- Paggio Fernando sarà lei! -
esclamò il signor Olinto, puntando l'indice peloso. - Lei sarà un amore di paggio,
parola d'onore! -
Don Gaetanino Longo, rosso dal
piacere, seguitò a tormentare i baffetti che non spuntavano ancora, e balbettò:
- Se crede... se le pare...
- E come! e come! - Il
capocomico, col pugno sull'anca e il busto all'indietro, colla tuba bisunta
sull'orecchio, e il mento ispido in mano, saettando un'occhiata sicura di
conoscitore di fra le setole delle sopracciglia aggrottate, continuava a dire:
- Ma sicuro! Lei ha il fisico che
ci vuole! Faranno una bella macchia insieme alla mia Rosmunda! -
Allora scoppiarono i malumori e
le gelosie fra i dilettanti raccolti intorno al biliardo nel Casino di
conversazione. Si udì prima un'osservazione timida, come un sospiro; poscia il
coro delle lagnanze: Perché è figliuolo del sindaco!... Perché torna dagli
studi col solino alto tre dita!...
- Eh?... Che cosa?... Dicano,
dicano pure liberamente. Siam qui apposta per intenderci... fra amici... -
Si fece avanti un giovanotto
magro e barbuto, sotto un gran cappellaccio nero, e cominciò:
- Io vorrei... Non dico per la
distribuzione delle parti... Non me ne importa... Ma quanto alla scelta della
produzione... Mi pare che sarebbe ora di finirla colla camorra...
- Eh? Che dice? Non le piace la Partita
a scacchi dell'avvocato Giacosa?... Lavoro applaudito in tutte le
piazze!... -
L'altro fece una spallata, e
l'accompagnò con un risolino che diceva assai. Don Gaetanino, che pigliava le
parti dell'avvocato Giacosa, come si sentisse già sulle spalle la
responsabilità della parte affidatagli, tirava grosse boccate di fumo dal
virginia lungo un palmo, col cuore alla gola.
- Vediamo. Mi trovi di meglio.
Cerchi lei, signor... signor... -
Il giovanotto s'inchinò; cavò
fuori dal portafogli un biglietto di visita, e lo presentò, con un altro inchino
al signor Olinto.
- Ah! ah! corrispondente della Frusta
teatrale e dell'Ape dei teatri?... Felicissimo! Io non domando di
meglio che contentare la libera stampa e la pubblica opinione... Vediamo, dica
lei. Mi suggerisca, signor... - E tornò a leggere il biglietto di visita.
- Barbetti, per servirla.
- Signor Barbetti, dice lei... Se
ci ha sotto mano qualche altra cosa che si adatti meglio al gusto di questo
colto pubblico... Qualche lavoro di polso... -
Barbetti si faceva pregare,
masticando delle scuse, fingendo di ribellarsi all'amico Mertola, il quale
moriva dalla voglia di tradire il segreto dell'amico Barbetti. Infine Mertola
non seppe più frenarsi, e alzò la voce, scostandosi dall'amico, additandolo al
pubblico per quel grand'uomo che egli era.
- Il lavoro di polso c'è...
inedito... la sua Vittoria Colonna!... Gli è costata due anni di
lavoro!...
- Ah! ah! - fece il capocomico. -
Ah! ah! e me lo teneva nascosto, lei! Non sa ch'io sono ghiotto di simili
primizie? -
Barbetti s'arrese infine, e tirò fuori
dal soprabitino un rotolo legato con un nastro verde.
- Adesso? - rispose il signor
Olinto. - Su due piedi? Che mi canzona, caro lei?... Un lavoro di polso come il
suo!... Bisogna vedere... bisogna studiare... Intanto dò un'occhiata... -
Colla schiena appoggiata alla
sponda del biliardo e il mento nel bavero di pelliccia, andava sfogliando le
pagine, aggrottato, e borbottava:
- Bene, bene!... Effetto
scenico!... Bei pensieri!... Stile elevato!... In questa parte la mia
signora... Non le dico altro!...
