Si rappresenta
Come il MESCHINO andò per le CAVERNE
E trovò MACCO in forma di SERPENTE
Col quale parlò
E giunse alla PORTA della
FATA
Indi farsa con
PULCINELLA
Il cartellone portava dipinto il Meschino,
armato di tutto punto contro un drago verde, il quale vomitava delle lettere
rosse che dicevano: Ebbi nome MACCO, e andai facendo male sin da
piccino: tutta opera di don Candeloro, il quale dipingeva anche le scene,
suonava la gran cassa, vestiva i burattini e li faceva parlare, aiutato dalla
moglie e dai cinque figliuoli, talché in certe rappresentazioni c'erano fin
venti e più personaggi sulla scena, combattimento ad arma bianca, musica e
fuochi di bengala, che chiamavano gran gente.
Diciamo cinque figliuoli, però
uno di essi veramente era figlio non si sa di chi, raccolto da don Candeloro
sulla pubblica via per carità, ed anche perché aiutasse a lavare i piatti,
suonar la tromba e chiamar gente, vestito da pagliaccio, all'ingresso del
teatro.
- Martino, fate vedere i vostri
talenti, e ringraziate questi signori -.
Martino voltava la groppa, si
buttava a quattro zampe e imitava il raglio dell'asino.
Egli era il buffo della
Compagnia, faceva il solletico alle donne, e andava a cacciare il naso fra le
assi del dietro scena, mentre si vestivano per la farsa. Colla ragazza poi
inventava cento burlette che la facevano ridere, e le mettevano come una fiamma
negli occhi ladri e sulla faccia lentigginosa.
- Be', Violante, vogliamo
rappresentare al vivo la scena fra Rinaldo e Armida? -
Una volta che don Candeloro lo
sorprese a far la prova generale colla sua figliuola, la quale si accalorava
anch'essa nella parte, e abbandonavasi su di un mucchio di cenci, quasi fossero
le rose del giardino incantato, amministrò a tutti e due tal salva di calci e
schiaffi da farne passare la voglia anche a dei gatti in gennaio. - Ah
bricconi! Ah traditori! V'insegno io!... - La Violante ne portò un pezzo il
segno sulla guancia. Ma ormai aveva preso gusto alle monellerie di Martino,
sicché andava a cercarlo apposta dietro le quinte, fra le scene arrotolate, e i
cassoni delle marionette, mentre lui smoccolava i lumi per la rappresentazione
della sera, o soffiava sotto la marmitta posta su due sassi, nel cortiletto.
Gli soffiava fra capo e collo dei sospiri che avrebbero acceso tutt'altro
fuoco, pigliandosela colle stelle e coi barbari genitori.
- Sta' tranquilla, - disse
Martino, - sta' tranquilla che me la pagherà -.
Adesso era lei che lo stuzzicava,
vedendo che il ragazzo, ammaestrato dalle busse, stava all'erta pel principale,
coll'orecchio teso e guardandosi intorno prima di allungare le mani verso di
lei. Gli portava di nascosto i migliori bocconi; gli serbava, in certi posti
designati, il vino rimasto in fondo al fiasco; per rivolgergli le parole più
semplici, dinanzi ai suoi, faceva un certo viso come avesse l'anima ai denti,
col capo sull'omero e gli occhi di pesce morto; pigliava il tono delle Clorinde
e delle Rosamunde per dirgli soltanto: - Bisogna andare per l'olio,
Martino. - Guarda che non c'è più legna sotto la mangiatoia... -
E quando lavorava accanto a lui,
sul palco, con le Artemisie in mano, gli buttava sul viso le parole
infocate della parte, cogli occhi neri che mandavano lampi, e le labbra turgide
che volevano mangiarselo.
«O Cieli! Che mai vedo a me
dinanzi!... Mio signore... mio bene!»
- Lavora! lavora, sgualdrinella!
- borbottava don Candeloro, allungando delle pedate, quando poteva.
- Com'è vero Dio! t'ho detto che
me la pagherà! - rispose Martino fra i denti più di una volta. «Si, principessa
adorata...»
