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Pietro Bembo
Gli Asolani

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  • LIBRO PRIMO
    • -3-
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-3-

 

 Ma alle nozze della Reina tornando, mentre che elle così andavano come io dissi, un giorno tra gli altri nella fine del desinare, che sempre era splendido e da diversi giuochi d'uomini che ci soglion far ridere e da suoni di vari strumenti e da canti ora d'una maniera e quando d'altra rallegrato, due vaghe fanciulle per mano tenendosi, con lieto sembiante al capo delle tavole, dove la Reina sedea, venute, riverentemente la salutarono; e poi che l'ebbero salutata, amendue levatesi, la maggiore, un bellissimo liuto che nell'una mano teneva al petto recandosi e assai maestrevolmente toccandolo, dopo alquanto spazio col piacevole suono di quello la soave voce di lei accordando e dolcissimamente cantando, così disse:

 

Io vissi pargoletta in festa e 'n gioco,

De' miei pensier, di mia sorte contenta:

Or sì m'afflige Amor e mi tormenta,

Ch'omai da tormentar gli avanza poco.

Credetti, lassa, aver gioiosa vita

Da prima entrando, Amor, a la tua corte;

E già n'aspetto dolorosa morte:

O mia credenza, come m'hai fallita.

Mentre ad Amor non si commise ancora,

Vide Colco Medea lieta e secura;

Poi ch'arse per Iason, acerba e dura

Fu la sua vita infin a l'ultim'ora.

 

Detta dalla giovane cantatrice questa canzone, la minore, dopo un brieve corso di suono della sua compagna che nelle prime note già ritornava, al tenor di quelle altresì come ella la lingua dolcemente isnodando, in questa guisa le rispose:

 

Io vissi pargoletta in doglia e 'n pianto,

De le mie scorte e di me stessa in ira:

Or sì dolci pensieri Amor mi spira,

Ch'altro meco non è che riso e canto.

Arei giurato, Amor, ch'a te gir dietro

Fosse proprio un andar con nave a scoglio;

Così 'nd'io temea danno e cordoglio,

Utile scampo a le mie pene impetro.

Infin quel , che pria la punse Amore,

Andromeda ebbe sempre affanno e noia;

Poi ch'a Perseo si diè, diletto e gioia

Seguilla viva, e morta eterno onore.

 

Poi che le due fanciulle ebber fornite di cantare le lor canzoni, alle quali udire ciascuno chetissimo e attentissimo era stato, volendo esse partire per dar forse a gli altri sollazzi luogo, la Reina, fatta chiamare una sua damigiella, la quale, bellissima sopra modo e per giudicio d'ogniun che la vide più d'assai che altra che in quelle nozze v'avesse, sempre quando ella separatamente mangiava di darle bere la serviva, le impose che alle canzoni delle fanciulle alcuna n'aggiugnesse delle sue. Per che ella, presa una sua vivola di maraviglioso suono, tuttavia non senza rossore veggendosi in così palese luogo dover cantare, il che fare non era usata, questa canzonetta cantò con tanta piacevolezza e con maniere così nuove di melodia, che alla dolce fiamma, che le sue note ne' cuori degli ascoltanti lasciarono, quelle delle due fanciulle furono spenti e freddi carboni:

 

Amor, la tua virtute

Non è dal mondo e da la gente intesa,

Che, da viltate offesa,

Segue suo danno e fugge sua salute.

Ma se fosser tra noi ben conosciute

L'opre tue, come dove risplende

Più del tuo raggio puro,

Camin dritto e securo

Prenderia nostra vita, che no 'l prende,

E tornerian con la prima beltade

Gli anni de l'oro e la felice etade.

 

 




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