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Giovanni Verga I nuovi tartufi IntraText CT - Lettura del testo |
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SCENA VIII
Rodolfo dal fondo e detti.
Rodolfo. Signori miei!... Sono l'umilissimo servitore di tutta la compagnia! Mi congratulo! mi congratulo!... Che ha, signor marchesino? (additando la ferita di Giorgio). Giorgio. Nel duello... un colpo di spada... Rodolfo. To!... Avrei creduto che foste caduto su vetri rotti!... E dire che essendo stato uno dei testimonii del duello non mi accorsi di quel tal colpo!... Basta, ci avrò veduto poco. Si fanno le nozze, eh? Le si fanno?!... Evviva! ci volevano! Dopo il dolore la gioia: legge provvidenziale, come dice il nostro caro dottore (con una riverenza a Codini, il quale ringrazia). Ferdinando. (da sé) Che vorrà mai costui? Prospero. Ma infine che c'è di nuovo? Rodolfo. Oh, nulla... meno che nulla! Son venuto di corsa per godere anch'io del festino di nozze, e recare al carissimo dottore qui un regaletto... di una certa persona... che desiderava molto di avere... Ed anche a lei, signor marchesino carissimo... sarà il mazzo per lo sposo. Alberto. (da sé) Oh Dio!... Se Rodolfo!... Ferdinando. Non si dia questa briga, mio caro Zanotti... Avremo tempo, dopo la firma del contratto... Non disturbiamo la gioia comune di questo momento solenne con affari che mi sono personali. Rodolfo. Eh! le pare?... Avremo tutto il tempo anche per la gioia comune del momento solenne. Incontrai per le scale Tonio che andava dal notaio e, in fé mia, quel poltronaccio non mostrava aver molta fretta. Prospero. Ma infine?... Rodolfo. Eccomi: Signor marchesino, l'è forse in collera colla contessa di Roccabruna? Giorgio. (da sé) Oh Dio (forte) Io? Rodolfo. Eh... M'era parso... Ieri essendo presente alla scena deplorabile in quella casa che finì colla sfida... Ferdinando. Che fortunatamente... grazie a... Prospero. Grazie alla generosità del marchesino mio genero... Emilia. E all'intromissione di quel caro dottore... Rodolfo. (rivolto a Codini) Che fortunatamente grazie alla (rivolgendosi a Prospero) generosità del marchesino suo genero (rivolgendosi ad Emilia) e all'intromissione di quel caro dottore, non ebbe cattive conseguenze, tranne la caduta sui vetri... voglio dire la ferita riportata dal signor marchesino. Ferdinando. (piano a Giorgio) Presagisco qualche sciagura... Giorgio. (piano a Ferdinando) Pur troppo! Anch'io!... Rodolfo. Dico io a che servono gli amici? ad evitare le dispute; e come si evitano queste? col chiarire i fatti. Ecco perché da ieri sera mi sono scervellato a trovare il bandolo arruffato di quella matassa in fondo a cui stava un duello. Giorgio. Ma infine, signore... Rodolfo. Infine lo sorprenderà certamente ch'io sia riuscito a trovare questo bandolo; indovini dove? Giorgio. Cospetto!... Ferdinando. Ebbene, dove? Rodolfo. In una semplicissima pallottola di carta che Carlo aveva avuto la poca garbatezza di lanciare in volto al signor marchesino qui presente. Giorgio. Signore! Rodolfo. Che? ho detto qualche cosa che non sia stata? Mi correggano pure, signori. Dico: una lettera che Carlo aveva trovato sul tavolino, la quale, appena letta, era montato in bestia, e l'aveva aggrovigliato in forma di pallottola gettandola contro la nobile faccia dell'illustrissimo signor marchesino: Non è andata così? Giorgio. Ma signore!... Alberto. E così? Rodolfo. E così m'ero accorto che il diavoletto era nato dalla lettura di quel biglietto; perciò, dopo che quella pallottola, vulgo biglietto, ebbe percorso la parabola dalla mano di Carlo al volto del signore (indicando Giorgio) e che cadde in terra, come tutti i corpi che hanno un centro di gravità... io la raccolsi e me la misi in tasca. Era semplicissimo; nessuno ci badava. Prospero. Avanti. Ferdinando. (da sé) Diavolo! Rodolfo. Vo avanti. Con quella pallottola nelle mani mi pareva di tenere il filo d'Arianna. Corro a casa, spiego il foglio, lo liscio, lo stiro, e mi metto a studiarlo con un'attenzione che, parola d'onore, non ho messo mai studiare libro al mondo, neanche quelli di veterinaria. Alberto. Ebbene?... Rodolfo. La filosofia, voglio dire il sistema analitico, è una bella cosa, e serve, se non altro, a decifrare quello che c'è in una semplice pallottola di carta. La mia analisi vi trovò due parti distinte: una tracciata con caratteri da zampe di mosca, che diceva al nostro Carlo di risparmiarsi l'incomodo di far le scale d'ora innanzi. La seconda, carattere d'avvisi, fatto evidentemente con la precauzione di non far conoscere la mano che aveva