DON
CANDELORO E C.
Don Candeloro era proprio artista
nel suo genere: figlio di burattinai, nipote di burattinai - ché bisogna
nascerci con quel bernoccolo - il suo pane, il suo amore, la sua gloria erano i
burattini. - Non son chi sono se non arrivo a farli parlare! - diceva in certi
momenti di vanagloria come ne abbiamo tutti, allorché gli applausi del pubblico
gli andavano alla testa, e gli pareva di essere un dio, fra le nuvole del
palcoscenico, reggendo i fili dei suoi «personaggi».
Per essi non guardava a spesa. Li
perfezionava, li vestiva sfarzosamente, aveva ideato delle teste che movevano
occhi e bocca, studiava sugli autori la voce che avrebbe dovuto avere ciascuno
di essi, Almansore o Astiladoro. Quando declamava pei suoi
burattini, nelle scene culminanti, si scaldava così, che dopo rimaneva sfinito,
asciugandosi il viso, nel raccogliere i mirallegro dei suoi ammiratori
sfegatati, come un attore naturale.
Di ammiratori ne aveva da per
tutto, alla Marina, alla Pescheria, certuni che si toglievano il pan di bocca
per andare a sentire da lui la Storia di Rinaldo o Il Guerin Meschino,
e se l'additavano poi, incontrandolo per la strada, colla canna d'India
sull'omero e la sua bella andatura maestosa, che sembrava Orlando
addirittura. Era un gran regalo quando egli rispondeva al saluto toccando con
due dita la tesa del cappello. Se nasceva una lite in teatro, e venivano fuori
i coltelli, bastava che don Candeloro si mostrasse fra le quinte, e dicesse: -
Ehi ragazzi!... - con quella bella voce grassa.
Giacché s'era fatta anche la
voce, come il gesto e la parlata, sul fare dei suoi «personaggi» e pareva di
sentire un Reale di Francia anche se chiamava il lustrastivali dal
terrazzino.
Con queste doti innamorò la
figliuola di un oste che teneva bottega lì accanto. La ragazza era bruttina, ma
aveva una bella voce, e doveva avere anche un bel gruzzolo. - La voce è tutto!
- le diceva don Candeloro sgranandole gli occhi addosso, e accarezzandosi il
pizzo. - Grazia! Che bel nome avete pure! - Andava spesso a far colazione
all'osteria per amore della Grazia, e le confidò che pensava d'accasarsi,
dacché aveva voltato le spalle alla vecchia baracca del padre, e messo su di
nuovo teatro che rubava gli avventori al SAN CARLINO, e al TEATRO DI
MARIONETTE. Si mangiavano fra di loro come lupi, padre e figlio, e i suoi
colleghi erano giunti ad ordirgli la cabala, e fargli fischiare la Storia di
Buovo d'Antona. - Spenderò i tesori di Creso! - aveva fatto voto quel dì
don Candeloro battendo il pugno sulla tavola. - Ma non son chi sono se non li
riduco a chiuder bottega tutti quanti! -
Lui con dei contanti avrebbe
fatto cose da sbalordire. Insino il balletto e la pantomima avrebbe portato sul
suo teatro; tutto colle marionette. - Ci aveva qualcosa lì! - e si picchiava la
fronte dinanzi alla Grazia, fissandole gli occhi addosso come volesse
mangiarsela, lei e la sua dote. Si scervellò un mese intero, col capo fra le
mani, a cercare un bel titolo pel suo teatrino, qualcosa che pigliasse la gente
per gli occhi e pei capelli, lì, nel cartellone dipinto e coi lumi dietro. - Le
Marionette parlanti! - Sì, com'è vero ch'io mi appello Candeloro Bracone!
parlanti e viventi meglio di voi e di me! Non deve passare un cane che abbia un
soldo in tasca dinanzi al mio teatro, senza che dica: «Spendiamo l'osso del
collo per andare a vedere cosa sa fare don Candeloro!» -
L'oste veramente non si sarebbe
lasciato prendere a quelle spampanate, perché sapeva che gli avventori seri
preferiscono andare a bere il buon vino nel solito cantuccio oscuro; e del
resto, lui voleva un genero con una professione da cristiano, come la sua, a
mo' d'esempio, e non un commediante con la zazzera inanellata, che parlava come
un libro e gli incuteva soggezione.
- Quello è un tizio che ci
farebbe muovere a suo piacere come i burattini, te e me! - disse alla
figliuola. - Bada ai fatti tuoi: le buone parole, qualche risatina anche, con
gli avventori. E poi orecchie di mercante. Hai inteso? -
Ma il tradimento gli venne da un
finestrino che dava sul palcoscenico, al quale la ragazza correva spesso di
nascosto a mettere un occhio, e dove si scaldava il capo con tutte quelle
storie di paladini e di principesse innamorate. Don Candeloro, dacché s'era
dichiarato con lei, lasciava socchiusa apposta l'impannata, e le sfuriate di
amore, Rinaldo e gli altri personaggi, le rivolgevano lassù; tanto che
la ragazza ne andava in solluchero, e aveva a schifo poi di lavare i piatti e
imbrattarsi le mani in cucina.
