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Pietro Bembo
Gli Asolani

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  • LIBRO SECONDO
    • -27-
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-27-

 

Se 'l pensier, che m'ingombra,

Com'è dolce e soave

Nel cor, così venisse in queste rime,

L'anima saria sgombra

Del peso, ond'ella è grave,

E esse ultime van, ch'anderian prime;

Amor più forti lime

Useria sovra 'l fianco

Di chi n'udisse il suono;

Io, che fra gli altri sono

Quasi augello di selva oscuro humile,

Andrei cigno gentile

Poggiando per lo ciel, canoro e bianco,

E fora il mio bel nido

Di più famoso e onorato grido.

Ma non eran le stelle,

Quando a solcar quest'onda

Primier entrai, disposte a tanto alzarme;

Che, perché Amor favelle

E Madonna risponda

, dove più non pote altro passarme,

S'io voglio poi sfogarme,

dolce è quel concento,

Che la lingua no 'l segue,

E par che si dilegue

Lo cor nel cominciar de le parole;

giamai neve a sole

Sparve così, com'io strugger mi sento:

Tal ch'io rimango spesso

Com'uom, che vive in dubbio di se stesso.

Legge proterva e dura

S'a dir mi sferza e punge

Quel, ond'io vivo, or chi mi tene a freno?

E s'ella oltra mia cura

Dal mondo mi disgiunge,

Chi mi poi lo stil pigro e terreno?

Ben posson venir meno

Torri fondate e salde;

Ma ch'io non cerchi e brami

Di pascer le gran fami,

Che 'n sì lungo digiuno, Amor, mi dai,

Certo non sarà mai:

fûr le tue saette acute e calde,

Di che 'l mio cor piagasti,

Ove ne gli occhi suoi nascosto entrasti.

Quanto sarebbe il meglio,

E tuo più largo onore,

Ch'i' avessi in ragionar di lei qualch'arte.

E sì come di speglio

Un riposto colore

Saglie talor e luce in altra parte,

Così di queste carte

Rilucesse ad altrui

La mia celata gioia;

E perché poi si moia,

Non ci togliesse il gir solinghi a volo

Da l'uno a l'altro polo;

dove or taccio a tuo danno, con cui

S'io ne parlassi, avria

Voce nel mondo ancor la fiamma mia.

E forse avenirebbe,

Ch'ogni tua infamia antica

E mille alte querele acqueteresti;

Ch'uno talor direbbe:

Coppia fedele, amica,

Quanti dolci pensier vivendo avesti!’.

Altri: ‘Ben strinse questi

Nodo caro e felice,

Che sciolto a noi pace’.

Or, poi ch'a lui non piace,

Ricogliete voi, piagge, i miei desiri

E tu, sasso, che spiri

Dolcezza e versi amor d'ogni pendice,

Dal che la mia donna

Errò per voi secura in treccia e 'n gonna.

E se gli onesti preghi

Qualche mercede han teco,

Faggio, del mio piacer compagna eterna,

Pietà ti stringa e pieghi

A darne segno or meco,

E mova da la tua virtute interna

Chi 'l mio danno discerna,

Sì che, s'altro mi sforza

E di valor mi spoglia,

S'adempia una mia voglia

Dopo tante, che 'l vento ode e disperde.

Così mai chioma verde

Non manchi a la tua pianta, e ne la scorza

Qualche bel verso viva,

E sempre a l'ombra tua si legga o scriva.

Già sai tu ben, sì come

Facean qui vago il cielo

De le due chiare stelle i santi ardori,

E le dorate chiome

Scoperte dal bel velo,

Spargendo di lontan soavi odori

Empiean l'erba di fiori;

E sai, come al suo canto

Correano inverso 'l fonte

L'acque nel fiume, e 'l monte

Spogliar del bosco intorno si vedea,

Ch'ad ascoltar scendea,

E le fere seguir dietro e da canto,

E gli augelletti inermi

Sovra in su l'ali star attenti e fermi.

Riva frondosa e fosca,

Sonanti e gelid'acque,

Verdi, vaghi, fioriti e lieti campi,

Chi fia, ch'oda e conosca

Quanto di lei vi piacque,

E meco d'un incendio non avampi?

Chi verrà mai, che stampi

L'andar soave e caro

Col bel dolce costume,

E quel celeste lume,

Che giunse quasi un sole a mezzo 'l die

Sovra le notti mie:

Lume, nel cui splendor mirando imparo

A sprezzar il destino

E di salir al ciel scorgo 'l camino?

Quando, giunte in un loco,

Di cortesia vedeste,

D'onestà, di valorcare forme?

Quando a sì dolce foco

Di sì begli occhi ardeste?

E so ch'Amor in voi sempre non dorme.

O chi m'insegna l'orme,

Che 'l piè leggiadro impresse?

O chi mi pon tra l'erba,

Ch'ancor vestigio serba

Di quella bianca man, che tese il laccio,

Onde uscir non procaccio,

E del bel fianco e de le braccia istesse,

Che stringon la mia vita,

Sì ch'io ne pero e non ne cheggio aita?

Genti, a cui porge il rio

Quinci 'l piè torto e molle,

E quindi l'alpe il dritto orrido corno,

Deh or tra voi foss'io,

Pastor di quel bel colle

O guardian di queste selve intorno:

Quanto riluce il giorno

Del mio sostegno andrei

Ogni parte cercando,

Reverente inchinando

've più fosse il ciel sereno e queto

E 'l seggio ombroso e lieto;

Ivi del lungo error m'appagherei,

E basciando l'erbetta,

Di mille miei sospir farei vendetta.

Tu non mi sai quetar, né io t'incolpo,

Pur che tra queste frondi,

Canzon mia, da la gente ti nascondi.

 

 




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