- Con permesso! con permesso! -
interruppe il cameriere del Casino, spingendosi avanti a gomitate. - Ecco qui
don Angelino e il notaro Lello. Devo preparare il biliardo per la solita
partita -.
Il capocomico si cacciò la mazza
sotto l'ascella, e raccattò gli scartafacci e i telegrammi sparsi sul panno
verde.
- Va bene, va bene, ne
riparleremo. Intanto bisogna far girare la pianta -.
Fu il più difficile. I giuocatori
di tressette rispondevano picche, e brontolavano contro quel forestiere che
portava la iettatura. Seduta stante si dovettero ribassare i prezzi. Ma
l'avvocato Longo, sentendo che c'era per aria un dramma dell'avvocato Barbetti,
repubblicano e suo avversario nel Consiglio, una gherminella per togliere la
parte di Paggio Fernando al suo figliuolo, dichiarò che non dava il teatro per
rappresentazioni immorali e sovversive. Il signor Olinto, che andava mostrando
la pianta del teatro col cappello in mano, gli disse:
- Ma che! Lei ci crede alla Vittoria
Colonna? Una porcheria! Servirà per accendere la pipa. Lasci fare a me che
so fare... Me ne trovo tra i piedi una ogni piazza, delle Vittorie!...
- Bene, faccia lei. Ma a buon
conto sa che al sindaco spetta un palco, e un altro alla Commissione teatrale,
senza contare il tanto per cento sull'introito lordo a beneficio dell'Asilo
Infantile -.
Le trattative durarono otto
giorni. Il signor Olinto si scappellava con tutto il paese, per rabbonire la
gente, e la signorina Rosmunda aiutava dal balcone, civettando, vestita di
seta, con un libro in mano, mentre la mamma badava alla cucina. Don Gaetanino
Longo, oramai sicuro del fatto suo, aveva confidato all'amico Renna:
- Quella me la pasteggio io! -
E passava e ripassava sotto il balcone,
succhiando il virginia, a capo chino, rosso come un pomodoro, lanciando poi da
lontano occhiate incendiarie.
Il signor Olinto, che
l'incontrava spesso, gli disse infine:
- Voglio presentarti alla mia
signora. Così ti affiaterai pure con Jolanda -.
Il tu glielo aveva scoccato a
bruciapelo, fin dal primo giorno. Ma quel tratto d'amicizia commosse davvero
don Gaetanino. Trovarono la signorina Rosmunda che stava leggendo accanto al
lume posato su di un cassone, colla fronte nella mano, la bella mano delicata e
bianca che sembrava diafana. Aveva i capelli nerissimi raccolti e fermati in
cima al capo da un pettine di tartaruga, un casacchino bianco e un cerchietto
d'argento, dal quale pendeva una medaglina, al polso. Da prima alzò il capo
arrossendo e fece un bell'inchino al figliuolo del sindaco. Gli occhioni scuri
e misteriosi sotto le folte sopracciglia lasciarono filare uno sguardo lungo
che gli cavò l'anima, a lui! Ma in quella comparve la mamma infagottata in una
vecchia pelliccia, coll'aria malaticcia, un fuoco d'artificio di ricciolini
inanellati sulla fronte, e le mani, nere di carbone, nei mezzi guanti.
- Da artisti, alla buona, senza
cerimonie - disse il signor Olinto. E cominciò a parlare dei suoi trionfi e
delle famose candele che gli dovevano tanti autori che adesso andavano tronfi e
pettoruti; e delle birbonate che aveva salvato da un fiasco sicuro, e passavano
ora per capolavori.
- Anche quella Vittoria
Colonna, vedi, se mi ci mettessi!...
