- Sublime!... impareggiabile!...
divina!... - acclamarono in coro gli ammiratori della seratante ammessi
all'onore d'esprimerle a viva voce i loro entusiasmi.
- Celeste! - le soffiò sulla nuca
Barbetti, il cronista teatrale.
La divina, imbacuccata nella
pelliccia preziosa che la cameriera le aveva buttato premurosamente sulle
spalle appena fra le quinte, ansante, col viso acceso, passò modestamente
orgogliosa in mezzo alla folla degli amici che le facevano ala sino all'uscio
del camerino, ringraziando col sorriso distratto i suoi ammiratori.
C'erano tutti quelli della piazza.
Il principe d'Antona, in giacchetta, come uno che da per tutto si reputa in
casa propria, Barbetti e il banchiere Macerata in cravatta bianca come dei
principi; i soliti amici di tutte le prime donne che passano pel palcoscenico dell'Apollo.
C'erano anche delle facce nuove, che se ne stavano timidamente in seconda fila:
un giovanotto pallido e dagli occhi sfavillanti che tartagliava, una signora in
voce di poetessa, la quale eclissavasi con affettazione dietro agli altri; e un
po' in disparte il Re di cuori, come lo chiamavano, il patito
della signora Celeste, un bel giovane taciturno che assumeva un'aria
misteriosa. Barbetti scriveva già le impressioni della serata sul ginocchio,
posando lo scarpino inverniciato sulla sponda del canapè, elegantissimo e
insolente, quand'era in cravatta bianca, mugolando fra le labbra:
- Ah, Celeste mia! Celeste
voluttà!... -
Lontano, al di là della scena
buia e di un caos d'attrezzi, continuava ancora l'applauso, col crepitìo di un
fuoco d'artifizio. Delle ballerine discinte si affacciavano alle ringhiere dei
camerini soprastanti. Il buttafuori, in maniche di camicia, accorreva
scalmanato. Le stesse voci plaudenti ripigliarono:
- Sentite! sentite!... Vi
vogliono ancora!... Li avete proprio elettrizzati!...-
La diva, nell'orgoglio del
trionfo, fece un atto sublime di disdegno, lasciandosi cadere quasi sfinita sul
canapè, accanto al ginocchio del cronista, e colla coda dell'occhio seguiva il
lapis d'oro di lui, mentre rispondeva col solito sorriso stracco ai complimenti
che le piovevano da ogni parte. L'impresario venne in persona a supplicarla di
«accondiscendere al desiderio del pubblico», arruffato, gongolante, col sorriso
cupido che voleva sembrar benevolo.
- Cara signora Celeste... abbiate
pazienza!... un momentino solo!... Buttano sossopra il teatro, se no!... -
La trionfatrice, a cui gli occhi
sfavillavano di desiderio, ebbe però il coraggio di ripetere il magnanimo
rifiuto, stringendosi nelle spalle, questa volta in barba all'uomo che teneva
la cassetta. Ma il giornalista paternamente le tolse la pelliccia di dosso,
senza dir nulla, e la spinse verso la ribalta in un certo modo che significava:
- Via, via, figliuola, non
facciamo sciocchezze -.
L'applauso, quasi soffocato sino
allora, rinforzò a un tratto collo scrosciare impetuoso di una grandinata.
Delle acclamazioni ad alta voce irruppero qua e là. E a misura che l'entusiasmo
s'eccitava, propagandosi dall'uno all'altro, dei visi accesi, delle mani
inguantate, dei petti di camicia candidissimi sembravano staccarsi confusamente
dalla folla, e avanzarsi verso l'attrice. Più vicino, dinanzi a lei, dei
professori d'orchestra si erano levati in piedi, plaudenti, e sino in fondo
alla vasta sala, lungo la fila dei palchi gremiti di spettatori, nel brulichìo
immenso della folla variopinta, si sentiva correre, quasi un fremito
d'entusiasmo, l'eccitamento delle note d'Aida ancora vibranti nell'aria e dei
seni ignudi che si gonfiavano mollemente, tutta la vaga sensualità diffusa per
la sala, che rivolgevasi verso l'attrice e l'avviluppava come una carezza del
pubblico intero - colle mani che si stendevano verso di lei per applaudirla -
colle grida che inneggiavano al suo nome - col luccichìo dei cannocchiali che
cercavano il suo sorriso ancora inebbriato, il sogno d'amore ch'era ancora nei
suoi occhi, l'insenatura delicata del suo petto e la curva elegante della
maglia che balenava tratto tratto fra le pieghe della tunica d'Aida,
trasparente e semiaperta, quasi cedendo già all'invito delle braccia tese verso
di lei, mentre essa inchinavasi dolcemente, col sorriso tuttora avido, volgendo
sguardi lunghi e molli che cercavano l'amore della folla.