«Non pur me, ma infiniti signori
questo amore ha fatto suoi vassalli, principessa adorata!...»
- Tu non me la dài a intendere! -
brontolava l'oste colla figliuola. - Che diavolo hai in testa? Mi sbagli il
conto del vino... Gli avventori si lamentano... Questa storia non può durare -.
La catastrofe avvenne alla gran
scena in cui la bella Antinisca ritorna alla città di Presopoli, e Guerino
«quando la vidde» dice la storia «s'accese molto più del suo amore». Smaniava
per la scena, sbalestrando le gambe di qua e di là, alzando tratto tratto le
braccia al cielo, squassando il capo quasi colto dal mal nervoso. Diceva, con
la bella voce cantante di don Candeloro:
«O Dio, dammi grazia ch'io mi
possa difendere da questa fragil carne, tanto ch'io trovi il padre mio, e la
mia generazione».
E la bella Antinisca,
dimenandosi anch'essa, e lagrimando (si capiva dalle mani che le sbattevano al
viso):
«O Signor mio, io speravo sotto
la vostra spada di esser sicura del Regno che voi mi avete renduto, per questa
cagione vi giuro per li Dei che come saprò, che voi siete partito, con le mie
proprie mani mi ucciderò per vostro amore, e se mi promettete, che finito il
vostro viaggio ritornerete a me, io vi prometto aspettarvi dieci anni senza
prender marito».
«Non per Dio, sarete vecchia»
disse il Meschino. «Questo non curo, pur che voi giuriate di tornare a
me, di non pigliare altra donna». (Veramente la bella Antinisca aveva
una voce di grilletto che faceva ridere gli spettatori, giacché don Candeloro
per le parti di donna aveva dovuto scritturare a giornata un ragazzetto che
cominciava adesso a farsi grandicello, e per giunta recitava come un
pappagallo, talché alle volte il principale, sdegnato, gli assestava delle
pedate, dietro la scena). Allora la bella Antinisca cadde d'un salto fra le
braccia del Guerino, piegata in due dalla tenerezza, e Grazia,
arrampicata al finestrino, si sentì balzare così il cuore nel petto, che le
sembrava proprio di essere nei panni dei due felici amanti, allorché il Meschino,
in presenza di Paruidas, Armigrano e Moretto, giurò per
tutti i sagramenti di farla sua donna e legittima sposa.
- Quando saremo marito e moglie,
le parti di donna le farai tu! - le aveva detto don Candeloro. E la ragazza,
ambiziosa, si sentiva gonfiare il petto dalla gioia, a quelle scene commoventi
che facevano drizzare i capelli in capo ad ognuno, e si vedevano degli uomini
con tanto di barba piangere come bambini, fra gli applausi che parevano
subissare il teatro. - Sì! sì! - disse Grazia in cuor suo.
Il babbo invece disse di no.
C'erano continuamente delle scene fra padre e figlia; quello ripetendo che la
storia non poteva durare, e minacciando la ragazza di tornare a maritarsi, e
metterle sul collo la matrigna. Lei dura nel proposito: o don Candeloro, o la
morte! Quando don Candeloro andò a far domanda formale, vestito di tutto punto,
l'oste rispose:
- Tanto onore e piacere. Ma
ciascuno sa i fatti di casa sua. Sono vedovo, non ho altri figliuoli, e mi
abbisogna un genero che mi aiuti...
- Allora vuol dire che non son
degno di tanto onore! - balbettò don Candeloro facendosi rosso, e piantandosi
di tre quarti, colla canna d'India appoggiata all'anca.
- Nossignore, l'onore è mio.
- L'onore è vostro, ma vostra
figlia non me la date...
- Nossignore. Come volete
sentirla?
- Va bene. Umilissimo servo! -
conchiuse don Candeloro calcandosi con due dita la tuba sull'orecchio, e se ne
andò mortificatissimo.
