-2-
Nella piazza, come videro passare
don Diego Trao col cappello bisunto e la palandrana delle grandi occasioni, fu
un avvenimento: - Ci volle il fuoco a farvi uscir di casa! - Il cugino Zacco
voleva anche condurlo al Caffè dei Nobili: - Narrateci, dite come fu... - Il
poveraccio si schermì alla meglio; per altro non era socio: poveri sì, ma i
Trao non s'erano mai cavato il cappello a nessuno. Fece il giro lungo onde
evitare la farmacia di Bomma, dove il dottor Tavuso sedeva in cattedra tutto il
giorno; ma nel salire pel Condotto, rasente al muro, inciampò in quella
linguaccia di Ciolla, ch'era sempre in cerca di scandali:
- Buon vento, buon vento, don
Diego! Andate da vostra cugina Rubiera?
Lui si fece rosso. Sembrava che
tutti gli leggessero in viso il suo segreto! Si voltò ancora indietro esitante,
guardingo, prima d'entrare nel vicoletto, temendo che Ciolla stesse a spiarlo.
Per fortuna colui s'era fermato a discorrere col canonico Lupi, facendo di gran
risate, alle quali il canonico rispondeva atteggiando la bocca al riso anche
lui, discretamente.
La baronessa Rubiera faceva
vagliare del grano. Don Diego la vide passando davanti la porta del magazzino,
in mezzo a una nuvola di pula, con le braccia nude, la gonnella di cotone
rialzata sul fianco, i capelli impolverati, malgrado il fazzoletto che s'era
tirato giù sul naso a mo' di tettino. Essa stava litigando con quel ladro del
sensale Pirtuso, che le voleva rubare il suo farro pagandolo due tarì meno a
salma, accesa in volto, gesticolando con le braccia pelose, il ventre che le
ballava: - Non ne avete coscienza, giudeo?... - Poi, come vide don Diego, si
voltò sorridente:
- Vi saluto, cugino Trao. Cosa
andate facendo da queste parti?
- Veniva appunto, signora
cugina... - e don Diego, soffocato dalla polvere, si mise a tossire.
- Scostatevi, scostatevi! Via di
qua, cugino. Voi non ci siete avvezzo - interruppe la baronessa. - Vedete cosa
mi tocca a fare? Ma che faccia avete, gesummaria! Lo spavento di questa notte,
eh?...
Dalla botola, in cima alla
scaletta di legno, si affacciarono due scarpacce, delle grosse calze turchine,
e si udì una bella voce di giovanetta la quale disse:
- Signora baronessa, eccoli qua.
- È tornato il baronello?
- Sento Marchese che abbaia
laggiù.
- Va bene, adesso vengo. Dunque,
pel farro cosa facciamo, mastro Lio?
Pirtuso era rimasto accoccolato
sul moggio, tranquillamente, come a dire che non gliene importava del farro,
guardando sbadatamente qua e là le cose strane che c'erano nel magazzino vasto
quanto una chiesa. Una volta, al tempo dello splendore dei Rubiera, c'era stato
anche il teatro. Si vedeva tuttora l'arco dipinto a donne nude e a colonnati
come una cappella; il gran palco della famiglia di contro, con dei brandelli di
stoffa che spenzolavano dal parapetto; un lettone di legno scolpito e
sgangherato in un angolo; dei seggioloni di cuoio, sventrati per farne scarpe;
una sella di velluto polverosa, a cavalcioni sul subbio di un telaio; vagli di
tutte le grandezze appesi in giro; mucchi di pale e di scope; una portantina
ficcata sotto la scala che saliva al palco, con lo stemma dei Rubiera allo
sportello, e una lanterna antica posata sul copricielo, come una corona.
Giacalone, e Vito Orlando, in mezzo a mucchi di frumento alti al pari di
montagne, si dimenavano attorno ai vagli immensi, come ossessi, tutti sudati e
bianchi di pula, cantando in cadenza; mentre Gerbido, il ragazzo, ammucchiava
continuamente il grano con la scopa.
- Ai miei tempi, signora
baronessa, io ci ho visto la commedia, in questo magazzino, - rispose Pirtuso
per sviare la domanda.