E gliela fece pagare, un giorno
che il principale era andato avanti a procurar la piazza, e la Compagnia
e la baracca seguivano dietro su di un carro. Martino e la Violante finsero di
smarrirsi per certe scorciatoie, in mezzo ai fichi d'India, e raggiunsero poi
la comitiva in cima alla salita, scalmanati; Martino trionfante, quasi avesse
vinto un terno al lotto, e la Violante che sembrava davvero una principessa,
sdilinquendo attaccata al suo braccio, e lagnandosi di avere male ai piedi.
Chi si lagnò sul serio poi fu don
Candeloro, che non poteva più maneggiare quel birbo di Martino, divenuto
insolente e pigro, minacciando ogni momento di piantar baracca e burattini e
andarsene pei fatti suoi.
- Ora che t'ho insegnato la
professione, e t'ho messo all'onor del mondo!... ribaldo, fellone!... -
Violante piangeva e supplicava
l'amante di non abbandonarla in quel punto.
- Che vuoi? - disse Martino. -
Sono stanco di lavorare come un asino pei begli occhi di non so chi. Ci levano
la pelle. Non ci lasciano respirare un momento, neppure per trovarci insieme...
-
In tre mesi soltanto quattro
volte, di notte, a ruba ruba, con una paura del diavolo addosso! Una sera che
babbo e mamma avevano mangiato bene e bevuto meglio, la ragazza andò a trovare
il suo Martino in sottana, che sembrava la Fata Bianca, sciogliendosi in
lagrime come una fontana.
- Che facciamo, Dio mio?... Tu
dormi invece!...
- Eh? Che vuoi fare? - rispose
lui fregandosi gli occhi.
- Non posso più nascondere il mio
stato... La mamma mi tiene gli occhi addosso... Bisogna confessare ogni cosa...
Tu che hai più coraggio...
- Io, eh? Perché tuo padre mi dia
il resto del carlino? Grazie tante! Piuttosto infilo l'uscio e me ne vo. Se tu
vuoi venire con me, poi... -
L'idea gli parve buona e
l'accarezzò per un po' di tempo.
- Io so fare il salto mortale,
l'uomo senz'ossa, il gambero parlante. Tu sei una bella ragazza... Sì, te lo
dico in faccia... Vestita in maglia, a raccogliere i soldi col piattello, la
gente non si farà tirar le orecchie per mettere mano alla tasca. Andremo pel
mondo; ci divertiremo, e ciò che si guadagna ce lo mangeremo noi due. Ti piace?
-
Mai e poi mai don Candeloro si
sarebbe aspettato un tradimento così nero. Proprio nel meglio della stagione,
quando il pubblico cominciava ad abboccare, e da otto giorni che erano arrivati
in paese, e avevano piantato le assi nel magazzino dell'arciprete Simola,
s'intascavano soldi colla pala, e ogni sera si cenava! Fu allora che Martino e
la Violante, sentendosi la pancia piena, sputarono fuori il veleno, e gli
appiopparono il calcio dell'asino, la sera che il pubblico affollavasi in
teatro per la continuazione delle imprese di Guerin Meschino alla
ricerca della Fata Alcida, e prevedevasi più di venti lire d'incasso.
La moglie di don Candeloro, che
da qualche tempo aveva dei sospetti e teneva d'occhio la figliuola, la sorprese
tutta sossopra, dietro a Martino, il quale insaccava della roba. Violante,
colta sul fatto, le si buttò ai piedi piangendo, come la Damigella di
Pacifero Re del Porchinos, quando svela il suo fallo al genitore.
- Ah, scellerata! - strillò la
madre. - Cos'hai fatto? Tuo padre ora v'accoppa tutt'e due! -
Don Candeloro sopraggiunse in
quel punto, facendo il diavolo a quattro appena intese di che si trattava. Sua
moglie gridando aiuto, Violante buttandosi dinanzi all'amante per difenderlo
eroicamente a costo dei suoi giorni, Martino arrampicandosi sull'intelaiatura
delle quinte, con tanto di temperino in mano, i ragazzi strillando tutti in
coro: una scena al naturale che chiunque avrebbe pagato l'ingresso volentieri
per godersela. Don Candeloro però non dimenticò neppure allora né chi era né
quel che aveva a fare.
