Nel monastero di Santa Maria
degli Angeli c'era sempre stata proprio la pace degli angeli. Non dispute né
combriccole quando trattavasi di rieleggere la superiora, suor Maria Faustina,
che reggeva il pastorale da vent'anni, come i Mongiferro da cui usciva tenevano
il bastone del comando nel paese; non liti fra le monache pel confessore o per
la nomina delle cariche della comunità. Le cariche si sapeva a chi andavano,
secondo la nascita e l'influenza del parentado. E come suol dirsi che il
monastero è un piccolo mondo, anche lì dentro c'erano le sue gerarchie, chi
disponeva di un pezzetto d'orticello, e chi no, chi aveva le sue camere
riserbate sotto chiave, le sue galline segnate alla zampa, e i giorni fissi per
servirsi delle converse e del forno della comunità. Ma senza invidie, senza
gelosie, che son l'opera del demonio e mettono la discordia dove non regna il
timor di Dio e il precetto d'obbedienza. Già si sa che tutte le dita della mano
non sono eguali tra di loro, e che anche nel Testamento Antico c'erano i
Patriarchi e le Potestà. A Santa Maria degli Angeli l'abbadessa e la celleraria
erano sempre state una Flavetta o una Mongiferro: dunque vuol dire che così
doveva essere, e a nessuna veniva in mente di lagnarsene. Se nascevano delle
questioni alle volte - Dio buono, siamo nel mondo, e ne nascono da per tutto -
suor Faustina colle belle maniere, e don Gregorio suo fratello coi sorbetti e i
trattamenti che mandava per tutte quante le religiose, nelle feste solenni,
mantenevano nel convento il buon ordine e il principio d'autorità.
Ma un bel giorno questa bella
pace degli angeli se ne andò in fumo. Bastò un'inezia e ne nacque un diavolìo.
Padre Cicero e padre Amore,
liguorini e cime d'uomini, vennero in paese pel quaresimale e fondarono l'Opera
del Divino Amore, con sermoni appropriati e sottoscrizioni pubbliche fra i
fedeli. Se ne parlava da per tutto. Le buone suore avrebbero voluto vedere
anch'esse di che si trattava. Però il monastero ne aveva pochi da spendere, e
suor Maria Faustina diceva che bastava don Matteo Curcio, il cappellano, per
gli esercizi spirituali.
C'era in quel tempo novizia a
Santa Maria degli Angeli, Bellonia, figlia di Pecu-Pecu, il quale arricchitosi
col battezzare il vino, aveva messo superbia per sé e pei suoi e aveva pensato
di far educare la figliuola fra le prime signore del paese - motivo
d'appiccicarle il Donna, se giungeva a maritarla come diceva lui.
Bellonia però, rimasta nel sangue
bettoliera e tavernaia, in convento ci stava come il diavolo nell'acqua santa,
e gliene fece vedere di ogni colore, a lui Pecu-Pecu, e alle monache tutte
quant'erano. La prima volta fuggì ficcandosi nella ruota del parlatorio. Una
povera donna che si trovava lì appunto a ricevere non so che piatto dolce dalle
monache, rimase figuratevi come, invece, al vedersi sgusciar fuori dallo
sportello quel diavolo in carne, appena girò la macchina. Un'altra volta si
calò dal muro dell'orto, colle sottane in aria, a rischio di spezzarsi il
collo. Un giorno che si facevano certi lavori nel monastero, e c'era quindi un
via vai di muratori alla porta, Bellonia si cacciò fra le gambe della suora portinaia,
e via di corsa. Pecu-Pecu, poveretto, ogni volta correva a cercare la sua
figliuola di qua e di là, fra gli altri monelli, nei trivi, fuor del paese,
dietro le siepi di fichi d'India pure, e la riconduceva per un orecchio al
convento, supplicando la madre badessa di perdonarle e ripigliarsela per amor
di Dio. Alla ragazzetta che si ribellava poi, e strillava rivoltolandosi in
giro per terra, strappandosi vesti e capelli, e non voleva starci, carcerata in
convento, Pecu-Pecu tornava a dire:
- Bellonia, abbi pazienza!... Per
amor del tuo papà!... Dammi questa consolazione al papà! -
Bellonia non voleva dargliela.