- Lo so! lo so! Così si son fatti
mangiare il fatto suo i Rubiera! E ora vorreste continuare!... Lo pigliate il
farro, sì o no?
- Ve l'ho detto: a cinque onze e
venti.
- No, in coscienza, non posso. Ci
perdo già un tarì a salma.
- Benedicite a vossignoria!
- Via, mastro Lio, ora che ha
parlato la signora baronessa! - aggiunse Giacalone, sempre facendo ballare il
vaglio. Ma il sensale riprese il suo moggio, e se ne andò senza rispondere. La
baronessa gli corse dietro, sull'uscio, per gridargli:
- A cinque e vent'uno.
V'accomoda?
- Benedicite, benedicite.
Ma essa, colla coda dell'occhio,
si accorse che il sensale si era fermato a discorrere col canonico Lupi, il
quale, sbarazzatosi infine del Ciolla, se ne veniva su pel vicoletto. Allora,
rassicurata, si rivolse al cugino Trao, parlando d'altro:
- Stavo pensando giusto a voi,
cugino. Un po' di quel farro voglio mandarvelo a casa... No, no, senza
cerimonie... Siamo parenti. La buon'annata deve venire per tutti. Poi il
Signore ci aiuta!... Avete avuto il fuoco in casa, eh? Dio liberi! M'hanno
detto che Bianca è ancora mezza morta dallo spavento... Io non potevo lasciare,
qui... scusatemi.
- Sì... son venuto appunto... Ho
da parlarvi...
- Dite, dite pure... Ma intanto,
mentre siete laggiù, guardate se torna Pirtuso... Così, senza farvi scorgere...
- È una bestia! - rispose Vito
Orlando dimenandosi sempre attorno al vaglio. - Conosco mastro Lio. È una
bestia! Non torna. Ma in quel momento
entrava il canonico Lupi, sorridente, con quella bella faccia amabile che
metteva tutti d'accordo, e dietro a lui il sensale col moggio in mano. - Deo
gratias! Deo gratias! Lo combiniamo questo matrimonio, signora baronessa?
Come s'accorse di don Diego Trao,
che aspettava umilmente in disparte, il canonico mutò subito tono e maniere,
colle labbra strette, affettando di tenersi in disparte anche lui, per
discrezione, tutto intento a combinare il negozio del frumento.
Si stette a tirare un altro po';
mastro Lio ora strillava e dibattevasi quasi volessero rubargli i denari di
tasca. La baronessa invece coll'aria indifferente, voltandogli le spalle,
chiamando verso la botola:
- Rosaria! Rosaria!
- E tacete! - esclamò infine il
canonico battendo sulle spalle di mastro Lio colla manaccia. - Io so per chi comprate.
È per mastro-don Gesualdo.
Giacalone accennò di sì,
strizzando l'occhio.
- Non è vero! Mastro-don Gesualdo
non ci ha che fare! - si mise a vociare il sensale. - Quello non è il mestiere
di mastro-don Gesualdo! - Ma infine, come s'accordarono sul prezzo, Pirtuso si
calmò. Il canonico soggiunse:
- State tranquillo, che
mastro-don Gesualdo fa tutti i mestieri in cui c'è da guadagnare.
Pirtuso il quale s'era accorto
della strizzatina d'occhio di Giacalone, andò a dirgli sotto il naso il fatto
suo: - Che non ne vuoi mangiare pane, tu? Non sai che si tace nei negozi? - La
baronessa, dal canto suo, mentre il sensale le voltava le spalle, ammiccò
anch'essa al canonico Lupi, come a dirgli che riguardo al prezzo non c'era
male.
- Sì, sì, - rispose questi sottovoce.
- Il barone Zacco sta per vendere a minor prezzo. Però mastro-don Gesualdo
ancora non ne sa nulla.
- Ah! s'è messo anche a fare il
negoziante di grano, mastro-don Gesualdo? Non lo fa più il muratore?
- Fa un po' di tutto, quel
diavolo! Dicesi pure che vuol concorrere all'asta per la gabella delle terre
comunali...
La baronessa allora sgranò gli
occhi: - Le terre del cugino Zacco:... Le gabelle che da cinquant'anni si
passano in mano di padre in figlio?... È una bricconata!