- Zitti tutti! - gridò colla voce
solenne delle grandi rappresentazioni. - Adesso apparteniamo al pubblico, che
comincia a venire in teatro. Tu, Grazia, va alla porta, se no entrano di
scappellotto. Aggiusteremo i conti dopo, in famiglia -.
Figuriamoci la povera madre che
doveva sorridere alla gente incassando i due soldi del biglietto, con quel
pensiero e quello spavento addosso!... Le prime scene poi, mentre aiutava il
marito che aveva le mani legate dai burattini, e non poteva andare a prendere
pel collo i due infami che non comparivano a tempo coi loro personaggi!...
- Che diavolo fanno? Adesso è l'entrata
di Alcida. Com'è vero Dio, mi rovinano la meglio scena!... -
Il pubblico, che non sapeva
niente di tutto ciò, aspettava l'entrata della Fata Alcida, la quale
doveva sedurre il Meschino per bocca della Violante; e lo stesso Meschino
era rimasto colle braccia in aria, dondolandosi sulla punta dei piedi, e
guardando la gente coi suoi occhi di vetro, come a chiedere: - Che succede
adesso? -
Succedeva che dietro le quinte
c'era una casa del diavolo. Si udiva correre e bestemmiare, e a un certo punto
la stessa scena, che figurava una bellissima loggia tutta istoriata a colonne
gialle e turchine, ondeggiò come sorpresa dal terremoto. Guerino alzò
ancora le braccia al cielo, tirato in su sgarbatamente, e uscì di furia, col
manto rosso che gli si gonfiava dietro.
- Tradimento! Infami saracini!
Voglio berne il sangue! - si udì gridare don Candeloro colla sua voce naturale.
Il pubblico si mise a strepitare.
Dei burloni che avevano adocchiato qualche bella ragazza nei primi posti,
cominciavano a spegnere i lumi. - Fermi! Ehi! Non facciamo porcherie! -
gridavano altri. Nella baraonda si udì il correre dei questurini, che le
orecchie esercitate riconobbero subito al rumore degli stivali.
- Musica! musica! Non è niente!
niente! -
Ma non ce ne fu bisogno. Guerino
tornò in scena, piegandosi in due ad inchinare gli spettatori, e dall'altra
parte comparve immediatamente la Fata Alcida, «di tanta bellezza adorna
che la sua faccia splendeva come un sole» come spiegava a voce don Candeloro,
il quale accese in quel punto un po' di magnesio, che fece un bel vedere
sull'armatura di latta del Meschino, e il manto della fata tutto a
draghi e bisce d'orpello.
- Bravi! bis! - gridarono i
compari, che non ne mancavano.
Si sarebbe udita volare una
mosca. Da un canto il Guerino, che faceva orecchio di mercante alle
seduzioni della Fata, e lei che ostinavasi a riscaldare in lui «le
ardenti fiamme d'amore» diceva colla sua stessa bocca, e con certi atti di mano
anche, tanto che il Meschino dimenavasi tutto con un suon di ferraccia,
e lasciava intender chiaramente «che se Dio per la sua grazia non gli avesse
fatto tenere a mente gli avvertimenti dei tre santi Romiti di certo
sarìa caduto». La gente si sentiva drizzare i capelli in testa. Uno di lassù,
nei posti da un soldo, gridò inferocito:
- Guardati, Meschino! Tradimento
c'è! -
Però gli avventori soliti avevano
notato che quella non era la voce della Fata Alcida, e gli stessi gesti
che faceva, di qua e di là, all'impazzata, non avevano niente di naturale. Per
certo qualcosa di grosso doveva essere avvenuto dietro le quinte. Sicché da
prima furono osservazioni e mormorii, e poi vennero le male parole. Infine
allorché invece dei draghi e degli altri incantesimi che dovevano far nascere
il finimondo, don Candeloro cercò di cavarsela con una manata di pece greca e
picchiando su due scatole di petrolio per imitare il fracasso dei tuoni,
scoppiò davvero l'inferno in platea: urli, fischi, bucce d'arance e pipe rotte,
che pareva volessero sfondare il sipario. - Pubblico rispettabile, - venne a
dire la moglie di don Candeloro più morta che viva, e con un occhio pesto, -
ora viene una bella farsa tutta da ridere, nuovissima per queste scene.