- Senti - disse poi alla Grazia
dal finestrino. - Tuo padre è un ignorante che non capisce nulla. Bisogna
prendere una risoluzione eroica, hai capito? -
La ragazza esitava a prendere la
risoluzione eroica di infilare l'uscio e venirsene a stare con lui, per
costringere poi il babbo ad acconsentire al matrimonio. Ma don Candeloro aveva
il miele sulle labbra, e sapeva trovare delle ragioni alle quali non si poteva
resistere. Le diceva di fare nascostamente il suo fagotto... con giudizio,
s'intende... - C'era anche la sua parte nei denari del padre, - e venirsene
dove la chiamavano i cieli. - Non hai giurato per gli Dei di essere mia donna e
legittima sposa? -
Il vecchio però era un furbo
matricolato, il quale cantava sempre miseria, e nascondeva i suoi bezzi chissà
dove. Grazia non portò altro che quattro cenci in un fazzoletto, e quelle poche
lire spicciole che aveva potuto arraffare al banco. - Come? - balbettò don
Candeloro che si sentiva gelare il sangue nelle vene. - In tanto tempo che ci
stai, non hai saputo far di meglio?... -
Questo era indizio che non
sarebbe stata buona a nulla, neppure per lui; e le questioni cominciarono dal
primo giorno. Basta, era un gentiluomo, e la promessa di Candeloro Bracone era
parola di Re. Il bello poi fu che lo stesso giorno in cui andarono all'altare,
lui e la sposa, il suocero volle fargli la burletta di andarci lui pure,
insieme a una bella donnona colla quale aveva combinato il pateracchio lì per
lì. - Senza donne non possiamo stare né io né il mio negozio, cari miei, - gli
piaceva ripetere, con quel sorrisetto che mostrava le gengive più dure dei
denti, e faceva venire la mosca al naso. - State allegri e che il Signore vi
prosperi e vi dia molti figliuoli. Alla mia morte poi avrete quel che vi tocca
-.
I figliuoli vennero infatti a
tutti e due, genero e suocero, uno dopo l'altro. Ma l'oste prometteva di
metterne al mondo quanto il Gran Sultano, e di campare gli anni del Mago
Merlino. Ogni volta che gli partoriva la moglie o la figliuola, invitava
tutto il parentado a fare una bella mangiata.
Crescevano i figliuoli, e i pesi
del matrimonio; ma viceversa poi diminuivano gli introiti e il favore popolare.
Quella gran bestia del pubblico s'era lasciato prendere a certe novità che
avevano portato Bracone il vecchio e il proprietario del SAN CARLINO. Adesso
nei teatrini di marionette recitavano dei personaggi in carne ed ossa, la Storia
di Garibaldi, figuriamoci, ed anche delle farsacce con Pulcinella; e
vi cantavano delle donne mezzo nude che facevano del palcoscenico un letamaio.
La gente correva a vedere le gambe e le altre porcherie, tale e quale come le
bestie, che don Candeloro ne arrossiva pel mestiere, e preferiva piuttosto fare
il saltimbanco o il lustrascarpe, prima di scendere a quelle bassezze. Per non
recitare alle panche era arrivato a far entrare in teatro gratis dei vecchi
avventori, fedeli alle belle Storie d'Orlando e dei Paladini antichi,
coi quali almeno si sfogava dicendo vituperi dei suoi colleghi:
- Perché non mettere le persiane
verdi alle porte, come certi stabilimenti?... Sarebbe più pulito. Dovrebbe
immischiarsene la Questura, per Satanasso! -
Però l'ignoranza e
l'ingratitudine del pubblico gli facevano cascare le braccia. Non valeva
proprio la pena di sudare coi libri, e spendere dei tesori per dare roba buona
a degli asini. - Volete lavare la testa all'asino? - Gli stessi burattini
recitavano svogliatamente, vestiti come Dio vuole. - Ci si perdeva l'amore
dell'arte e d'ogni cosa, parola di gentiluomo! - Dov'erano andati i bei tempi
in cui si facevano due rappresentazioni al giorno, la domenica e le feste, e la
gente assediava la porta, quend'era annunziato sul cartellone un «personaggio»
nuovo? Don Candeloro, colla barba di otto giorni e la zazzera arruffata,
passava le giornate intere nella bettola del suocero, a dir corna dei suoi
colleghi, o a litigare colla moglie, ora che in casa pareva l'inferno. Grazia,
adesso che aveva visto cosa c'era dietro le belle scene impiastricciate, stava
con tanto di muso a rammendar cenci anche lei, a stemperar colori, e rompersi
braccia e schiena, vociando come un pappagallo per le Artemisie e le Rosalinde,
dall'avemaria a due ore di notte; che specie quando il Signore le mandava dei
figliuoli (e succedeva una volta all'anno) era proprio un gastigo di Dio.
- Tu non sai far altro, per
Maometto! - le rinfacciava il marito furibondo.
L'oste dava soltanto buoni
consigli: - Non vedete che gli avventori corrono al vino nuovo? Cambiate il
vino -. Ma don Candeloro non si piegava. Piuttosto avrebbe tolto su baracca e
burattini, e sarebbe andato pel mondo a far conoscere chi era Candeloro
Bracone, giacché i suoi concittadini non sapevano apprezzarlo. La piazza «non
faceva più» per lui! Se c'era ancora un po' di buon senso e di buon gusto
dovevasi andare a cercarlo in provincia, dove non erano ancora penetrate quelle
sudicerie. Finalmente spiantò davvero il teatro, mise ogni cosa su di un carro,
e via di notte, per non dar gusto ai nemici. L'oste prese lui a pigione il magazzino
per metterci delle botti, e allargare il negozio, ora che la figliuolanza era
cresciuta.