- Non dico di no; non dico di no.
Oggi non si ha più riguardo a nessuno. Dicono che chi ha più denari, quello ha
ragione...
Allora si rivolse verso don
Diego, con grande enfasi, pigliandosela coi tempi nuovi:
- Adesso non c'è altro Dio! Un
galantuomo alle volte... oppure una ragazza ch'è nata di buona famiglia...
Ebbene non hanno fortuna! Invece uno venuto dal nulla... uno come mastro-don
Gesualdo, per esempio!...
Il canonico riprese a dire come
in aria di mistero parlando piano con la baronessa e don Diego Trao
sputacchiando di qua e di là:
- Ha la testa fine quel
mastro-don Gesualdo! Si farà ricco ve lo dico io! Sarebbe un marito eccellente
per una ragazza a modo... come ce ne son tante che non hanno molta dote.
Mastro Lio stavolta se ne andava
davvero. - Dunque signora baronessa, posso venire a caricare il grano? - La
baronessa, tornata di buon umore, rispose: - Sì ma sapete come dice l'oste?
«Qui si mangia e qui si beve; senza denari non ci venire. «
- Pronti e contanti, signora
baronessa. Grazie a Dio vedrete che saremo puntuali.
- Se ve l'avevo detto! - esclamò
Giacalone ansando sul vaglio. - È mastro-don Gesualdo!
Il canonico fece un altro segno
d'intelligenza alla baronessa, e dopo che Pirtuso se ne fu andato, le disse:
- Sapete cosa ho pensato? di
concorrere pure all'asta vossignoria, insieme a qualchedun altro... ci starei
anch'io...
- No, no, ho troppa carne al
fuoco!... Poi non vorrei fare uno sgarbo al cugino Zacco! Sapete bene... Siamo
nel mondo... Abbiamo bisogna alle volte l'uno dell'altro.
- Intendo... mettere avanti un
altro... mastro-don Gesualdo Motta, per esempio. Un capitaluccio lo ha; lo so
di sicuro... Vossignoria darebbe l'appoggio del nome... Si potrebbe combinare
una società fra di noi tre...
Poscia, sembrandogli che don
Diego Trao stesse ad ascoltare i loro progetti, perchè costui aspettava il
momento di parlare alla cugina Rubiera, impresciuttito nella sua palandrana, e
aveva tutt'altro per la testa il poveraccio! il canonico cambiò subito
discorso:
- Eh, eh, quante cose ha visto
questo magazzino! Mi rammento, da piccolo, il marchese Limòli che recitava
Adelaide e Comingio colla Margarone, buon'anima, la madre di don Filippo,
quella ch'è andata a finire poi alla Salonia. «Adelaide! dove sei?» - La scena
della Certosa... Bisognava vedere! tutti col fazzoletto agli occhi! Tanto che
don Alessandro Spina per la commozione, si mise a gridare: «Ma diglielo che sei
tu!...» e le buttò anche una parolaccia... Ci fu poi la storia della
schioppettata che tirarono al marchese Limòli, mentre stava a prendere il
fresco, dopo cena; e di don Nicola Margarone che condusse la moglie in
campagna, e non le fece più vedere anima viva. Ora riposano insieme marito e
moglie nella chiesa del Rosario, pace alle anime loro!
La baronessa affermava coi segni
del capo, dando un colpo di scopa, di tanto in tanto, per dividere il grano
dalla mondiglia. - Così andavano in
rovina le famiglie. Se non ci fossi stata io, in casa dei Rubiera!... Lo vedete
quel che sarebbe rimasto di tante grandezze! Io non ho fumi, grazie a Dio! Io
sono rimasta quale mi hanno fatto mio padre e mia madre... gente di campagna,
gente che hanno fatto la casa colle loro mani, invece di distruggerla! e per
loro c'è ancora della grazia di Dio nel magazzino dei Rubiera, invece di feste
e di teatri...
In quella arrivò il vetturale
colle mule cariche.
- Rosaria! Rosaria! - si mise a
gridare di nuovo la baronessa verso la scaletta.
Finalmente comparvero dalla
botola le scarpaccie e le calze turchine, poi la figura di scimmia della serva,
sudicia, spettinata, sempre colle mani nei capelli.