Onorateci e compatiteci -.
Che farsa! La gente era lì
dall'avemaria per godersi appunto la gran scena dell'incantesimo, e aveva speso
i suoi denari per vedere «i personaggi», che si azzuffavano sul serio menando
botte da orbi, e non don Candeloro, il quale fingeva di prendersi le legnate
dal randello imbottito di stoppa e se la rideva poi sotto il naso. Parecchi si
buttarono sulla cassetta. Ci fu un piglia piglia fra le guardie e i più lesti
di mano. I comici saltarono giù dal palcoscenico, così come si trovavano, mezzo
vestiti per la farsa, gridando e strepitando anche loro. Don Candeloro colla
camicia di Pulcinella, scappò a correre verso la campagna, al buio, in
cerca dei fuggitivi, giurando d'accopparli tutt'e due, se li pigliava.
- Li ho visti io, - disse un
ragazzo: ce n'è sempre di cotesti: - Son fuggiti per di qua -.
Martino e la Violante correvano
ancora infatti, tanta era la paura. Allorché incontravano dei carri per la
strada, Violante si buttava dietro una siepe, poich'era in sottanina bianca,
così come aveva potuto svignarsela mentre vestivasi per la farsa. Martino, più
furbo, fingeva d'andare pe' fatti suoi, o di allacciarsi una scarpa. Poi,
quando furono ben lontani, si accoccolarono dietro un muro, e mangiarono del
salame, che Martino, innamorato com'era, aveva pensato a mettere da parte.
Violante, più delicata e sensibile, badava piuttosto a guardare le stelle,
pensando a quel che aveva fatto.
- Dove si va adesso? - chiese
sbigottita.
- Domani lo sapremo - rispose lui
colla bocca piena.
Cominciava a spuntare il giorno.
Violante non aveva portato altro che uno scialletto logoro, sulla sottanina, e
tremava dal freddo.
- Hai paura forse? - chiese lui.
- No... no... con te, mio bene...
-
Le venivano in mente allora le
parlate d'amore che aveva imparato a memoria pei burattini, allorché Martino
rispondeva colla voce grossa e facendo smaniare d'amore Orlando e Rinaldo.
Così le damigelle e le principesse si lasciavano rapire dall'amante sui cavalli
alati. Martino fermò un carrettiere che andava per la stessa via, e combinò di
montare sul carro, lui e la Violante, pagando.
- Hai dei soldi? - chiese lei
sottovoce.
- Sì, sta zitta -.
Dopo, per giustificarsi, si sfogò
a dir male dei genitori di lei, che li facevano lavorare per nulla e si
arricchivano a spese loro. - Infine, - conchiuse, - ho preso il mio. Tanto
tempo che tuo padre non mi dava un baiocco -.
Però la Violante non aveva
appetito, sentendosi sullo stomaco la paura del babbo, e il peso di
quell'azionaccia che Martino gli aveva fatto mettendo le mani nella cassetta.
Lui invece era allegro come un
fringuello; accarezzava la ragazza e faceva cantare i soldi in tasca; nelle
strade maestre ci stava come a casa sua, e ad Augusta le fece far l'entrata in
ferrovia come una principessa.
- Vedi! - le disse, pigliando i
due biglietti di terza classe. - Vedi come tratto io! -
Da principio non andava male.
Violante era un po' goffa, un po' pesante; ma allorché girava in tondo su di un
piede, o s'arrampicava sul dorso di Martino, scopriva tali attrattive che la
gente correva in piazza a vedere, e metteva volentieri mano alla tasca. Martino
chiudeva un occhio quando correvano anche dei pizzicotti, sottomano, mentre la
ragazza girava contegnosa col piattello fra la folla. Pazienza! il mestiere
voleva così. Oggi qua, domani lontani delle miglia. - Dove ti rivedranno poi
gli sciocchi che si lasciano spillare i soldi per la tua bella faccia? - In
compenso si mangiava e beveva allegramente, e lui andava a letto ubriaco,
sinché il diavolo ci mise la coda...
