VALERIO Signore mio, ecco qui
Valerio, vostro servitore e, volete o no, da voi ricognosco quel ch'io sono e mi
dolgo de le pessime lingue e de la maligna sorte mia, che senza causa mi vi ha
messo in disgrazia.
PARABOLANO Valerio, la colpa è
d'amore che contro al mio costume m'ha fatto credere troppo: non ti dolere di
me.
VALERIO Io mi dolgo de la natura
di voi signori, che così facile credenze date agli asentatori e maligni, e
senza udire il biasimato assente, sbandite ogni fedele e giusto omo da la
grazia vostra.
PARABOLANO Deh, grazia! Perdona
ad uno inganno che m'è stato fatto dal Rosso, il qual m'ha menato a sollazzarmi
con una poltrona in cambio d'una gintildonna de Roma, la qual è regina de la
mia vita.
VALERIO Donque per le ciance de
un par del Rosso un sì gintilomo si lascia desviare ne le mani d'una ruffiana
publica, dove pur adesso t'ho visto uscire, e per le parole del Rosso cacci uno
che cotanti anni ti è stato servitore obedientissimo! L'è pur una gran
disgrazia de voi signori, che ciechi di giudizio, per un vano apetito, ne date
in preda a un tabacchino, sigillandoli ogni menzogna per il Vangelio!
PARABOLANO Non più! Ch'io mi
vergogno d'essere vivo e delibero ammazzare la giovene e la vecchia in questa
casa.
VALERIO E questa serìa vergogna
sopra a vituperio, anzi, vi prego, le facciati escan fora e ridendo ascoltiamo
la burla che v'è stata fatta con nova arte, e che poi siate el primo a
contarla, acciò che più presto si domentichino le tue gioventudini.
PARABOLANO Tu di' saviamente.
Aspettami qui.
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