- Don Ninì non era alla Vignazza,
- disse lei tranquillamente. - Alessi è ritornato col cane, ma il baronello non
c'era.
- Oh, Vergine Santa! - cominciò a
strillare la padrona, perdendo un po' del suo colore acceso. - Oh, Maria
Santissima! E dove sarà mai? Cosa gli sarà accaduto al mio ragazzo?
Don Diego a quel discorso si
faceva rosso e pallido da un momento all'altro. Aveva la faccia di uno che
voglia dire: - Apriti, terra, e inghiottimi! - Tossì, cercò il fazzoletto
dentro il cappello, aprì la bocca per parlare; poi si volse dall'altra parte,
asciugandosi il sudore. Il canonico s'affrettò a rispondere, guardando
sottecchi don Diego Trao.
- Sarà andato in qualche altro
posto... Quando si va a caccia, sapete bene...
- Tutti i vizi di suo padre,
buon'anima! Caccia, giuoco, divertimenti... senza pensare ad altro... e senza
neppure avvertirmi!... Figuratevi, stanotte, quando le campane hanno suonato al
fuoco, vado a cercarlo in camera sua, e non lo trovo! Mi sentirà!... Oh, mi
sentirà!...
Il canonico cercava di troncare
il discorso, col viso inquieto, il sorriso sciocco che non voleva dir nulla:
- Eh, eh, baronessa! vostro
figlio non è più un ragazzo; ha ventisei anni!
- Ne avesse anche cento!... Fin
che si marita, capite!... E anche dopo!
- Signora baronessa, dove s'hanno
a scaricare i muli? - disse Rosaria, grattandosi il capo.
- Vengo, vengo. Andiamo per di
qua. Voialtri passerete pel cortile, quando avrete terminato.
Essa chiuse a catenaccio
Giacalone e Vito Orlando dentro il magazzino, e s'avviò verso il portone.
La casa della baronessa era
vastissima, messa insieme a pezzi e bocconi, a misura che i genitori di lei
andavano stanando ad uno ad uno i diversi proprietari, sino a cacciarsi poi
colla figliuola nel palazzetto dei Rubiera e porre ogni cosa in comune: tetti
alti e bassi; finestre d'ogni grandezza, qua e là, come capitava; il portone
signorile incastrato in mezzo a facciate da catapecchie. Il fabbricato occupava
quasi tutta la lunghezza del vicoletto. La baronessa, discorrendo sottovoce col
canonico Lupi, s'era quasi dimenticata del cugino, il quale veniva dietro passo
passo. Ma giunti al portone il canonico si tirò indietro prudentemente: -
Un'altra volta; tornerò poi. Adesso vostro cugino ha da parlarvi. Fate gli
affari vostri, don Diego.
- Ah, scusate, cugino. Entrate,
entrate pure.
Fin dall'androne immenso e buio,
fiancheggiato di porticine basse, ferrate a uso di prigione, si sentiva di
essere in una casa ricca: un tanfo d'olio e di formaggio che pigliava alla
gola; poi un odore di muffa e di cantina. Dal rastrello spalancato, come dalla
profondità di una caverna, venivano le risate di Alessi e della serva che
riempivano i barili, e il barlume fioco del lumicino posato sulla botte.
- Rosaria! Rosaria! - tornò a
gridare la baronessa in tono di minaccia. Quindi rivolta al cugino Trao: -
Bisogna darle spesso la voce, a quella benedetta ragazza; perché quando ci ha
degli uomini sottomano è un affar serio! Ma del resto è fidata, e bisogna aver
pazienza. Che posso farci?... Una casa piena di roba come la mia!...
Più in là, nel cortile che
sembrava quello di una fattoria popolato di galline, di anatre, di tacchini,
che si affollavano schiamazzando attorno alla padrona, il tanfo si mutava in un
puzzo di concime e di strame abbondante. Due o tre muli dalla lunga fila sotto
la tettoia, allungarono il collo ragliando; dei piccioni calarono a stormi dal
tetto; un cane da pecoraio feroce, si mise ad abbaiare, strappando la catena; dei
conigli allungavano pure le orecchie inquiete, dall'oscurità misteriosa della
legnaia. E la baronessa in mezzo a tutto quel ben di Dio, disse al cugino:
- Voglio mandarvi un paio di
piccioni, per Bianca...
