ventura, non aveva previsto come andava
a finire?
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