Vedendo che non poteva escirne, di gabbia, o dopo tornava a cascarci per
sempre, cercò il modo e la maniera di farsene cacciar via dalle monache stesse.
Attaccò lite con questa e con quella, mise zizzanie, inventò pettegolezzi, fece
altre mille diavolerie, e non giovava niente. Pecu-Pecu accorreva, pregava,
supplicava, faceva intendere questo e quell'altro, si giovava della protezione
di don Gregorio Mongiferro e degli altri pezzi grossi, ch'eran tutti suoi
debitori, mandava regali al convento, e Bellonia vi restava sempre. Tanto, suo
padre si era incaponito di lasciarvela a imparare l'educazione, sino a che la
maritava.
- Tu dammi questa consolazione, e
il papà in cambio ti contenterà in tutto quello che desideri -.
- Pensa e ripensa, infine
Bellonia disse che voleva quelli del Divino Amore, e Pecu-Pecu fece venire i
due padri liguorini a sue spese. Quaresimale in regola e Santa Maria degli
Angeli, con organo, mortaletti e suono di campane.
Dopo due giorni soli che padre
Cicero e padre Amore fecero sentire la parola di Dio a modo loro, le povere
monache parvero ammattite tutte quant'erano. Chi fu presa dagli scrupoli, e chi
si trovava ogni giorno un peccato nuovo. Estasi di beatitudine, fervori
religiosi, novene a questa o a quella Madonna, digiuni, cilizi, discipline che
levavano il pelo. Parecchie si accusarono pubblicamente indegne del velo nero.
Suor Candida, per mortificazione, non si lavava più neppur le mani, suor
Benedetta portava una funicella di pelo di capra sulle nude carni, e suor
Celestina arrivò a mettere dei sassolini nelle scarpe. A suor Gloriosa infine
la predica dell'Inferno aveva fatto dar volta completamente al cervello, e andava
borbottando per ogni dove: - Gesù e Maria! - San Michele Arcangelo! - Brutto
demonio, va via! -
Siccome la grazia poi
toccava i cuori per bocca dei due predicatori forestieri, le suore se li
rubavano al confessionale, al parlatorio, li assediavano sino a casa per mezzo
del sagrestano, coi dubbi spirituali, coi casi di coscienza, coi vassoi pieni
di dolci. Alla madre abbadessa fioccavano le domande delle religiose, le quali
chiedevano l'uno o l'altro dei due padri liguorini per confessore
straordinario. Invano suor Maria Faustina, che ai suoi anni era nemica di ogni
novità, rifiutava il permesso, anche per riguardo a don Matteo Curcio, che era
il cappellano ordinario del monastero. Le monache ricorrevano al vicario,
all'arciprete, sino al vescovo, inventavano dei peccati riservati, si
lamentavano che don Matteo Curcio era duro d'orecchio, e non dava quasi retta:
- Gnora sì - Gnora no - Ho inteso - Tiriamo innanzi -. Qualcheduna giunse ad
accusarlo di far cascare le penitenti in distrazione, con quella barba sudicia
di otto giorni, che in un servo di Dio non ispirava alcuna devozione.
Invece i due padri forestieri,
quelli sì che sapevano fare! L'uno, padre Amore, che portava il nome con sé, un
bell'uomo che si mangiava l'aria, e faceva tremar la chiesa in certi passi
della predica; e padre Cicero, un artista nel suo genere, tutto san Giovanni
Crisostomo, col miele alle labbra. I peccati sembravano dolci a confidarli nel
suo orecchio. E la bella maniera che aveva di consolare! - Sorella mia, la
carne è fragile. - Siamo tutti indegni peccatori. - Buttatevi nelle braccia del
Divino Amore -. Allorché vi sussurrava all'orecchio certe parole, con la sua
voce insinuante, con le pupille color d'oro che vi frugavano addosso attraverso
la grata, sembrava che vi s'insinuasse nella coscienza, quasi l'accarezzasse,
talché quando levava per assolvervi quella bella mano fine e bianca, vi veniva
voglia di baciarla.