Il poveraccio tossì, si soffiò il
naso, ma non trovò neppure allora le parole da rispondere. Infine, dopo un
laberinto di anditi e di scalette, per stanzoni oscuri, ingombri di ogni sorta
di roba, mucchi di fave e di orzo riparati dai graticci, arnesi di campagna,
cassoni di biancheria, arrivarono nella camera della baronessa, imbiancata a
calce, col gran letto nuziale rimasto ancora tale e quale, dopo vent'anni di
vedovanza, dal ramoscello d'ulivo benedetto, a piè del crocifisso, allo
schioppo del marito accanto al capezzale.
La cugina Rubiera era tornata a
lamentarsi del figliuolo: - Tale e quale suo padre, buon'anima! Senza darsi un
pensiero al mondo della mamma o dei suoi interessi!...
Vedendo il cugino Trao inchiodato
sull'uscio, rimpiccinito nel soprabitone, gli porse da sedere: - Entrate,
entrate, cugino Trao. - Il poveretto si lasciò cadere sulla seggiola, quasi
avesse le gambe rotte, sudando come Gesù all'orto; si cavò allora il
cappellaccio bisunto, passandosi il fazzoletto sulla fronte.
- Avete da dirmi qualche cosa,
cugino? Parlate, dite pure.
Egli strinse forte le mani l'una
nell'altra, dentro il cappello, e balbettò colla voce roca, le labbra smorte e
tremanti, gli occhi umidi e tristi che evitavano gli occhi della cugina:
- Sissignora... Ho da parlarvi...
Lei, da prima, al vedergli quella
faccia, pensò che fosse venuto a chiederle denari in prestito. Sarebbe stata la
prima volta, è vero: erano troppo superbi i cugini Trao: qualche regaluccio, di
quelli che aiutano a tirare innanzi, vino, olio, frumento, solevano accettarlo
dai parenti ricchi - lei, la cugina Sganci, il barone Mèndola - ma la mano non
l'avevano mai stesa. Però alle volte il bisogno fa chinare il capo anche ad
altro!... La prudenza istintiva che era nel sangue di lei, le agghiacciò un
momento il sorriso benevolo. Poscia pensò al fuoco che avevano avuto in casa,
alla malattia di Bianca - era una buona donna infine - don Diego aveva proprio
una faccia da far compassione... Accostò la sua seggiola a quella di lui, per
fargli animo, e soggiunse:
- Parlate, parlate, cugino mio...
Quel che si può fare... sapete bene... siamo parenti... I tempi non
rispondono... ma quel poco che si può... Non molto... ma quel poco che posso...
fra parenti... Parlate pure...
Ma egli non poteva, no! colle
fauci strette, la bocca amara, alzando ogni momento gli occhi su di lei, e
aprendo le labbra senza che ne uscisse alcun suono. Infine, cavò di nuovo il
fazzoletto per asciugarsi il sudore, se lo passò sulle labbra aride,
balbettando:
- È accaduta una disgrazia!...
Una gran disgrazia!...
La baronessa ebbe paura di
essersi lasciata andare troppo oltre. Nei suoi occhi, che fuggivano quelli
lagrimosi del cugino, cominciò a balenare la inquietudine del contadino che
teme per la sua roba.
- Cioè!... cioè!...
- Vostro figlio è tanto ricco!...
Mia sorella no, invece!...
A quelle parole la cugina Rubiera
tese le orecchie, colla faccia a un tratto irrigidita nella maschera dei suoi
progenitori, improntata della diffidenza arcigna dei contadini che le avevano
dato il sangue delle vene e la casa messa insieme a pezzo a pezzo colle loro
mani. Si alzò, andò ad appendere la chiave allo stipite dell'uscio, frugò
alquanto nei cassetti del cassettone. Infine, vedendo che don Diego non
aggiungeva altro:
- Ma spiegatevi, cugino. Sapete
che ho tanto da fare...