- Proprio così! - stava dicendo
il giornalista che aveva fretta di andarsene a cena. - Stasera non ce n'è più
per noialtri. Siamo in troppi, amici miei! Vi pare?... Dopo aver dato il cuore
a duemila persone... e in musica per giunta!... -
E Barbetti stonacchiò sotto il
naso del Re di cuori:
- Morir d'amor per te!... per teee!... -
Il principe sorrise lievemente,
stendendosi sul divano. Macerata, mentre la diva rientrava nel camerino,
ribatté con molto spirito:
- Va bene. Vuol dire che noi
rappresentiamo l'entusiasmo pubblico... la deputazione dei dimostranti venuta a
prendere l'accolade!... E la vogliamo, per bacco! -
Così dicendo fece mostra di
aprirle le braccia confidenzialmente. Ella vi mise soltanto la pelliccia,
sedendo accanto al principe, il quale le baciò la mano.
- Un successone!... un vero
trionfo! - ripeteva intanto il coro.
Ma essa non dava retta. Sembrava
assorta, un po' stordita dall'applauso, e interrogava solo Barbetti con uno
sguardo insistente.
Questi chinò il capo affermando,
senza dire una parola.
- Ci penserete voi al telegrafo?
- diss'ella un momento dopo.
Barbetti esitò.
- Va bene, ci penserò io... c'è
tempo... -
Una dozzina di persone pigiavansi
nel camerino. E delle altre teste si ammonticchiavano all'uscio, degli altri
visitatori sopraggiungevano: il direttore d'orchestra che veniva a
congratularsi «del legittimo successo», un compositore famoso per cercare dei
complimenti da per tutto, col pretesto di farne agli altri:
- Ah, signora Celeste, non ci
siete che voi!... il vostro metodo!... la vostra voce!... l'arte vostra!... -
Per cinque minuti si parlò anche
d'arte e di musica. Il giovanetto tartaglione, strozzato dall'emozione,
balbettò qualche frase sconnessa, facendosi rosso, di una fiamma sincera
d'entusiasmo che avvivava le sue guance e i suoi occhi giovanili, e faceva
sorridere la commediante. La poetessa si fece avanti alla fine, bisbigliando a
mezza voce:
- Mia cara... Non ho saputo
resistere... Quali sensazioni deliziose!... -
Il principe si era alzato per
cederle il posto; ma essa preferiva drappeggiarsi nel suo mantello, per
recitare con voce dimessa un madrigale pomposo. Barbetti che si era messo a
sedere sul bracciolo del canapè e la guardava insolentemente, si chinò poi
all'orecchio della signora Celeste, dicendole:
- Ah, figliuola mia, se
m'innamorate anche le donne, adesso!... -
L'attrice riceveva tutti quegli
omaggi negligentemente seduta sul canapè, come in trono, sorridendo a mala pena
di tanto in tanto, in aria distratta, quasi tendesse ancora l'orecchio al
rumore degli applausi, quasi cercando ancora il suo pubblico delirante
coll'occhio assorto che fissavasi incerto su chi parlava. E tornava a sorridere
incontrando gli occhi sfavillanti del giovinetto ingenuo che la divoravano.