La Violante si ubbriacava pure
agli applausi e alle esclamazioni salate del pubblico, sicché scorciava sempre
più il sottanino, e rischiava di rompersi l'osso del collo nel fare il
capitombolo. Per disgrazia s'accorse nello stesso tempo che bisognava slargare
di giorno in giorno la cintura, e che le dolevano le reni nel fare le forze.
Già quei baffetti gliel'avevano detto a Martino, che non l'avrebbe passata
liscia. Sicché le rinfacciava che quando sarebbe divenuta grossa come il
tamburone, il pubblico li avrebbe lasciati in piazza tutt'e due a grattarsi la
pancia. Per giunta poi aveva dei sospetti su di un Tizio che correva dietro
alla Violante, da un paese all'altro, e tirava a farlo becco.
Ne aveva avuti tanti la bella
figliuola degli spasimanti che ustolavano dietro il suo gonnellino corto:
militari, bei giovani, signori che avrebbero speso tesori! Nossignore! Ecco che
ti va a cascare in bocca a quel disperato che portava tutta la sua bottega al
collo, e girava anch'esso per il mondo a vendere spilli e mercerie di qua e di
là. Per un palmo di nastro la brutta carogna si era venduta! Martino n'ebbe la
certezza quando glielo vide al collo, e vide pure il merciaiuolo che lo
pigliava colle buone anche lui, e gli pagava da bere per tenerlo allegro.
- Aspetta! - ghignava fra sé e sé
Martino alzando il gomito. - Aspetta, che vogliamo ridere meglio quando verrà
il momento che dico io! -
Tollerò ancora un po', per
necessità, finché la Violante poté aiutarlo a raccogliere soldi sulle piazze,
odiandola internamente e dandole in cuor suo tutti i titoli che aveva imparato
nei trivi. Poi, un bel giorno, accortosi che il merciaio allungava le mani
sotto la tavola verso la Violante, mentre desinavano insieme come amici e
fratelli all'osteria, fece una scena indiavolata, tirando fuori il coltello, minacciando
gli amici che si frapponevano a metter pace.
- Che pace? Con quella
canaglia?... Voglio mangiargli il cuore a tutti e due! - sbraitò raccogliendo i
suoi cenci, e tanti saluti alla compagnia!
Il povero merciaio, che si vide
cadere sulle braccia la Violante più morta che viva, e gravida di sette mesi
per giunta, protestò la sua innocenza, e se la diede a gambe anche lui, la
stessa notte. Sicché la sventurata rimase senza amici e senza quattrini, in
mezzo a una via, e dovette lasciare all'Ospizio di Maternità il frutto del suo
bell'amore.
Così babbo don Candeloro,
passando da quelle parti, raccolse di nuovo nell'ovile la pecorella smarrita,
ché la misericordia paterna è grande assai, e la ragazza, nel teatro delle
MARIONETTE PARLANTI, riusciva di molto aiuto, massime ora che la mamma
cominciava a sentire gli acciacchi degli anni e della figliuolanza. Violante
lavava, cucinava, aiutava i fratelli nelle prove, mentre il genitore smaltiva
l'uggia al caffè. Le marionette in mano sua parlavano davvero. Se la mettevano
poi a riscuotere i soldi, in maglia carnicina, la gente entrava in teatro
soltanto per rasentarle i fianchi. Sembrava la Fortuna delle «Marionette
parlanti» come si suol dipingere, col piede sulla ruota e rovesciando il corno
dell'abbondanza sul prossimo suo.
- Madre natura m'ha fatto così, -
ripeteva dal canto suo don Candeloro nel crocchio degli amici, che si rinnovano
sempre in ogni paese e in ogni caffè nuovo, - il cuore largo come il mare e le
braccia aperte... -
Cogli anni era diventato filosofo.