Invece di spiegarsi don Diego
scoppiò a piangere come un ragazzo, nascondendo il viso incartapecorito nel
fazzoletto di cotone, con la schiena curva e scossa dai singhiozzi ripetendo:
- Bianca! mia sorella!... È
capitata una gran disgrazia alla mia povera sorella!... Ah, cugina Rubiera!...
voi che siete madre!...
Adesso la cugina aveva tutt'altra
faccia anche lei: le labbra strette per non lasciarsi scappar la pazienza, e
una ruga nel bel mezzo della fronte: la ruga della gente che è stata all'acqua
e al sole per farsi la roba - o che deve difenderla. In un lampo le tornarono
in mente tante cose alle quali non aveva badato nella furia del continuo da
fare: qualche mezza parola della cugina Macrì; le chiacchiere che andava
spargendo don Luca il sagrestano; certi sotterfugi del figliuolo. A un tratto
si sentì la bocca amara come il fiele anch'essa.
- Non so, cugino, - gli rispose
secco secco. - Non so come ci entri io in questi discorsi...
Don Diego stette un po' a cercare
le parole, guardandola fisso negli occhi che dicevano tante cose, in mezzo a
quelle lagrime di onta e di dolore, e poi nascose di nuovo il viso fra le mani,
accompagnando col capo la voce che stentava a venir fuori:
- Sì!... sì!... Vostro figlio
Ninì!...
La baronessa stavolta rimase lei
senza trovar parola, con gli occhi che le schizzavano fuori dal faccione
apoplettico fissi sul cugino Trao, quasi volesse mangiarselo; quindi balzò in
piedi come avesse vent'anni, e spalancò in furia la finestra gridando:
- Rosaria! Alessi! venite qua!
- Per carità! per carità! -
supplicava don Diego a mani giunte, correndole dietro. - Non fate scandali, per
carità! - E tacque, soffocato dalla tosse, premendosi il petto.
Ma la cugina, fuori di sé, non
gli dava più retta. Sembrava un terremoto per tutta la casa: gli schiamazzi dal
pollaio; l'uggiolare del cane; le scarpaccie di Alessi e di Rosaria che
accorrevano a rotta di collo, arruffati, scalmanati, con gli occhi bassi.
- Dov'è mio figlio, infine? Cosa
t'hanno detto alla Vignazza? Parla, stupido! - Alessi dondolandosi ora su di
una gamba e ora sull'altra, balbettando, guardando inquieto di qua e di là,
ripeteva sempre la stessa cosa: - Il baronello non era alla Vignazza. Vi aveva
lasciato il cane, Marchese, la sera innanzi, ed era partito: - A piedi,
sissignora. Così mi ha detto il fattore. - La serva, rassettandosi di nascosto,
a capo chino, soggiunse che il baronello, allorché andava a caccia di buon'ora,
soleva uscire dalla porticina della stalla, per non svegliar nessuno: - La
chiave?... Io non so... Ha minacciato di rompermi le ossa... La colpa non è
mia, signora baronessa!... - Come le pigliasse un accidente, alla signora
baronessa. - Poi sgattaiolarono entrambi mogi mogi. Nella scala si udirono di
nuovo le scarpaccie che scendevano a precipizio, inseguendosi.
Don Diego, cadaverico, col
fazzoletto sulla bocca per frenare la tosse, continuava a balbettare soffocato
delle parole senza senso.
- Era lì... dietro
quell'uscio!... Meglio m'avesse ucciso addirittura... allorché mi puntò le
pistole al petto... a me!... le pistole al petto, cugina Rubiera!...
La baronessa si asciugava le
labbra amare come il fiele col fazzoletto di cotone: - No! questa non me
l'aspettavo!... dite la verità, cugino don Diego, che non me la meritavo!... Vi
ho sempre trattati da parenti... E quella gatta morta di Bianca che me la
pigliavo in casa giornate intere... come una figliuola...
- Lasciatela stare, cugina
Rubiera! - interruppe don Diego, con un rimasuglio del vecchio sangue dei Trao
alle guance.
- Sì, sì, lasciamola stare!
Quanto a mio figlio ci penserò io, non dubitate! Gli farò fare quel che dico
io, al signor baronello... Birbante! assassino! Sarà causa della mia morte!...