scritto, indicava al giovane il modo come scoprire il suo surrogante presso la... contessa. Alberto. Ah! ah! ah! Ferdinando. (da sé con dispetto) Diavolo d'uomo! Giorgio. (piano a Codini) Che faremo? Ferdinando. (piano a Giorgio) Zitto! le circostanze ce lo diranno. Rodolfo. Queste due parti tanto distinte della lettera mi dicevano due cose: l'una che la dama non voleva più saperne di Carlo, e questo andava bene; e l'altra che c'era stato chi aveva avuto interesse di far conoscere a Carlo il suo rivale, ma farglielo conoscere in un modo da rendere inevitabile la sfida... E fu l'autore di questa carità pelosa che volli conoscere... Prospero. Eh! eh!... Alberto. E lo conosceste? Rodolfo. Sì. Giorgio. (piano a Ferdinando) Siamo perduti! Ferdinando. (piano a Giorgio) Coraggio! ancora non dell'intutto! Rodolfo. Quest'esame era molto difficile, sebbene mi ricordassi a aver visto, entrando dalla Roccabruna, il nostro caro dottore spingere il marchesino nelle stanze della contessa... Ma non mi poteva entrare in capo neppur per ombra... I motivi che ci aveva addotti per farlo erano sì plausibili... Anche noi li avevamo approvati. Alberto. (da sé) Arte infernale! Rodolfo. L'interessante era dunque di sapere chi aveva potuto scrivere quegli ultimi due righi in piedi alla lettera posta sul tavolino della contessa. Alberto. Bravo! Prospero. Sì, bravissimo! Ferdinando. Benone! Rodolfo. Con questa buona risoluzione in corpo, dopo che ebbi assistito Carlo nel duello (dove, in parentisi, mi accorsi che sapeva appena se la spada si tenesse dalla punta o dall'elsa) mi misi la via fra le gambe, afferrai a due mani tutte le risorse del mio spirito, ed andai dalla contessa. Prospero. Che?... che?... che dite? Rodolfo. Andai da quella tale contessa dei Monti Urali, poiché ella sola poteva darmi la chiave dell'enigma e puramente e semplicemente le spiegai sotto gli occhi la lettera in questione. Prospero. (con ansietà) E così? e così? Rodolfo. Che dirò?!... La contessa diede in tutte le furie e fece chiamare la cameriera per domandarle chi fosse entrato dopo che ella aveva lasciato la lettera sul tavolino... E... per bacco!... la cameriera rispose che prima di noi non c'era stato altri che...
Rodolfo. Il dottor Codini... che Dio mi guardi con questo di volere accusare... Alberto. (trionfante) Ah! Emilia. Eh! eh! Prospero. Oh! Ferdinando. Sicuro, sicuro... io ci fui. Ma non mi avvidi di nulla... Rodolfo. Ecco quel che dicevo a quella tale contessa della Mecca. Quel caro dottore ci sarà stato ma, non si sarà accorto di nulla! ... Ma le donne! lo sapete!? quando si mettono una cosa pel capo... La contessa era sbruffante, e arrivava anche a dire... Prospero. Che cosa? Rodolfo. Eh, Dio mio! non oso... Ferdinando. Dica, dica pure... il Signore ci prova colle umiliazioni... Rodolfo. Diceva che siete un birbo matricolato! un infame ipocrita! un furfante a cui i lavori forzati a vita starebbero tanto bene quanto a me la laurea in veterinaria! Ferdinando. (con ipocrisia) Sia fatta la volontà di Dio! Rodolfo. Badi però che non son io che dico queste cose, è la contessa... Come anche non credo a quello che voleva supporre... Alberto. Che?... Su, Rodolfo! Rodolfo. Che tutto questo fosse un'infame macchinazione ordita dal dottore e dal marchesino per rovinare Carlo, farlo diseredare, ed avere nella dote di Maria tutta l'eredità di Montalti; ella voleva parlare anche di... (a Giorgio) Dica un pò, fra di noi, marchesino carissimo, si sarebbero guastati con la contessa?... Le donne... lo sa?... quando sono in collera inventano di tali cose!... Oh ma io non ci ho creduto... io non ci credo affatto... La contessa ha sudato per benino, per persuadermi; mi ha dato anche una lettera da consegnare al nostro egregio signor Codini e m'ha detto: ora comprendo perché Codini avesse tanto interesse da togliermela di mano! Recategliela, che gli farete piacere: Oh! l'ha principalmente con lei, quella, caro dottore... ma io non ci credo affatto, sebbene le abbia recato la lettera (mostrandola) così per compiacenza... Ferdinando. (tentando di carpirgliela) Vediamo. Rodolfo. Adagino! adagino, dottore caro! Sono caporale nella Guardia Nazionale io, e me ne intendo di consegne! La mia è: leggerla innanzi a tutti (indicando la lettera) Coram populo! prima di dargliela. Maria. Giorgio!... Giorgio. Mia cara Maria, potete crederlo?!... Rodolfo. Illustrissimo signor marchesino, avrebbe ella promesso a quell'adorabile contessa qualche cosa come un cronometro con catenella? Giorgio. Io?... Signore... Rodolfo. È che colei quando ancora esitava a consegnarmi la lettera mi