Fragranze rare e delicate emanavano dai fiori ammucchiati da per tutto, sulla
poltrona, sulle seggiole, sul tavolinetto che reggeva lo specchio, fra le
quinte: dei mazzi enormi, dei monogrammi inquadrati su dei cavalletti, delle
giardiniere che impedivano il passo e che nessuno guardava; un profumo
delizioso di vari odori che andava alla testa e inebbriava al pari della
musica, al pari dell'amore d'Aida, al pari delle parole sonanti accompagnate
dal ritmo armonioso, al pari degli applausi della platea, dei tanti visi accesi
per lei, dei tanti cuori che essa aveva fatto palpitare, di tante fantasie e
tanti vaghi desideri che essa aveva destato e che erano venuti a deporsi ai
suoi piedi, coll'adulazione ingenua e ardente del collegiale che aveva osato
mandarle la sua dichiarazione d'amore per la posta, col francobollo da cinque
centesimi: - «Stanotte vi ho sognata... Mi pareva di essere sotto un
bell'albero, in un ameno giardino... e un usignuolo cantava colla vostra
voce...» - oppure colla lusinga che era nell'articolo del giornale e nei versi
dedicati a lei: «Celeste scende degli umani al core...» - «Per descrivere le
impressioni veramente celestiali destate dal canto della grande artista signora
Celeste...» - Le parole e le frasi che l'avevano inneggiata in tanti modi si
ripetevano in quel momento vagamente dentro di lei, quasi un'altra armonia
interiore, tutte quante, le più insulse come le più artificiose; le facevano
gonfiare il cuore egualmente del ricordo di tutti i suoi ammiratori -
dall'adolescente imberbe che rizzavasi in piedi affascinato, dietro le spalle
della mamma, nel palchetto di proscenio, al giornalista che smetteva il sorriso
canzonatorio quando le parlava - al diplomatico che disertava il Circolo per
lei, e le offriva le ultime fiamme avanzate dalle emozioni del giuoco e della gran
vita - all'operaio che le gridava brutalmente il suo entusiasmo dalla
piccionaia. - Tutti, tutti. - Fin l'impresario che si mostrava amabile - fino
il telegramma che andava a cercarla in capo al mondo - fino il cronista di
provincia che assediava il portiere del suo albergo - dovunque, in ogni piazza,
fin nelle stagioni di riposo, ai bagni, ai quattro punti cardinali, sempre, lo
stesso culto l'era stato tributato in tutte le lingue, lo stesso sentimento
essa aveva letto in viso ad ammiratori di tutte le razze, il sentimento che le
indicava il valore della sua persona e ispiravale l'amore di tutto ciò che
riferivasi a lei, il teatro, l'arte, Aida, Valentina, Margherita, tutte le
creazioni che incarnavansi in lei. E sentiva a momenti in quel trionfo di sé,
in quell'orgoglio sconfinato del suo io, una tenerezza, una gratitudine, una
simpatia, un'indulgenza per tutti gli omaggi che erano venuti a lei,
comunque fossero, da qualunque parte venissero, e che si personificavano in
tanti ricordi, in tante date, dei momenti deliziosi, delle parole che le
avevano fatto palpitare il cuore un momento, di qua e di là... Chi poteva
rammentarsi? Delle fisonomie e dei lembi di paesaggio le tornavano dinanzi agli
occhi, di tanto in tanto: dei visi che dovevano turbarsi anch'essi, quando
leggevano il suo nome nelle gazzette sparse ai quattro venti della terra, o il
suo ritratto, sparso anch'esso ai quattro venti della terra, tornava a cadere
loro sott'occhio. L'avevano tutti, il suo ritratto, nel giornale illustrato,
nella vetrina dell'editore, sulle cantonate della via; i fotografi lo tiravano
a centinaia di dozzine, ed essa se lo lasciava dietro, in ogni città, a dozzine
intere, per tutti quanti, come dava a tutti quanti i tesori del suo canto, le
emozioni della sua anima, i segreti della sua bellezza. Perché accordare delle
preferenze quando aveva bisogno dell'ammirazione di tutti? Perché imporsi certi
riserbi, vincolare il suo cuore o il suo capriccio, se doveva mutare amici e
paese a ogni mutar di stagione, se nessuno le sarebbe stato grato della
costanza, se la sua dignità stessa di donna doveva essere diversa da quella
delle altre? E una malinconica dolcezza le veniva da tanti ricordi confusi,
nello stordimento e nella vaga lassezza di quell'ora. E sorrideva più
volentieri al giovinetto bleso di cui l'adorazione ingenua ridava una specie di
verginità a quelle memorie. E il bel Re di cuori, collo sguardo supplichevole,
implorava invano da lei quella sera l'occhiata complice che avrebbe dovuto
assentire e promettere... Egli aspettava sempre, paziente e rassegnato,
aiutando a porre in ordine lo stanzino, scegliendo i fiori da mettere da
parte, cedendo il posto ai nuovi visitatori, dando sottovoce degli ordini alla
cameriera, la quale affrettavasi a riporre i regali che brillavano sulla
tavoletta, segnati da biglietti da visita. Macerata, che covava cogli occhi da
un pezzo il suo, non seppe tenersi dal protestare:
- Come?... Senza farceli neppure
ammirare?... Senza «farci vedere il cuore degli amici?...» -
Gli astucci allora passarono di
mano in mano, ammirati, lodati, sotto gli occhi sospettosi della cameriera, la
quale si teneva ritta presso la cortina che nascondeva il fondo del camerino.