- Te l'avevo detto, - disse alla
Grazia. - Quello non è mestiere da cristiani. Se fossi rimasta a vendere del
vino. non saresti ridotta adesso a far la zingara. Ben ti stia! -
Don Candeloro viaggiò per valli e
per monti, come i cavalieri antichi, con tutto il suo teatro ammucchiato in un
carro, e la moglie e i figliuoli sopra. Il guaio era che non si trovava con chi
combattere. Quei contadinacci ignoranti ed avari, sfogata la prima curiosità,
voltavano le spalle alle «marionette parlanti» o s'arrampicavano sul tetto del
teatrino per godersi la rappresentazione gratis. Arrivando in un
villaggio, don Candeloro scaricava la roba sulla piazza, pigliava in affitto
una bottega, un magazzino, una stalla, quel che trovava, e si mettevano a
inchiodare e incollare tutti quant'erano. Le stagioni duravano otto, quindici
giorni, un mese, al più. Dopo, si tornava da capo a correre il mondo, e in quel
va e vieni la roba andava in malora; si mangiavano ogni cosa le spese d'affitto
e di viaggio, con dei carrettieri ladri ch'erano peggio dei saracini, e non
usavano riguardi neanche a Cristo. Don Candeloro, avvezzo ad essere rispettato
come un Dio da simile gentaglia, voleva farsi ragione colle sue mani, in
principio, sinché si buscò una grandinata di calci e pugni.
E ci dovette arrivare anche lui,
Candeloro Bracone, a fare il pagliaccio se volle aver gente nel suo teatro, e a
rappresentare le pantomime nelle quali pigliavasi le pedate nel didietro dal
minore dei suoi ragazzi per far ridere «la platea». Quando vide che il pubblico
non ne mangiava più in nessuna salsa delle «marionette parlanti», e ci voleva
dell'altro per cavar soldi da quei bruti, ebbe un'idea luminosa che avrebbe dovuto
fare la fortuna di un artista, se la fortuna baldracca non ce l'avesse avuta a
morte con lui... - Ah, vogliono i personaggi veri?...-
Un bel giorno si vide annunziare
sul cartellone che la parte di Orlando, nei Reali di Francia,
l'avrebbe sostenuta don Candeloro in persona «fatica sua particolare!» E
comparve davvero sul palcoscenico, lui e tutta la sua famiglia, in costume, e
armato di tutto punto: delle armature ordinate apposta al primo lattoniere
della città, e che erano costate gli occhi della testa. Il pubblico sciocco
invece, al vedere quei ceffi di giudei che toccavano i cieli col capo, e
suonavano a ogni passo come scatole di petrolio, si mise a ridere e a tirare
ogni sorta d'immondizie sui Paladini, massime allorché ad Orlando
cadde di mano la spada, ed egli, tutto chiuso nell'armi, non poté chinarsi per
raccattarla. Urli, fischi e mozziconi di sigari in faccia ai Reali. Un
putiferio da prendere a schiaffi tutti quanti, o da passar loro la spada
attraverso il corpo, se non fosse stata di latta, pensando a tanti denari spesi
inutilmente.
Da per tutto, ove si ostinava a
portare i Paladini di Francia «con personaggi veri» trovava la stessa
accoglienza: torsi di cavolo e bucce d'arance. Il pubblico andava in teatro
apposta colle tasche piene di quella roba. Non li volevano più neanche «coi
personaggi veri» i Paladini! Volevano le scempiaggini di Pulcinella,
e le canzonette grasse cantate dalle donne che alzavano la gamba.
- E tu fagliele vedere le gambe!
- disse infine alla moglie don Candeloro infuriato. - Diamogli delle ghiande al
porco! -
Lui stesso, colle sue mani,
dovette aiutare la Grazia ad accorciare la gonnella, litigando con lei che
pretendeva di non esser nata per quel mestiere, e si vergognava all'udire i
complimenti che il pubblico indirizzava ai suoi stinchi magri. - Per che cosa
sei nata? per far la principessa? Il pane te lo mangi, però! - Lui invece era
preso adesso dalla rabbia di mostrare ogni cosa, a quegli animali, la moglie,
la figliuola ch'era più giovane e chiamava più gente. - Anch'io, se vogliono
vedermi!... Voglio calarmi le brache in faccia a quelle bestie! - Faceva delle
risate amare, povero don Candeloro! Cercava le farsacce più stupide e più
indecenti. Si tingeva il viso per fare il pagliaccio. Sputava sul pubblico, dietro
le quinte! - Porci! porci! -
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