Don Gaetanino assentiva col viso
e con tutta la persona. Ma intanto guardava di sottecchi la figliuola, che
aveva il viso lungo e il naso del babbo, ingentiliti da un pallore delicato, da
una trasparenza di carnagione che sembrava vellutata, dalla polvere di cipria
abbondante, e da una peluria freschissima che agli angoli della bocca metteva
l'ombra di due baffetti provocanti. Essa di tratto in tratto gli saettava
addosso di quelle occhiate luminose che lo irradiavano internamente.
- Ah! anche il signore si
occupa?...
- Sì. Non hai inteso? Lui è
Paggio Fernando...
Essa allora gli piantò addosso
gli occhi e non li mosse più, perché egli vedesse ch'erano proprio belli. Il
babbo colse giusto quel momento per passare in cucina; e don Gaetanino,
sentendo di dover spifferare qualche cosa, balbettò col cuore che battevagli
forte:
- Signorina!... son fortunato!...
davvero!...
- Oh! Che dice mai?... Piuttosto
io!...
- Il bicchiere dell'amicizia! -
interruppe il signor Olinto tornando con una bottiglia in mano e gli occhi già
accesi. - Da artisti, alla buona. Scuserai... Non abbiamo mica il buon vino che
bevete voi altri proprietari del paese... -
La ragazza non volle bere. Il
giovanetto, per cortesia, bagnò appena le labbra in quell'aceto, dicendole:
- Alla sua salute! -
Essa alzò gli occhi su di lui, e
lo ringraziò con quella sola occhiata.
- Divino!... Squisito! -
sentenziò don Gaetanino, che non sapeva più quel che si dicesse. - Vi manderò
domani un po' di quel vecchio... Questo qui è eccellente... Non c'è che dire...
Ma domani... -
La mamma voleva protestare. Il
marito le chiuse la parola in bocca:
- Per qualche bottiglia di
vino... Non è un gran male. Non è un regalo di valore. Fra amici... pel
bicchiere dell'amicizia. Già verrai a berlo anche tu... la sera, quando non
avrai altro da fare... intanto vi affiaterete con Jolanda -.
Jolanda appoggiò l'invito con
un'altra occhiata, e Paggio Fernando balbettò:
- Sì!... certamente!...
felicissimo!... -
Stava poi per rompersi l'osso del
collo quando imboccò la botola della scaletta. Fuori c'era un bel chiaro di
luna, una striscia d'argento fredda e silenziosa che divideva la strada in due.
Egli camminava in quella striscia d'argento, col piede leggiero, il cervello
spumante, il virginia rivolto al cielo, il cuore che batteva a martello, e gli
diceva: - È tua! è tua! -
A casa trovò una lavata di capo
per l'ora tarda, e andò a letto senza cena. Il povero giovane passò una notte
deliziosa, cogli occhi sbarrati nel buio, a veder pettini di tartaruga e
occhiate lucenti che illuminavano la camera. Appena uscito, il giorno dopo,
provò subito una smania di correre dall'amico Renna.
- Una divinità, caro mio! Una
cosa da ammattire! -
Renna, ch'era indiscreto, volle
sapere a che punto fossero le cose, e lo costrinse a inventare dei particolari.
- Benone! - conchiuse. - Sai però
cosa ti dico? Alla lesta! Non perdere il tempo a filare il sentimento. Già è
donna di teatro; non ti dico altro!
- Io?... Filare il sentimento?...
- borbottò Gaetanino, quasi reputandosi offeso. - Vedrai!...
Ma il signor Olinto era lì ogni
sera, a fumare la pipa e centellinare il vino dell'amicizia. Quando lui usciva
a prender aria poi, la mamma, che stava appisolata in un cantuccio, collo
scaldino sotto le sottane, apriva un occhio. Filavano le occhiate, del resto,
che era uno struggimento, e le pedate sotto la tavola, e il fuoco e l'accento
di certe frasi, alle prove:
Io ti guardo negli occhi che son
tanto belli!!!