Qualche disordine s'era notato
sin da principio. C'erano state delle mormorazioni a causa di suor Gabriella la
quale accaparravasi padre Amore tutte le mattine, e lo sequestrava al
confessionale per delle ore, quasi ella avesse il jus pascendi perché
discendeva dal Re Martino. Altre si sentivano umiliate dai canestri di roba che
suor Maria Concetta mandava in regalo a padre Cicero: paste, conserve, sacchi
interi di zucchero e caffè; alla sua grata, nel parlatorio, dopo la messa di
padre Cicero, sembrava che vi fosse il trattamento di qualche monacazione.
Voleva dire che chi non poteva spendere, come suor Maria Concetta, o doveva
fare una magra figura, o non si poteva mettere in grazia di Dio col confessore
forestiero.
Perciò suor Celestina fu
costretta a privarsi delle due uniche galline, e suor Benedetta, che non aveva
altro, dovette sollecitare la grazia di lavare colle sue mani la biancheria di
padre Cicero. - Ogni fiore è segno d'amore. - I due reverendi protestavano,
padre Cicero specialmente, che ci stava alle convenienze: - Non voglio. - Non
posso permettere -. Una volta finse pure d'andare in collera con don Raffaele,
il sagrestano, che non c'entrava per nulla affatto, e di quelle scene non ne
aveva viste cogli altri preti, stomacato dalla commedia in cui padre Amore
rappresentava poi la parte di paciere e pigliava lui le paste e i regali, per
non mandarli indietro. - E per non dir neanche grazie! - borbottava don
Raffaele tornandosene a mani vuote. Ma infine, sia padre Cicero o padre Amore,
i reverendi pigliavano ogni cosa, a somiglianza degli apostoli che erano
pescatori e usavano la rete. Tutti i giorni, dal monastero ai Cappuccini, dove
erano alloggiati padre Amore e padre Cicero, andava su e giù don Raffaele,
poveraccio, carico di vassoi e di canestri pieni di regali, sicché una volta
don Matteo Curcio, non per indiscrezione, ma per saper dire il fatto suo a tempo
e luogo colle antiche penitenti, se mai, lo fermò per via, e volle cacciare il
naso sotto il tovagliuolo che copriva il canestro.
- Caspita, don Raffaele!
Dev'esser festa solenne anche per voi, con tante mance che vi daranno i
liguorini! -
Il sagrestano gli rispose con
un'occhiataccia.
- Mance, eh?... Neanche uno sputo
in faccia, vossignoria!... Retribuere Domine, bona facientibus, che non
costa niente... -
Figuriamoci Bellonia, che aveva
fatto la spesa dei liguorini, e credeva di averli tutti per sé! Villana senza
educazione com'era, si diede a insolentire questa e quell'altra. - Suor
Celestina che stava al confessionale mezze giornate intere. - Suor Maria
Concetta che s'accaparrava padre Amore. - Suor Celestina che basiva dinanzi a
padre Cicero. - La gelosia del monastero insomma, Dio ne scampi e liberi. La
madre abbadessa allora fece atto d'autorità, per metter freno allo scandalo.
Niente liguorini. Niente confessori straordinari. Chi voleva ricorrere al
Tribunale della Penitenza c'era don Matteo Curcio, il cappellano solito,
nessuna eccettuata, a cominciare dalla Flavetta, ch'è tutto dire. Suor
Gabriella non disse nulla, ma non si confessò neppure, né coi liguorini, né col
cappellano ordinario, quindici giorni interi. La superiora quindi, a far vedere
che non era una Mongiferro per nulla:
- Suor Gabriella, precetto
d'obbedienza, andate a confessarvi da don Matteo Curcio -.
Suor Gabriella fece anche questa,
si presentò al confessionale, con quell'alterigia di casa Flavetta:
- Son venuta a fare atto
d'obbedienza alla madre badessa. Mi presento -.
E null'altro. Il povero don
Matteo Curcio, buono come il pane, non poté frenarsi questa volta.
- Voi altre signore monache siete
tutte superbe, - disse, - ma vossignoria è la più superba di tutte -.
Bellonia però tenne duro: o il
padre liguorino, o niente. Pecu-Pecu dovette tornare a infilare il vestito
nuovo e venire a intercedere. L'abbadessa dura lei pure.