Si ripeté un altro coro di esclamazioni:
- Bello! - Elegantissimo! -
Stupendo! - Il banchiere insisteva sull'intenzione che esprimeva il suo dono,
uno spillo a ferro di cavallo di brillanti. - Per dare un bel calcio alla
jettatura! - Nella confusione poi alcuni dei biglietti che accompagnavano al
dono il nome del donatore andarono smarriti, prima che la diva si fosse degnata
di accorgersene. Un magnifico vezzo di perle non si sapeva più da chi fosse
stato offerto.
- Eh, giacché siete tanto
indiscreti... Sono stato io, là! - disse infine Barbetti.
Tutti quanti scoppiarono a
ridere, compresa la signora Celeste, quasi Barbetti avesse spacciato la panzana
più matta. Il principe assentì anche col capo. In quella fece capolino
all'uscio un inserviente del palcoscenico, sorridendo alla seratante come uno
che aspetti la mancia anche lui, porgendole a mano un biglietto da visita.
- C'è questo signore... Dice che
la conosce tanto... -
L'attrice studiava il biglietto,
cercando di rammentarsi quel nome, quando entrò il signore che essa conosceva
tanto, un bel giovane forestiero, riccioluto e azzimato all'ultima moda, il
quale però rimase un po' male, trovandosi a un tratto in sì bella compagnia, al
cospetto della diva in soglio che lo guardava d'alto in basso, per
raccapezzarsi, e di tutta la sua corte.
- Scusatemi, Celeste... -
balbettò lui. - Ho letto sui giornali... Presi subito il treno... Non potevo
immaginare una cosa simile... -
E com'ella seguitava a guardarlo
in quel modo imbarazzante, senza rispondere, in mezzo al silenzio ostile di
tutto l'uditorio, il povero giovane perse del tutto la tramontana, cercando
d'aiutarsi alla meglio.
- Ettore... Ettore Baroncini di
Sinigaglia... Vi rammentate... per la fiera?
- Ah!... - fece lei. - Oh! -
Ettore Baroncini, incoraggiato
dai due monosillabi insidiosi, si lasciò sfuggire:
- N'è passato del tempo, eh! -
Non aggiunse altro, mortificato
del sorriso glaciale di lei, che riprese immediatamente a discorrere col
principe, volgendo le spalle all'amico Baroncini e alla fiera di Sinigaglia,
con un certo sorriso fine per giunta, che aveva tutta l'aria d'essere dedicato
a lui, e che gli tolse il coraggio finanche d'andarsene insalutato ospite, e lo
inchiodò al posto in cui era.
- Allora - riprese Barbetti,
quasi continuando un discorso incominciato. - Allora direi che il donatore
incognito è già bell'e trovato... E vuol dire che non sarò stato io, pazienza!