- Così - esclamava il capocomico,
picchiando della mazza per terra. - Faremo saltare in aria il teatro! -
Intanto quel briccone di Barbetti
metteva dei bastoni nelle ruote. Erano giunte due copie della Frusta
teatrale con un articolaccio che diceva ira di Dio della camorra letteraria
ed artistica, e fecero il giro del paese. La pianta del teatro rimaneva mezzo
vuota. Don Gaetanino, per onore di firma, dovette prendere un palco ad insaputa
del genitore. C'erano pure delle altre nubi in quel cielo azzurro. Il vino
vecchio scorreva com'olio; e l'amico Olinto qualche volta, conducendolo a
braccetto per le strade remote, gli faceva delle confidenze:
- Sono sulle spese... Otto giorni
inoperoso sulla piazza... La recita non va... - Don Gaetanino dovette carpire
le chiavi del magazzino e vendere del grano di nascosto.
Intanto il capocomico, per
rabbonire il corrispondente della Frusta teatrale e dell'Ape dei
teatri, aveva tirato in casa pur lui, a studiare Vittoria Colonna,
insieme alla sua signora e alla ragazza. Quando don Gaetanino trovò anche
Barbetti installato accanto alla Rosmunda, col cappellaccio in testa e il bicchiere
in mano, fece tanto di muso, e andò a sedere in disparte.
- Lei mi deve fare entrare
Vittoria alla terza scena - stava dicendo il capocomico. - C'è più interesse e
movimento. Un valletto solleva la tenda, giusto all'ultima battuta mia: «sulla
tua corona superba, il mio piede sovrano di pezzente!...» e comparisce lei,
bella, maestosa, imponente... -
E così dicendo additò la sua
signora. Costei al richiamo spalancò gli occhi di botto, e si rizzò sulla vita,
col viso di tre quarti, e un sorriso sospeso all'angolo della bocca. Rosmunda
finse di dover andare di là, e passando vicino a don Gaetanino disse piano:
- Che seccatore!...
- No! - ribatté Barbetti
solennemente. - Non muto neppure una virgola! Mi farei tagliare la mano
piuttosto!
- Ah! Bene! bene! Questo si
chiama aver coscienza artistica! Non come tanti altri che magari vi aggiungono
o tagliano degli atti intieri... quasi fosse un giuoco di bussolotti!... Mi
pareva soltanto... pel movimento scenico... per l'interesse... per la pratica
che ci ho!... Ma già, lei è il miglior giudice. Alla sua salute! -
Don Gaetanino vedeva nell'altra
stanza lampeggiare al buio gli occhi della Rosmunda, la quale si voltava a
guardarlo di tanto in tanto. Poi essa ritornò con un lavoro all'uncinetto e gli
si mise allato.
- Che hai, Paggio Fernando?... -
gli chiese sottovoce, con una musica deliziosa nella voce, e i begli occhi
chini sul lavoro.
Allora senza curarsi di Barbetti,
senza curarsi di nessuno, egli le disse il suo segreto, col viso acceso, colle
parole calde che le balbettava all'orecchio come una carezza. Essa chinavasi
sempre più sul lavoro, quasi vinta, scoprendo la nuca bianca. Poscia si sollevò
con un sospiro lungo di cui non si udì il suono, appoggiando le spalle alla
seggiola, colle mani abbandonate sul grembo, la testa all'indietro, il viso
pallido, la bocca semiaperta, gli occhi languidi di dolcezza che si fissavano
su di lui.
Ma quello sfacciato di Barbetti
non se ne dava per inteso. Sembrava anzi che si pigliasse da sé la sua parte di
confidenza e d'intimità in casa dei comici. Era lì ogni sera, stuzzicando la
ragazza a fare il chiasso, bevendo il vino di don Gaetanino, giuocando a
briscola col signor Olinto, sparlando di questo e di quello. - Da artisti! Una
vita quieta e tranquilla, che si sarebbe dimenticato volentieri di cercar le
piazze e le scritture, in quell'angolo del mondo! - diceva il capocomico.
