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Giovanni Verga
Storia di una capinera

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  • XV. 26 Dicembre.
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XV. 26 Dicembre.

 

Finalmente il medico mi ha permesso [di] affacciarmi alla porta in sul mezzogiorno, quando il tempo sarà bello. Dicono che ho bisogno di tanti riguardi perché la mia salute è delicata. Anche mia madre, poverina!, era di salute delicata, ed è morta giovane. Ieri fu il Natale, quella bella festa di Natale che al convento ci passare una notte di canti e allegrezze, e la commovente messa di mezzanotte... ti rammenti? I signori Valentini son venuti tutte le sere della Novena a giuocare insieme ai miei parenti. Li ho uditi parlare e ridere nella stanza da pranzo, ove era acceso un buon fuoco, cogli usci ben chiusi, e il vento che mugolava al di fuori, e qualche volta anche la grandine che scrosciava sui tetti. Come devono esser stati felici lì in crocchio, ben caldi, ben riparati, mentre al di fuori faceva freddo e pioveva!

Oggi abbiamo solennizzato la festa con un buon pranzo, ma senza i signori Valentini... per colpa mia, l'ho capito, per non farmi incontrare con lui. E la festa è stata senza allegria in confronto del bel pranzo del giorno onomastico di mio padre, te ne rammenti?

La mattina splendeva un bel sole. Sono uscita un momento dinanzi alla porta; mi sopraccaricarono di scialli e di mantelli, e il babbo mi sorreggeva. Come tutto era lieto e mi sorrideva! il cielo splendente di un azzurro purissimo, il sole che indorava la neve di cui l'Etna era tutto coperto, e il mare ceruleo, i campanili di quei villaggi che biancheggiavano fra gli alberi, quei campi in cui il verde dell'erba contrastava col bianco della neve, quel bosco che taceva perché non c'era vento e non aveva più foglie da lasciar cadere, quella spianata ove abbiamo tanto ballato e giocherellato, quelle galline che razzolavano sulla paglia, quella capannuccia che fumava della neve che squagliava al sole, gli uccelletti che cinguettavano sul tetto, Vigilante disteso sulla soglia che si scaldava al sole, la castalda che sciorinava i panni bagnati sui rami del castagno spogli di fronde, e canterellava volgendo uno sguardo di ineffabile contentezza materna ai suoi due bimbi che si trastullavano sulla porta.

Dio sia benedetto! Dio sia lodato della gioia, della felicità che accorda all'uccello che canta, alla foglia che nasce, al rettile che si scalda, al sole che brilla, alla madre che si tiene al seno il [suo] bimbo, alla povera anima mia che esulta e lo ringrazia.

Come viene presto la notte d'inverno! avrei voluto star fuori lungamente a riempire di quell'arietta frizzante il mio povero petto affaticato, e strascinarmi alla meglio, appoggiata al braccio di mio padre, sino al limite di quel bel castagneto ove ho passato tante ore felici! Avrei voluto assidermi su quel muricciolo che il musco ha tappezzato di verde. Faceva freddo, il sole mi diceva addio, laggiù nella vallata si levava una fitta nebbia, gli uccelli non cantavano più. Come è mesto il silenzio del tramonto in inverno! Mio padre vole ch'io rientrassi in casa, e che mi mettessi a letto mentre la più bella luna del mondo faceva scintillare i vetri della finestra. Avrei desiderato che almeno mi lasciassero quel bel lume di luna, ma chiusero anche le imposte. Son malata, capisci? fa freddo... bisogna pure!...

La sera si aspettavano i signori Valentini a cena. Che bella sera è mai quella del Natale! Anche qui, in questa solitudine, tutto ha un'aria di festa: il contadino che arriva canterellando dalla pianura per fare il Natale colla sua famigliuola, il fuoco che crepita sotto una buona caldaia, le villanelle che ballano al suono della cornamusa. Ho visto in cucina i preparativi della cena, la legna sul braciere, le candele e le carte da giuoco preparate sulla tavola; sul tavolino presso la finestra un piatto di confetture ed alcune bottiglie di rosolio. È tutto il lieto apparecchio di una veglia di Natale da passarsi in famiglia. Ho contato le seggiole disposte attorno alla tavola, erano otto... la mia non c'era più... Ho visto però il posto dove soleva assidermi e la seggiola ch'egli occupava presso di me quando guardava le mie carte.

Ho pensato a tutte coteste cose stando in letto tutta sola, in quel piccolo camerino ch'è oscuro, silenzioso, ed ha un aspetto melanconico. Avrei voluto addormentarmi, avrei voluto non udire quei discorsi, quelle voci, quell'allegria vicino a me... Ho passato la notte agitatissima senza poter chiudere occhio. Credo che abbia ancora la febbre. Son così debole! Ho trattenuto il respiro tutta la notte per ascoltare le parole di lui, per indovinare dal suono della sua voce se egli fosse tristo o allegro. L'ho udito tre volte; una volta disse «grazie», un'altra volta «tocca a me», l'ultima «signorina». Se tu potessi immaginarti tutto quello che c'è in coteste parole! se potessi esprimerlo!

Hanno giuocato sino alla mezzanotte. Io li ho udito da qui. Poi si son messi a tavola... Ora sono stanca, la testa mi vacilla... Ti ho scritto per tenermi desta... per fare qualche cosa anch'io...

Parliamo di te piuttosto... e tu hai fatto buon Natale? sei contenta? sei felice?

Voglio stordirmi; voglio far forza a me stessa questi ultimi giorni; voglio vincere questa prova durissima. Dio ch'è misericordioso mi aiuterà! Scrivimi, scrivimi. Fra breve forse ci rivedremo, e allora quante cose avrò a dirti!

 

 




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