- Anche le educande adesso? Ci
voleva anche questa adesso! Perché lo tengo padre Curcio allora? -
Pecu-Pecu, che gli cuoceva ancora
la spesa dei liguorini, non sapeva darsi pace. - O bella! Come se le educande
non potessero avere dei peccati riservati meglio delle professe! Son io infine
che pago!... - E nell'andarsene mortificato e deluso si lasciò pure scappar di
bocca:
- Sino in Paradiso si deve andare
per riguardo umano! Se Bellonia fosse figlia di qualche barone spiantato,
l'avrebbe avuto il liguorino! -
Bellonia intanto per spuntarla
pensò di mutar registro. Demonio incarnato, si mise a fare la santa, cadendo in
estasi ogni quarto d'ora, presa dagli scrupoli se le toccavan una mano, facendo
chiamare in fretta e in furia don Matteo Curcio al confessionale due o tre
volte al giorno, come se fosse in punto di dannarsi l'anima, per dirgli invece
delle sciocchezze, tanto che il pover'uomo ci perdeva il latino e la pazienza.
- Figliuola mia, il troppo
stroppia. - Questo è opera della tentazione. - Che c'è di nuovo, sentiamo?
- C'è che ho un peccato grosso.
Ma non vuol venir fuori con vossignoria... O che non sapete fare, o che mi
siete antipatico... -
Finché il pover'uomo perdé la
pazienza del tutto, e le sbatté il finestrino sul muso. La madre abbadessa
montò su tutte le furie contro Bellonia, e le appioppò una bella penitenza, il
giorno stesso, in pubblico refettorio:
- Donna Bellonia, mangerete coi
gatti, per insegnarvi il precetto d'umiltà - sentenziò suor Maria Faustina
colla voce nasale che metteva fuori nelle occasioni in cui le premeva far
vedere da chi nasceva.
La ragazzaccia, come se non fosse
stato fatto suo, se ne stava tranquillamente ginocchioni nel bel mezzo del
refettorio, seduta sulle calcagna, colla disciplina al collo, e la corona di
spine in capo, e per ingannar la noia contava quanti bocconi faceva intanto
suor Agnese con mezzo uovo, e quante mosche mangiavano nello stesso piatto di
suor Candida. Poscia cavò fuori di tasca pian piano l'agoraio, e si divertì a
far passare gli aghi da un bocciuolo all'altro. Tutt'a un tratto, mentre suor
Speranza dal pulpito faceva la lettura, e le altre religiose stavano zitte e
intente col naso sul piatto, si udì la figliuola di Pecu-Pecu, da vera figlia
di tavernaio che era, a sbadigliare in musica.
La superiora picchiò severamente
sul bicchiere col coltello, e si fece silenzio.
- Donna Bellonia! precetto
d'obbedienza, farete subito subito tre volte la via crucis ginocchioni,
col libano e la corona di spine! -
La ragazza spalancò gli occhiacci
mezzo assonnati, ancora a bocca aperta, e domandò:
- Perché signora badessa?
- Per insegnarvi l'educazione,
donna voi!
- Già... l'educazione... al
solito!... -
Poi, sempre seduta sulle calcagna
in mezzo al refettorio, cominciò, strapparsi di dosso la corona di spine e la
funicella sparsa di nodi strillando:
- Io non voglio starci qui, lo
sapete!... È mio padre che vuol tenermi qui, finché mi marito...
- L'ha preso per una locanda il
monastero, l'ha preso! - disse forte suor Benedetta. - Anzi l'ha preso per
un'osteria!...
- Già, l'osteria!... Vossignoria
che lavate i fazzoletti di padre Cicero per sentire l'odore del suo tabacco...
Come se non fosse peggio!... -
Scoppiò una tempesta nel
refettorio. Suor Maria Concetta lasciò la tavola forbendosi la bocca col
tovagliuolo a più riprese, quasi ci avesse delle porcherie; suor Gabriella
arricciò il naso adunco dei Flavetta, sputando di qua e di là. La superiora poi
sembrava che le venisse un accidente, gialla come lo zafferano, colla voce che
dalla collera le tremava nel naso e fra i canini malfermi. Tutte quante che se
la prendevano con donna Bellonia, ritte in piedi, vociando e gesticolando.