-
D'Antona, mentre gli altri si
accingevano a ridere di nuovo, disse galantemente alla bella signora:
- Chiunque sia stato l'ammiratore
incognito... Ne avrete tanti!... Volete permettermi di rappresentarlo? -
Ella che aveva già indovinato
sorridendo gli stese la mano, che il principe si mise a baciare ghiottamente,
fra il serio e il faceto, sulla palma, sul polso, salendo su pel braccio che
sembrava inzuccherato dalla polvere di cipria, mentre la Celeste rideva quasi
le facesse il solletico, fingendo di voler svincolarsi, esclamando:
- No! no! basta! Così ve la
pigliate per venti ammiratori! -
Macerata reclamava intanto la sua
parte, e degli altri pure, cortesemente. Solo la poetessa accomiatavasi a
labbra strette, e il giornalista agitava il gibus quasi per scacciare
delle mosche, ripetendo:
- Via, via, signori miei...
dinanzi alla gente... dei forestieri anche!... -
Il signore forestiero, ancora
rosso dall'emozione, aveva fatto la bocca al riso anche lui, per non restar da
grullo, tormentandosi i baffi, girando intorno, suo malgrado, uno sguardo
inquieto, sulla comitiva di cui la sola faccia simpatica gli sembrò allora
quella del bel giovane taciturno, il quale lisciavasi i baffi anche lui,
sorridendo a fiori di labbro anche lui. Di fuori intanto il macchinista
strepitava per far sgombrare il palcoscenico:
- La vita!... Signori!... Abbiano
pazienza! - Gli ammiratori della cantante, che erano rimasti sull'uscio,
ondeggiavano di qua e di là. Degli altri mazzi di fiori furono cacciati nel
camerino alla rinfusa. Il cavalletto e la giardiniera furono spazzati via. Si
udì un correr frettoloso, uno sbatter di usci, delle voci di comando, e uno
schiamazzar di voci femminili.
- Il ballo! In scena pel ballo! -
Lo stesso impresario, che era
tutto miele un quarto d'ora prima, mandava ora al diavolo gli importuni.
- Signori miei... un po' di
pazienza... Il pubblico s'impazienta!
- Se si andasse a cena? - propose
Macerata.
La signora Celeste fece una
smorfia che diceva di no. Ma il banchiere torno ad insistere e a farle dolce
violenza, chino verso di lei, prendendole la mano, parlandole sul collo in un
certo modo che faceva arricciare il naso al Re di cuori e all'amico di
Sinigaglia. Barbetti però approvava il rifiuto.
- Andiamoci pure a cena, ma senza
di lei. Lei ha bisogno di riposare, poverina. Lasciateli dire, mia cara. Questa
gente non sa cosa significhi una serata simile... - Il bel Re di cuori
infine perse la pazienza, borbottando che non era quella la maniera... Ettore
Baroncini in cuor suo fece lega con lui.
- Ma no! ma no! - diss'ella. -
Andate via, piuttosto! Non posso mica spogliarmi dinanzi a tutti quanti.
- Oh! - Perché mai?... -
Magari!... - C'est juste mais sévère! - conchiuse il banchiere.
- Bello! bellissimo... le mot
de la fin!... - esclamò Barbetti, e intanto spingeva fuori la gente, come
uno di casa. Il Re di cuori era rimasto cercando il cappello, aspettando
dalla diva la parola o l'occhiata che essa gli aveva promesso per quella sera.
- Caro Sereni, - gli disse
Barbetti. - non facciamo dei gelosi...
- Barbetti, ehi! il telegrafo
l'avete dimenticato? - esclamò la signora Celeste passando la testa
nell'apertura della tenda.
- Eh, no... pur troppo...
- A Milano! E rammentatemi anche
a Napoli, dove farò la quaresima... Non lo dimenticate... Vi accompagnerà
Sereni perché non lo dimentichiate, al vostro solito... Aspettate, Sereni, vi
do un rigo per memoria -.
E lì, scrivendo sul ginocchio
anche lei come Barbetti, colla tunica di Aida semiaperta che scopriva il fine
contorno della gamba coperta dalla maglia carnicina, buttò due parole su di un
pezzetto di carta strappato da un mazzo di fiori, e sporse dalla tenda il
braccio nudo per dare il bigliettino a Sereni, il quale lo prese avidamente,
mentre dietro la cortina, con un fruscìo frettoloso di vestiti, si udiva ancora
la bella voce allegra di lei ripetere:
- Andatevene! Andate via tutti
quanti! -
I suoi fedeli però l'aspettavano
ostinatamente dietro l'uscio del camerino, Macerata che voleva aver l'onore di
darle il braccio sino alla carrozza, il principe d'Antona discorrendo con una
figurante che non gli nascondeva nulla, Ettore Baroncini il quale non sapeva
risolversi ad andarsene dopo aver preso apposta il treno, temendo di passare
per uno zotico, Sereni che fiutava un rivale e Barbetti che odorava la cena.