Quando non c'era l'amico Barbetti, faceva dei solitari, o si esercitava
in certi giuochi di mano coi quali aveva messo sossopra dei teatri. Don
Gaetanino, purché lo lasciassero quieto nel suo cantuccio, portava nelle tasche
del cappotto salsicciotti e altri salumi, che piacevano tanto alla mamma,
felicissimo quando poteva starsene insieme alla Rosmunda, colle mani
intrecciate, guardandosi negli occhi, spasimando di desiderio, e volgendo le
spalle agli altri.
- Eh? a che punto siamo? -
chiedeva il Renna di tanto in tanto. Don Gaetanino rispondeva con un sorriso
che voleva sembrar discreto.
- Ma c'è sempre Barbetti?
- Ci vado di notte... - confessò
finalmente Gaetanino facendosi rosso, - dalla finestra!... -
Tutto il paese sapeva ch'egli era
l'amante della «prima donna» e papà Longo sequestrò le chiavi della dispensa,
vedendo diradare i salsicciotti appesi al solaio, e avendo anche dei sospetti
quanto al grano e al vino vecchio. Fu un affare serio, poiché l'orologio
d'argento messo in pegno non durò neanche quarantott'ore. Per giunta il povero
don Gaetanino era geloso di quella bestia di Barbetti, il quale colla Rosmunda
si pigliava troppa libertà, senza educazione, subito in confidenza, con quelle
manacce sudice sempre per aria, e le barzellette salate che facevano ridere la
ragazza. Due o tre volte, giungendo prima dell'ora solita, li aveva trovati a
tavola tutti quanti, mangiando e bevendo alla sua barba. Vero è che Rosmunda si
era alzata subito, con un pretesto, ed era venuta a dirgli in un cantuccio:
- Quel seccatore!... L'ho sempre
fra i piedi! -
Le prove tiravano in lungo, come
la vendita dei biglietti per la serata. Il signor Olinto passava le giornate dal
barbiere, al caffè, nelle spezierie, dando anche la sera una capatina nel
Casino di conversazione, cavando fuori ogni momento la pianta, fermando la
gente per le strade col cappello in mano. Aveva pure radunata una Commissione,
«senza colore politico», per proteggere la serata, il presidente della
Società operaia insieme al vice pretore, i quali avevano accettato soltanto per
godersi la Partita a scacchi gratis. A Barbetti poi diceva, con una
strizzatina d'occhi che doveva chetarlo:
- Abbi pazienza! Prima bisogna
adescare il pubblico con quella roba lì! Più tardi poi... se abboccano... fuoco
alla grossa artiglieria! E diamo mano all'arte sul serio! -
Perciò ogni mattina alle 10,
tutti in teatro per le prove: lui gesticolando colla canna d'India in mano e predicando
dentro il bavero di pelo; la sua signora, come una marmotta, colla sciarpa di
lana intorno al capo; Rosmunda col nasino rosso sul manicotto di pelle di
gatto, e la veletta imperlata dal freddo.
- Là! Fatemi suonare quei versi!
-
Oh! Ma non sai, Jolanda, che ho
giuocato la vita?
- Flon! flon! flon! La gamba un po' più avanti! La mani sul
petto! Viva quella mano, perdio! che palpiti e frema! Tu sei innamorato della
mia ragazza... -
Il fatto è che a dirglielo in
versi dinanzi a tanta gente, don Gaetanino diventava un minchione. C'erano pure
gli altri dilettanti, in posizione, ad aspettare la loro battuta colla bocca
mezzo aperta, e il cappellaccio di Barbetti che andava svolazzando al buio per
la platea, come un uccello di malaugurio.
Jolanda al contrario, padrona di
sé e del palcoscenico, si muoveva come una regina, agitava drammaticamente il
manicotto, si piantava sull'anca, col seno palpitante, il torso audace, gli
occhi stralunati sotto la veletta.
Tu giungesti, Fernando, tu che
sei forte e bello.
E una voce nell'anima mi gridò
tosto: È quello!...
- Perdio! Porca fortuna! - il
babbo picchiava con forza il bastone sulle tavole. - Un insieme come questo!...
