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Pietro Bembo Gli Asolani IntraText CT - Lettura del testo |
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Se 'l pensier, che m'ingombra, Com'è dolce e soave Nel cor, così venisse in queste rime, L'anima saria sgombra Del peso, ond'ella è grave, E esse ultime van, ch'anderian prime; Amor più forti lime Useria sovra 'l fianco Di chi n'udisse il suono; Io, che fra gli altri sono Quasi augello di selva oscuro humile, Andrei cigno gentile Poggiando per lo ciel, canoro e bianco, E fora il mio bel nido Di più famoso e onorato grido. Ma non eran le stelle, Quando a solcar quest'onda Primier entrai, disposte a tanto alzarme; Che, perché Amor favelle E Madonna risponda Là, dove più non pote altro passarme, S'io voglio poi sfogarme, Sì dolce è quel concento, Che la lingua no 'l segue, E par che si dilegue Lo cor nel cominciar de le parole; Né giamai neve a sole Sparve così, com'io strugger mi sento: Tal ch'io rimango spesso Com'uom, che vive in dubbio di se stesso. Legge proterva e dura S'a dir mi sferza e punge Quel, ond'io vivo, or chi mi tene a freno? E s'ella oltra mia cura Dal mondo mi disgiunge, Chi mi dà poi lo stil pigro e terreno? Ben posson venir meno Torri fondate e salde; Ma ch'io non cerchi e brami Di pascer le gran fami, Che 'n sì lungo digiuno, Amor, mi dai, Certo non sarà mai: Sì fûr le tue saette acute e calde, Di che 'l mio cor piagasti, Ove ne gli occhi suoi nascosto entrasti. Quanto sarebbe il meglio, E tuo più largo onore, Ch'i' avessi in ragionar di lei qualch'arte. E sì come di speglio Un riposto colore Saglie talor e luce in altra parte, Così di queste carte Rilucesse ad altrui La mia celata gioia; E perché poi si moia, Non ci togliesse il gir solinghi a volo Da l'uno a l'altro polo; Là dove or taccio a tuo danno, con cui S'io ne parlassi, avria Voce nel mondo ancor la fiamma mia. E forse avenirebbe, Ch'ogni tua infamia antica E mille alte querele acqueteresti; Ch'uno talor direbbe: ‘Coppia fedele, amica, Quanti dolci pensier vivendo avesti!’. Altri: ‘Ben strinse questi Nodo caro e felice, Che sciolto a noi dà pace’. Or, poi ch'a lui non piace, Ricogliete voi, piagge, i miei desiri E tu, sasso, che spiri Dolcezza e versi amor d'ogni pendice, Dal dì che la mia donna Errò per voi secura in treccia e 'n gonna. E se gli onesti preghi Qualche mercede han teco, Faggio, del mio piacer compagna eterna, Pietà ti stringa e pieghi A darne segno or meco, E mova da la tua virtute interna Chi 'l mio danno discerna, Sì che, s'altro mi sforza E di valor mi spoglia, S'adempia una mia voglia Dopo tante, che 'l vento ode e disperde. Così mai chioma verde Non manchi a la tua pianta, e ne la scorza Qualche bel verso viva, E sempre a l'ombra tua si legga o scriva. Già sai tu ben, sì come Facean qui vago il cielo De le due chiare stelle i santi ardori, E le dorate chiome Scoperte dal bel velo, Spargendo di lontan soavi odori Empiean l'erba di fiori; E sai, come al suo canto Correano inverso 'l fonte L'acque nel fiume, e 'l monte Spogliar del bosco intorno si vedea, Ch'ad ascoltar scendea, E le fere seguir dietro e da canto, E gli augelletti inermi Sovra in su l'ali star attenti e fermi. Riva frondosa e fosca, Sonanti e gelid'acque, Verdi, vaghi, fioriti e lieti campi, Chi fia, ch'oda e conosca Quanto di lei vi piacque, E meco d'un incendio non avampi? Chi verrà mai, che stampi L'andar soave e caro Col bel dolce costume, E quel celeste lume, Che giunse quasi un sole a mezzo 'l die Sovra le notti mie: Lume, nel cui splendor mirando imparo A sprezzar il destino E di salir al ciel scorgo 'l camino? Quando, giunte in un loco, Di cortesia vedeste, D'onestà, di valor sì care forme? Quando a sì dolce foco Di sì begli occhi ardeste? E so ch'Amor in voi sempre non dorme. O chi m'insegna l'orme, Che 'l piè leggiadro impresse? O chi mi pon tra l'erba, Ch'ancor vestigio serba Di quella bianca man, che tese il laccio, Onde uscir non procaccio, E del bel fianco e de le braccia istesse, Che stringon la mia vita, Sì ch'io ne pero e non ne cheggio aita? Genti, a cui porge il rio Quinci 'l piè torto e molle, E quindi l'alpe il dritto orrido corno, Deh or tra voi foss'io, Pastor di quel bel colle O guardian di queste selve intorno: Quanto riluce il giorno Del mio sostegno andrei Ogni parte cercando, Reverente inchinando Là 've più fosse il ciel sereno e queto E 'l seggio ombroso e lieto; Ivi del lungo error m'appagherei, E basciando l'erbetta, Di mille miei sospir farei vendetta. Tu non mi sai quetar, né io t'incolpo, Pur che tra queste frondi, Canzon mia, da la gente ti nascondi.
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