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Giovanni Verga
Primavera e altri racconti

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le storie del castello di Trezza.
    • IX.
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IX.

 

Donna Violante non chiuse occhio in tutta la notte. Stava col gomito sul guanciale, fissando uno sguardo intraducibile, immobile, instancabile, su quel marito che dormiva tranquillo accanto a lei, di cui l'alito avvinazzato le sfiorava il viso, e il quale l'avrebbe stritolata sotto il suo pugno di ferro, se avesse potuto immaginare quali fantasmi passassero per gli occhi sbarrati di lei. E all'indomani, colle guance accese di febbre, e il sorriso convulso, gli disse:

- Non vi pare che sarebbe tempo di cercare un altro paggio, don Garzia?

- Perché?

- Corrado non è più un ragazzo; e voi lasciate troppo spesso sola vostra moglie, perché egli possa starle sempre vicino senza dar da ciarlare ai vostri nemici -.

Il barone aggrottò le ciglia, e rispose:

- Amici e nemici mi conoscono abbastanza perché né la cosa né le ciarle siano possibili -.

Sugli occhi della donna lampeggiò un sorriso da demone.

- E poi, - aggiunse don Garzia, - vi stimo abbastanza per temere che voi, nobile e fiera, possiate scendere sino ad un paggio -. E buttandole galantemente le braccia al collo accostò le sue labbra a quelle di lei. Ella, bianca come una statua, gli rese il bacio con insolita energia.

Nondimeno, malgrado l'alterigia baronale, e la fiducia nella sua possanza, don Garzia era tal vecchio peccatore da non dormir più tranquillo i suoi sonni una volta che gli era stata messa nell'orecchio una pulce di quella fatta, e, andato a trovar Corrado:

- Orsù, bel giovane, - gli disse, - eccoti questo borsellino pel viaggio, e queste due righe di benservito, e vatti a cercar fortuna altrove -.

Il giovane rimase sbalordito, e non potendo aspettarsi da che parte gli venisse il congedo, temette che qualcosa del terribile segreto fosse trapelata; e tremante, non per sé, ma per colei di cui avea sognato tutta la notte gli occhi lucenti, e l'ebbrezze convulse:

- Almeno, mio signore, - balbettò, - piacciavi dirmi, in grazia, perché mi scacciate!

- Perché sei già in età da guadagnarti il pane dove c'è da menar le mani, invece di stare a grattar la chitarra, ed è tempo di pensare a vestir l'arnese, piuttosto che farsettino di velluto.

- Orbè, messere, lasciatemi al vostro servizio, in mercé, se in nulla vi dispiacqui, e in quell'ufficio che meglio vi tornerà -.

Il barone si grattò il naso, come soleva fare tutte le volte che gli veniva voglia di assestare un ceffone.

- Via! - gli disse con tal piglio da non dover tornar due volte sulle cose dette; - levamiti dai piedi, mascalzone; ché dei tuoi servigi non so che farmene, e bada che se la sera di domani ti trova ancora nel castello non ne uscirai dalla porta -.

Il povero paggio aveva perduto la testa; malgrado la gran paura che mettevagli addosso il suo signore tentò tutti i mezzi per cercar di vedere quella donna che gli avea irradiato di luce la vita in un attimo, e che amava più della vita. Ma la baronessa lo evitava, come avesse voluto fuggire se stessa, o le sue memorie. Tutti i progetti e i timori più assurdi si affollarono nella testa delirante del giovane innamorato, e credendo la vita di donna Violante minacciata dal barone, decise di far di tutto per salvarla. Finalmente, mentre sollevava una tenda sotto la quale ella passava, fiera, calma e impenetrabile, le sussurrò sottovoce:

- Se il mio sangue può giovarvi a qualcosa, prendetevelo, madonna! -

Ella non si volse, non rispose, e passò oltre. Ei rimase come fulminato.

 

 




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