- Sissignora! - ostinavasi a dire
la figlia di Pecu-Pecu colla faccia tosta di monella. - Come non si sapesse!...
Suor Maria Concetta che gli imbocca i biscottini colle sue mani, a padre
Cicero!... E le male parole che suor Gabriella ha detto a suor Celestina perché
le ruba padre Amore!...
- È uno scandalo! una porcheria!
- strillavano tutte insieme.
Suor Gloriosa, cogli occhi fuori
dell'orbita, andava borbottando:
- Gesù e Maria! - San Michele
Arcangelo! - Libera nos, Domine!...
- Sissignora! le porcherie le
fanno loro pel confessore. Io non ho potuto averlo, il confessore forestiero,
perché non son figlia di barone!... -
La superiora, ritta sulla
predella abbaziale, riescì infine a far udire la sua voce in falsetto:
- Lo scandalo lo fo cessare io!
Da ora innanzi il solo confessore di tutta la comunità sarà don Matteo Curcio,
come prima!... Precetto d'obbedienza! La madre portinaia non lascierà passare
più nulla senza il mio permesso speciale... Precetto d'obbedienza!... Voi, donna
Bellonia, farete otto giorni di cella a pane ed acqua. Dopo poi si vedrà con
vostro padre!... -
Non si dormì quella notte a Santa
Maria degli Angeli.
«Che posso farci se l'amo? Forse
che al cuore si comanda?...» dice la Sposa dei Cantici...
Padre Cicero, dacché gli era
chiuso il parlatorio e il confessionale di Santa Maria degli Angeli, faceva
parlare ogni momento la Sposa dei Cantici, negli ultimi sermoni del
quaresimale. Padre Amore, più focoso, scorrazzava come un puledro nel
Testamento Vecchio e Nuovo, cavandone fervorini di questa fatta:
«Tu mi hai involato il cuore, o
sposa, sorella mia: tu mi hai involato il cuore con uno dei tuoi occhi» - «O
Dio, tu ci hai scacciati... Dacci aiuto per uscir di distretta...».
Nel coro, di risposta, erano
sospiri repressi, soffiate di naso ancora più eloquenti. Suor Benedetta, che
non sapeva frenarsi, singhiozzava addirittura come una bambina, sotto il velo
nero. - E Bellonia che doveva udire e inghiottir tutto.
Gonfia, gonfia, le venne in mente
all'improvviso l'ispirazione buona.
Terminato il triduo, spenti i
lumi e pagate le spese, padre Amore e padre Cicero vennero a ringraziare le
signore monache e a prender congedo dalle figlie penitenti, una dopo l'altra,
per non destar gelosie. Le poverette figuratevi in quale stato, e padre Cicero
cavando di tasca il fazzoletto ogni momento, quasi gli si spezzasse il cuore a
quella separazione. A un tratto, in mezzo alla scena muta che succedeva fra
padre Amore e suor Celestina, tutt'e due colle lagrime agli occhi, saltò in
mezzo anche Bellonia, come una spiritata, e ne fece e disse d'ogni sorta.
Pianti, convulsioni, strilli che si udivano dalla piazza, tanto che corsero i
vicini. Pecu-Pecu, don Matteo Curcio, ed anche gli sfaccendati della farmacia.
E poi, quando vide il parlatorio pieno di gente, Bellonia si mise a gridare che
voleva andarsene coi padri liguorini, che ci aveva il cuore attaccato con essi
- un putiferio. Saltò su allora la madre abbadessa, come una furia, e se la
prese con tutti quanti, a cominciare dai liguorini.
- Ah? È questa l'opera del Divino
Amore che intendete voi? Non son chi sono se non vi faccio pentire! Scriverò a
monsignore! Vi farò togliere la messa e la confessione! Vedrete chi sieno i
Mongiferro! -
Quei poveri servi di Dio se ne
andarono più morti che vivi, la madre abbadessa fu costretta a mandar via quel
diavolo di ragazza, e Pecu-Pecu dovette ripigliarsi la sua Bellonia, che non
prese il Donna, ma vinse il punto.
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