E le spuntarono le lagrime. Don
Diego, avvilito, non osava alzare gli occhi. Ci aveva fissi dinanzi,
implacabili, Ciolla, la farmacia di Bomma, le risate ironiche dei vicini, le
chiacchiere delle comari, ed anche insistente e dolorosa, la visione netta
della sua casa, dove un uomo era entrato di notte: la vecchia casa che gli sembrava
sentir trasalire ancora in ogni pietra all'eco di quei passi ladri: e Bianca,
sua sorella, la sua figliuola, il suo sangue, che gli aveva mentito, che s'era
stretta tacita nell'ombra all'uomo il quale veniva a recare così mortale
oltraggio ai Trao: il suo povero corpo delicato e fragile nelle braccia di un
estraneo!... Le lagrime gli scendevano amare e calde a lui pure lungo il viso
scarno che nascondeva fra le mani.
La baronessa, infine, si asciugò
gli occhi, e sospirò rivolta al crocifisso:
- Sia fatta la volontà di Dio!
Anche voi, cugino Trao, dovete aver la bocca amara! Che volete: Tocca a noi che
abbiamo il peso della casa sulle spalle!... Dio sa se della mia pelle ho fatto
scarpe, dalla mattina alla sera! se mi son levato il pan di bocca per amore
della roba!... E poi tutto a un tratto, ci casca addosso un negozio simile!...
Ma questa è l'ultima che mi farà il signor baronello!... L'aggiusterò io, non
dubitate! Alla fin fine non è più un ragazzo! Lo mariterò a modo mio... La
catena al collo, là! quella ci vuole!... Ma voi, lasciatemelo dire, dovevate
tenere gli occhi aperti, cugino Trao!... Non parlo di vostro fratello don
Ferdinando, ch'è uno stupido, poveretto, sebbene sia il primogenito... ma voi
che avete più giudizio... e non siete un bambino neppur voi! Dovevate pensarci
voi!... Quando si ha in casa una ragazza... L'uomo è cacciatore, si sa!... A
vostra sorella avreste dovuto pensarci voi... o piuttosto lei stessa... Quasi
quasi si direbbe... colpa sua!... Chissà cosa si sarà messa in testa?... magari
di diventare baronessa Rubiera...
Il cugino Trao si fece rosso e
pallido in un momento.
- Signora baronessa... siamo
poveri... è vero... Ma quanto a nascita...
- Eh, caro mio! la nascita... gli
antenati... tutte belle cose... non dico di no... Ma gli antenati che fecero
mio figlio barone... volete sapere quali furono?... Quelli che zapparono la
terra!... Col sudore della fronte, capite? Non si ammazzarono a lavorare perché
la loro roba poi andasse in mano di questo e di quello... capite?...
In quel mentre bussarono al
portone col pesante martello di ferro che rintronò per tutta la casa, e suscitò
un'altra volta lo schiamazzo del pollaio, i latrati del cane; e mentre la
baronessa andava alla finestra, per vedere chi fosse, Rosaria gridò dal cortile:
- C'è il sensale... quello del
grano...
- Vengo, vengo! - seguitò a
brontolare la cugina Rubiera, tornando a staccare dal chiodo la chiave del
magazzino. - Vedete quel che ci vuole a guadagnare un tarì a salma, con Pirtuso
e tutti gli altri! Se ho lavorato anch'io tutta la vita, e mi son tolto il pan
di bocca, per amore della casa, intendo che mia nuora vi abbia a portare la sua
dote anch'essa...
Don Diego, sgambettando più lesto
che poteva dietro alla cugina Rubiera, per gli anditi e gli stanzoni pieni di
roba seguitava:
- Mia sorella non è ricca...
cugina Rubiera... Non ha la dote che ci vorrebbe... Le daremo la casa e
tutto... Ci spoglieremo per lei... Ferdinando ed io...
- Appunto, vi dicevo!... Badate
che c'è uno scalino rotto... Voglio che mio figlio sposi una bella dote. La
padrona son io, quella che l'ha fatto barone. Non l'ha fatta lui la roba!
Entrate, entrate, mastro Lio. Lì, dal cancello di legno. È aperto...