Il pubblico balzerà in piedi, vi dico!... Dove me lo trovate?... Li tengo negli
stivali tutti quei cavalieri e commendatori, quanto a saper mettere in
scena!... È che la fortuna!... -
Allora se la pigliava colla
cabala, col gusto corrotto del pubblico, coi tempi che non dicevano, e deplorava
che ora si corra dietro all'apparato, ai vestiti delle prime attrici, roba che
non ha nulla a fare coll'arte, anzi che la corrompe. Un'artista, per contentare
tutti al giorno d'oggi deve fare quel mestiere!
Don Gaetanino, mortificato,
scusavasi col dire:
- Sicuro... quando avrò il
costume... Adesso, con questi abiti... mi sento tutto... -
Finalmente, papà Longo sequestrò
anche le chiavi del magazzino. Allora il signor Olinto accorciò le prove. A
Barbetti, che gli ronzava sempre intorno colla Vittoria Colonna, disse
chiaro e tondo:
- Mio caro, se mi dai teatro
pieno, volentieri... Ma se no, salutami tanto donna Vittoria. Da tre settimane
son qui sulle spese! -
Sembrava che la sera della recita
alla Rosmunda le parlasse il cuore. Nervosa, irrequieta, correndo ogni momento
dinanzi allo specchio per darsi un po' di cipria, o per accomodarsi meglio la
parrucca bionda.
Appena i tre violini della
Filarmonica attaccarono il valzer di Madama Angot, essa stessa si buttò
singhiozzando nelle braccia di Paggio Fernando, il quale aspettava dietro una
quinta, irrigidito, e lo baciò sulla bocca, lievemente, tenendolo discosto per
non sciupare il belletto.
- Che hai, Rosmunda?...
- Ora andremo via... fra qualche
giorno!... Non ci vedremo più! -
Comparve all'improvviso il babbo,
come uno spettro, infarinato, bianco di pelo, colle calze bianche della moglie
tirate sulle polpe, e due ditate nere sotto gli occhi: - Ragazzi! attenti!
Fuori di scena! -
Andò a rotta di collo la Partita
a Scacchi. Sia che ci fosse «il partito contrario»; sia che Paggio
Fernando, con quei stivaloni e quella penna di struzzo dinanzi agli occhi,
perdesse la tramontana. Incespicò, s'impaperò, batté i piedi in terra, tornò da
capo: insomma un precipizio. L'amico Olinto, bestemmiando nel barbone di bambagia,
gli faceva degli occhiacci terribili. Jolanda fu lì lì per isvenire. Barbetti e
tre o quattro amici suoi dal cappellaccio repubblicano, in piedi addirittura
fischiavano come locomotive. La mamma di don Gaetanino e tutto il parentado se
ne andarono prima che calasse la tela. Il Sindaco, furibondo, voleva fare
arrestare tutti quanti.
Ma fu peggio il giorno dopo,
quando il povero innamorato, di sera, pigliando le strade fuori mano, andò a
trovare la Rosmunda, con tanto di muso e bisbetica, che gli fece appena la
carità di un'occhiata e di una parola. Meno male l'amico Olinto, che non ne
parlava più e badava soltanto a fare i conti dello spesato, e con Barbetti, il
quale prometteva mari e monti, e aveva di nuovo intavolato il discorso della Vittoria.
- Se avessi dato retta a me!...
Quella è roba che fa ridere oramai... Non parlo per l'esecuzione... -
Più di una volta, in quella sera
disgraziata, don Gaetanino accarezzò l'idea del suicidio. Girovagò sin tardi
per le strade buie come l'inferno. Andò a chinarsi sul parapetto del Belvedere,
scivolando sui mucchi di sterro, colla morte nell'anima. Da per tutto, nella
vallata scura e sinistra, nel cielo nuvoloso, sugli usci neri, vedeva il viso
di lei rigido e chiuso; la vedeva ancora colla parrucca bionda e il bacio sulle
labbra di carminio. Non chiuse occhio tutta la notte, tormentato da quella
visione implacabile, colle stesse parole di Paggio Fernando che gli
martellavano le tempie, ridicole, simili agli sghignazzamenti della platea, che
gli facevano cacciare il capo disperatamente fra i guanciali.