Aveva imparato a conoscere i capricci della sorte e l'ingratitudine degli
uomini. Perciò pigliava il tempo come veniva, e gli amici dove li trovava. Si
contentava di portare il corno di corallo fra i ciondoli dell'orologio, e un
ferro di cavallo, del piede sinistro, inchiodato sulle assi della baracca.
Era andata su e giù quella
baracca. Una volta, quando i figliuoli, fatti grandicelli, aiutavano anch'essi
colle forze e nelle pantomime, le MARIONETTE PARLANTI contavano fra le prime di
quante ne fossero in giro, e si stava bene. Poi i ragazzi erano sgattaiolati di
qua e di là, in cerca di miglior fortuna o dietro la gonnella di qualche
donnaccia dello stesso mestiere, e don Candeloro per aiutarsi era stato
costretto a riprender Martino che aveva incontrato a Giarratana povero in
canna, e ridotto a far qualsiasi cosa per il pane.
- Sono nato senza fiele in corpo,
come i colombi, - disse allora don Candeloro. - Le anime grandi si conoscono
appunto al perdono delle offese. Se mi prometti di non tornar da capo, ti
piglio di nuovo in Compagnia, a quindici lire il mese, alloggio e vitto
compreso.
- Sia pure, - rispose Martino che
moriva di fame. - Lo fo per amor della Violante, che un giorno o l'altro deve
esser mia moglie e legittima sposa. Ma intendiamoci, vossignoria, che non son
più un ragazzo!... e se tornate a giocar di mano o a farmi patir la fame, ci
guastiamo per l'ultima volta, com'è vero Dio! -
Si rappattumarono anche colla
Violante, per intromissione del babbo, il quale però prescrisse che dormissero
lontani l'uno dall'altra, in omaggio al buon costume, finché fossero stati
marito e moglie. Messosi così l'animo in pace, tornò agli amici e all'osteria,
ora che al resto badavano gli altri. Nondimeno capitava spesso di dover
sospendere le rappresentazioni per due settimane o tre a causa della Violante,
la quale era costretta a tornare di tanto in tanto all'Ospizio di Maternità. Il
fidanzato allora vomitava ogni sorta di improperi contro di lei, pigliandosela
anche con la suocera, la quale non sapeva tenere gli occhi aperti come faceva
lui, protestando di non averci colpa; e don Candeloro metteva pace e tornava a
ripetere che quella storia doveva avere un termine, e che li avrebbe menati per
le orecchie dinanzi al sindaco tutti e due, e l'avrebbe fatta finita.
Disgraziatamente i tempi non
dicevano. Le marionette facevano pochi affari, e la Violante protestava che se
Martino non arrivava a metter su teatro da sé, sinché doveva portar lei sola
tutta la baracca sulle spalle, non voleva mettersi pure quell'altra catena al
collo, e preferiva restar zitella come Sant'Orsola. Lei invece sapeva
ingegnarsi col suo pubblico, di qua e di là, e per mezzo delle beneficiate e
dei regali riusciva a porre da parte qualche soldo. Don Candeloro vedeva già il
momento in cui gli avrebbero dato il calcio dell'asino, come aveva fatto lui
con suo padre.
- Così paga il mondo! Non tutti
hanno il cuore a un modo! -
E ci aveva pure un'altra spina
nel cuore il povero vecchio, al vedere la condotta che teneva la figliuola, e
rodendosi internamente contro quella bestia di Martino che non si accorgeva di
nulla. Accettava, è vero, per amor della pace, le cortesie e gli inviti a cena
dei protettori che la figliuola sapeva trovare in ogni piazza; si lasciava
mettere in fondo alla tuba il cartoccio coi dolci o gli avanzi del desinare per
la sua vecchiarella che aspettava a casa; ma stava a tavola di mala voglia,
senza alzare il naso dal piatto, col cuore grosso. E vedendo Martino che
macinava a due palmenti, cuor contento, quell'altro! gli dava fra sé certo
titolo che non aveva mai portato, lui!...
- Ah, no! Non nacqui sotto quella
stella, io! -
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