diceva: Faccia conoscere al marchese di S. Giocondo (capisce? quella signora mi faceva forse in mente sua... l'onore di credermi suo amico) che malgrado ch'egli m'abbia rifiutato un semplice cronometro con catenella, malgrado che mi si fosse offerta una bella somma, 6000 lire, per la sua lettera, malgrado ch'io ne darei altrettante per smascherare quel tristo ipocrita del Codini (scusi, dottore caro, è la contessa che parla) io ho la generosità di risparmiarlo... Giorgio. Ma signore... Rodolfo. Allora... che vuole? Per l'amicizia che nutro per lei non potei più esimermi di prendere le sue difese, di scusarla alla meglio... e dissi alla contessa che non era stata spilorceria la sua di rifiutarle il cronometro, ma che avendo fatto un regalo di un finimento completo a quella pazzerella della Norina, presso la quale ebbi l'onore d'incontrarla l'altra sera venendoci con Carlo, probabilmente la ristrettezza finanziaria del momento non le permetteva... Maria. (allontanandosi) Dio mio! Giorgio!... Rodolfo. Eh! avrò detto male... Non mi sarò ben spiegato... Ma fu come mettere il fuoco alla polvere. La contessa cominciò a strillare come un'ossessa, a prodigarle gli epiteti meno lusinghieri, e finì col dirmi: In tal caso rechi questa lettera a Giorgio e al Codini, e dica all'uno che se lo servo un po' tardi meglio tardi che mai, e all'altro, al marchesino, che questa vale bene un finimento e una cena dalla Norina. Ferdinando. Ma infine, signore, se quella lettera va a noi... (facendo un movimento per prenderla). Alberto. (afferrandolo pel braccio) A modo! caro dottore, a modo! Rodolfo, compiacete questi signori che sono impazienti. Rodolfo. Eccomi (leggendo): «Carina mia!» È il marchesino che scrive: «Carina, stasera non vengo da voi perché non ho potuto esimermi d'accompagnare un amico dalla Norina; quello che più mi rincresce è che probabilmente neanche domani potrò avere il piacere di venire a passare la sera presso di voi, essendo condannato a subirmi una ridicola festa da quello sciocco di Montalti...» Prospero. Oh! oh! oh! Rodolfo. (leggendo) «Quello sciocco di Montalti in occasione dell'onomastico della sua figliuola Maria che m'è tanto stucchevole e noiosa per quanto sono innamorato di voi e che ho il dispiacere di dovere sposare ora che mi porta una bella dote che scialacqueremo assieme...» Maria. Vile! ! ! Rodolfo. (leggendo) «In barba a quell'imbecille di mio suocero ed alla vecchia squarquoia di sua moglie...» Emilia. Ehi!? ehi!?... avete letto signor Rodolfo? Rodolfo. (leggendo) «Ed alla vecchia squarquoia di sua moglie...». Scusino, saranno errori d'ortografia. Ella possiede una bella scrittura, signor marchesino... Giorgio. (per slanciarsi) Vivaddio signore! Alberto. A voi! al dovere! signor marchesino illustrissimo! Ferdinando. Ecco quello che fà mettersi con simili imbecilli (con dispetto da sé indicando Giorgio). Rodolfo. (leggendo) «Sicché vi scrivo per prevenirvi di non aspettarmi e far capitare in casa di Montalti, appunto la sera che si darà la festa, le noterelle, che mi diceste non aver più pagato Carlo, con una letterina che fingerete di far capitare al padre per isbaglio. Ne nascerà un diavoleto, e ciò ci divertirà, senza contare che servirà ai nostri fini mettendo sempre più in urto Carlo con la famiglia. In ogni caso siate sicura, mia cara Giulia, che purché questo scandalo accada vi è chi paga per tutti: il Codini, che voi dovete conoscere». Prospero. (stupefatto) Oh! oh! oh!... Emilia. Dio mio! come sarebbe possibile?!... Maria. Com'è possibile che vi sia un uomo tanto vile quanto quello lì (indicando Giorgio). Alberto. Com'è possibile che l'infamia dia pane, che l'ipocrisia non sia stimmatizzata su quelle fronti (indicando Giorgio e Ferdinando) e che riesca a trionfare qualche volta... Com'è possibile che tutto ciò ch'è fango, malvagità, abbiettezza contamini tutto ciò ch'è onesto, puro e nobile... Com'è possibile che due vili assassini dell'onore, della pace, della felicità delle famiglie non possano essere colpiti da una condanna capitale. Giorgio. Signore! Prospero. Bene! per bacco! Hai ragione... Hai parlato come uno dei miei onorevoli colleghi... Ma di Camera non voglio più saperne; ho avuto torto non ascoltando i tuoi consigli e godo nel confessartelo. Oh! Dio! come son contento d'essere scappato a tutte queste orribili macchinazioni... di tornare oscuro ma felice in seno alla mia famiglia... con mio figlio!... Poiché infine è mio figlio quel disgraziato che hanno traviato!... Dov'è desso?... Presto, correte a chiamarlo.
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