Poi, come tutto passa, anche
Rosmunda si calmò; il padre stesso di lei venne a cercarlo sin nella strada.
Ricominciarono a far girare la pianta, e parlare di un'altra recita con un
«lavoro originale di penna paesana».
Il capocomico e Barbetti
tornarono a passar la sera discorrendo di Vittoria Colonna, egli e
Rosmunda parlando di tutt'altro, a quattr'occhi, in un cantuccio, tenendosi le
mani, benedicendo a quella Vittoria che tratteneva ancora in paese papà
Olinto e la sua ragazza. Ma la gente non voleva più saperne di mettere mano
alla tasca per simili sciocchezze. Il teatro rimaneva quasi vuoto. Barbetti
seguitava a pigliarsela colla camorra, e don Gaetano era indebitato sino agli
occhi. Infine suo padre, vedendo che quella musica non cessava, ed egli
rischiava davvero di perdere il figliuolo che già gli si ribellava contro,
tanto era innamorato, prese un partito eroico: salassò il bilancio comunale di
un centinaio di lire, raccolse un altro gruzzolo per contribuzione, e mandò i
denari ai comici per le spese del viaggio.
Che agonia l'ultima sera! Che
schianto mentre Rosmunda preparava i bauli colle mani tremanti, e la mamma
faceva friggere in cucina un po' di pesce per la cena d'addio! Don Gaetanino
seguì la Rosmunda anche lì, dinanzi alla mamma che voltava le spalle, tenendola
per mano, appoggiati al muro tutti e due, la ragazza singhiozzando forte come
una bambina, nei brevi istanti che la mamma discretamente li lasciava soli.
- Addio!... per sempre!... Non ci
vedremo più!... Sempre così!... sempre così!... -
Ora gli parlava a cuore aperto,
lamentandosi a voce alta, a rischio d'essere udita dal Barbetti. Che gliene
importava? Non si sarebbero visti mai più! così era stato sempre, tutta la sua
vita, da un paese all'altro, ogni due o tre settimane uno strappo al cuore,
appena il cuore si attaccava a qualcuno...
- Ti ho voluto bene, sai! Tanto
bene! tanto! - E lo guardava fisso, accennando anche col capo, cogli occhi
pieni di lagrime.
L'amico Olinto, baciandolo sulle
due guance, coi baffi ancora umidi di salsa, gli disse all'ultimo momento:
- Arrivederci, Paggio Fernando!
Le montagne sole non si muovono. Chissà!... Rammentati l'amico Olinto, in giro
pel mondo, e viva l'allegria! -
Don Gaetanino Longo rimase Paggio
Fernando: nel paese, all'Università, più tardi, quando vinse il concorso di
notaio, consigliere comunale, maritato, padre di famiglia: Paggio Fernando! E
la moglie, per giunta, gelosa come una tigre per quel soprannome che gli faceva
sospettare non so che infedeltà.
Dopo un gran pezzo, a Roma, dove
aveva accompagnato il Sindaco per certo affare del municipio, rivide in teatro
la Rosmunda, acclamata, festeggiata, tutti gli occhi su di lei, tutte le mani
che l'applaudivano. Provò un tuffo nel cuore, soffiandosi il naso come una
trombetta, coi lucciconi di tanti anni addietro che gli tornavano agli occhi.
Ma Renna, segretario comunale, ch'era con lui nello stesso palco, se la rideva
invece nella barba grigia; e Severino, il suo ragazzo, di già alto così, gli
fece capire quant'era sciocco.
- Guarda, papà che piange! Se è
tutta una finzione!... -
I ragazzi al giorno d'oggi hanno
più giudizio dei vecchi.
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