Finalmente la bella ricomparve col berrettino di lontra sugli occhi,
imbacuccata sino al naso, seguìta dalla cameriera contegnosa che portava la
borsetta delle gioie, sgridando Barbetti e tutti gli altri, che si
precipitavano ad accompagnarla, Macerata impadronendosi del braccio di lei che
gli era costato uno spillo di brillanti, il principe staccandosi garbatamente
dalla figurante, la quale schermivasi allora coprendo il petto colle mani,
Barbetti canticchiando:
- Andiam! partiam! a cena
andiam!... Non dico a voi, cara Celeste. Voi anderete a dormire
tranquillamente... Sentirete che brindisi, dal vostro letto!...
- Ah! meraviglia delle
meraviglie! Angeli e ministri di grazia, soccorretemi voi! -
Quest'ultimo complimento era
diretto all'altra diva del ballo «La stella» che attraversava in quel punto il
dietro scena, seminuda, colle spalle e il seno appena coperti da una ricca
mantellina, tutta vaporosa nella cipria e nei veli diafani, col viso mordente
delle labbra e degli occhi tinti che salutava gli amici e gli ammiratori della
cantante, suoi ammiratori anch'essi e suoi amici, quasi librandosi sulla punta
delle scarpette di raso all'incitamento della musica che la chiamava, per
correre all'applauso che aspettava impaziente lei pure. Il tenore, con cui la
diva del canto aveva delirato d'amore in musica, e per cui era morta sul
palcoscenico mezz'ora prima, le passò vicino adesso senza salutarla, rialzando
il bavero della pelliccia, col fazzoletto sulla bocca. Ed essa non lo guardò
neppure, scambiando invece un'occhiata ostile coll'altra diva della danza.
- No, no, non vi lascio andar
sola... Ho paura che vi rubino, i vostri ammiratori... - diceva il principe che
ostinavasi a voler montare in carrozza con lei, dopo aver messo da banda
tranquillamente Macerata. Ed essa rispondeva con la risatina squillante: -
Sciocco!... via! andate via!... Barbetti?...
- Sì, sì, il telegrafo, non l'ho
dimenticato. Signori belli, cosa si fa adesso? Si va a cena, a finir la serata
della diva? Ehi, dico, Sereni, è quanto possiamo far di meglio. Non ti cavare
gli occhi sotto quel lampione, che lo scritto so io cosa dice -.
Ma il principe si scusò dicendo
di avere un appuntamento al Circolo, e Macerata non si sentiva di pagare anche
i brindisi che gli altri avrebbero fatti alla diva. Rimasero Baroncini, il
quale non voleva passare per straccione o per avaro, ricusando di pagar da
cena, e Sereni che aveva letto: «Impossibile per questa sera, mio caro...
Abbiate pazienza... Sono affranta... Sognerò di voi...». Per altro, tutti e due
avevano bisogno di pensare alla diva, vicino a degli altri che avrebbero pure
pensato a lei o parlato di lei.
Nei fumi del vino, più tardi,
poiché Baroncini aveva fatto le cose per bene, Barbetti, commosso anche lui,
sentenziava:
- Cari amici miei... Il telegrafo
non sapete cosa significhi... L'impresario... l'agente teatrale... Dei colpi di
gran cassa per far quattrini... Siamo giusti... il mondo gira su di un pezzo da
cinque lire... Ciascuno secondo il suo mestiere... L'arte, il giornalismo...
tutte belle cose... Segui bene il mio ragionamento, Sereni... Io sono un
artista... Bene... io appartengo al pubblico... il pubblico è il mio amante...
Tu sei innamorato di me, artista... bene... Se Venere, in camicia, venisse a
dirmi in certi momenti... Barbetti, dammi una notte d'amore... No, no, e poi
no! -
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