- Vostro figlio però lo sapeva
che mia sorella non è ricca!...- ribatteva il povero don Diego che non si
risolveva ad andarsene, mentre la cugina Rubiera aveva tanto da fare. Essa
allora si voltò come un gallo, coi pugni sui fianchi, in cima alla scala:
- A mio figlio ci penso io, torno
a dirvi! Voi pensate a vostra sorella... L'uomo è cacciatore... Lo manderò
lontano! Lo chiudo a chiave! Lo sprofondo! Non tornerà in paese altro che
maritato! colla catena al collo! ve lo dico io! La mia croce! la mia rovina!...
Quindi, mossa a compassione dalla
disperazione muta del poveraccio, il quale non si reggeva sulle gambe,
aggiunse, scendendo adagio adagio:
- E del resto... sentite, don
Diego... Farò anch'io quello che potrò per Bianca... Sono madre anch'io!...
Sono cristiana!... Immagino la spina che dovete averci lì dentro...
- Signora baronessa, dice che il
farro non risponde al peso, - gridò Alessi dalla porta del magazzino.
- Che c'è? Cosa dice?... Anche il
peso adesso? La solita rinculata! per carpirmi un altro ribasso!...
E la baronessa partì come una
furia. Per un po' si udì nella profondità del magazzino un gran vocìo: sembrava
che si fossero accapigliati. Pirtuso strillava peggio di un agnello in mano al
beccaio; Giacalone e Vito Orlando vociavano anch'essi, per metterli d'accordo,
e la baronessa fuori di sé, che ne diceva di tutti i colori. Poscia vedendo
passare il cugino Trao, il quale se ne andava colla coda fra le gambe, la testa
infossata nelle spalle, barcollando, lo fermò sull'uscio, cambiando a un tratto
viso e maniere:
- Sentite, sentite... l'aggiusteremo
fra di noi questa faccenda... Infine cos'è stato?... Niente di male, ne son
certa. Una ragazza col timor di Dio... La cosa rimarrà fra voi e me...
l'accomoderemo fra di noi... Vi aiuterò anch'io, don Diego... Sono madre... son
cristiana... La mariteremo a un galantuomo...
Don Diego scosse il capo
amaramente, avvilito, barcollando come un ubbriaco nell'andarsene.
- Sì, sì, le troveremo un
galantuomo... Vi aiuterò anch'io come posso... Pazienza!... Farò un
sagrificio...
Egli a quelle parole si fermò, cogli
occhi spalancati, tutto tremante: - Voi!... cugina Rubiera!... No!... no!...
Questo non può essere...
In quel momento veniva dal
magazzino il sensale, bianco di pula, duro, perfino nella barba che gli tingeva
di nero il viso anche quand'era fatta di fresco: gli occhietti grigi come due
tarì d'argento, sotto le sopracciglia aggrottate dal continuo stare al sole e
al vento in campagna.
- Bacio le mani, signora
baronessa.
- Come? Così ve ne andate? Che
c'è di nuovo? Non vi piace il farro?
L'altro disse di no col capo
anch'esso, al pari di don Diego Trao, il quale se ne andava rasente al muro,
continuando a scrollare la testa, come fosse stato colto da un accidente,
inciampando nei sassi ogni momento.
- Come? - seguitava a sbraitare
la baronessa. - Un negozio già conchiuso!...
- C'è forse caparra, signora
baronessa?
- Non c'è caparra; ma c'è la
parola!...
- In tal caso, bacio le mani a
vossignoria!
E tirò via, ostinato come un
mulo. La baronessa, furibonda, gli strillò dietro:
- Sono azionacce da pari vostro!
Un pretesto per rompere il negozio... degno di quel mastro-don Gesualdo che vi
manda... ora che s'è pentito...
Giacalone e Vito Orlando gli
correvano dietro anch'essi scalmanandosi a fargli sentire la ragione. Ma
Pirtuso tirava via, senza rispondere neppure, dicendo a don Diego Trao che non
gli dava retta:
- La baronessa ha un bel dire...
come se al caso non avrebbe fatto lo stesso lei pure!... Ora che il barone
Zacco ha cominciato a vendere con ribasso... Villano o baronessa la caparra è
quella che conta. Dico bene, vossignoria?
|