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Pietro Aretino
La cortigiana

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  • LA CORTIGIANA
      • Prologo
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Prologo

 

Chi cercassi tutta la maremma non che Italia, non saria mai possibile a ragunare tanta turba di sfaccendati, e ognuno è córso al romore e non è niuno che sappia a che proposito. Almen quando quel medico da Verzelli e i compagni si squartorno, e' si sapeva per dua giorni inanzi perché e per come. Sarà qualche satrapo che dirà essere venuto per avere qualche piacere de la comedia, come se la comedia non avesse altra faccenda che farlo ridere... Ma voi non volete star queti; orsù, ch'io vi chiarisco ch'io vi vitupererò tutti, per Dio! Per Dio che se non fate silenzio ch'io sciorrò el cane, e dirò: el tal è agens, el tal è patiens; e se non ch'io ho rispetto a monna Comedia che rimarrebbe sola, io publicarei tutti i defetti vostri, ché gli ho meglio in mente che la Marca la buona e santa memoria de l'Armellino, con reverenzia parlando.

Oh, quanti ce ne sono che fariano il meglio a procacciare la pigione de la casa a la Signora; e altri a fare che 'l suo famiglio abbia il suo salario provedere doverìa.

E chi è in disgrazia al maestro di casa riaverlo per amico serìa buono di tentare; e vadi a cena chi non ha cenato, 'nanzi che le campanelle, imbasatrici de la fame, suonino; e chi non ha ditto l'offizio si non andassi a dirlo non peccarebbe però in Spirito Sancto.

Per certo che si può rallegrare quel padre e fratello che ha il figliolo e fratello in Corte e con tutti i dessagi del mondo lo mantiene, perché doventi messere e reverendo, perché arà le some de' benefici per andare dietro a le favole...

Ma io getto via le parole e veggo che a ogni modo volete impregnarvi di questa comedia! Orsù, a le mani, assettarètivi mai più, perdigiornate? A fe' che c'è tale che sta a un sinistro strano e per che cosa? Per vedere una favola. S'egli fusse in San Piero e avesse a vedere il Volto Santo, stando a sì gran disconcio dirìa a messer Domenedio che 'l verebbe a vedere una altra volta; ma avete ventura che ci sono donne oneste e poche, ché vi so dire che bagnaresti e' piedi d'altro che d'acqua lanfa. Ma torniamo al proposito.

Vostre Signorie mi son patrone, e ancora ch'io abbia bravato un poco, non c'è periculo niuno, e mi burlo con voi che sète nobilissimi, costumati e virtuosi. E non credete che questa ciancia che vi sarà racconta vi facessi dispiacere, perché ella è nata a contemplazione vostra, e mi vien da ridere perch'io penso che inanzi che questa tela si levassi dal volto di questa città, vi credevate che ci fussi sotto la torre de Babilonia, e sotto ci era Roma. Vedete Palazzo, San Piero, la Piazza, la Guardia, l'Osteria de la Lepre, la Luna, la Fonte, Santa Caterina e ogni cosa.

Ma adesso che ricognoscete che l'è Roma al Coliseo, a la Ritonda e altre cose, e che siate certissimi che dentro vi si farà una comedia, come credete voi che detta comedia abbia nome? Ha nome La Cortigiana, et è per padre toscana e per madre da Bergamo. Però non vi maravigliate s'ella non va su per 'sonetti lascivi', 'unti', 'liquidi cristalli', 'unquanco', 'quinci e quindi' e simili coglionerie, cagion che madonne Muse non si pascono si non d'insalatucce fiorentine!

E per mia fe' ch'io son schiavo a un certo cavaliero Casio de' Medici bolognese, poeta que pars est, che in una sua opera de la vita de' santi, dice questo memorabile e divino verso:

 

            Per noi fe' Cristo in su la croce el tomo,

 

E se 'l Petrarca non disse 'tomo', l'ha detto egli ch'è da Bologna, et altro omo che 'l Petrarca, per essere eques inorpellato. Così Cinotto, pur patricio bolognese, che scrivendo contro il turco disse così:

 

            Fa' che tu sippa Padre santo in mare

            El turco deroccando e tartussando

            Che Dio si vuol con teco scorucciare.

 

'Sippa' è vocabulo antiquo, 'deroccare' e 'tartussare' moderno, e Cinotto, poeta coronato per man di papa Leon, l'usa e sta molto bene; sì che questi comentatori di vocabuli del Petrarca gli fanno dire cose che non le farìa dire al Nocca da Fiorenza otto altri tratti di corda, come ebbe già, benemerito, in persona propria, da la patria sua.

E non è niuno che sappia meglio di Pasquino quello si può usare o no. Egli ha un libro il qual tratta de la sua genologia e c'è de belle cose, come intenderete, e perché gli è nato di poeta però qui lo faccio autore. Parnaso è un monte alto, aspero, indiavolato, che non ci andarebbe San Francesco per le stìmate, e questo loco era d'un povero gintilomo che si chiamò ser Apollo; il qual, o fosse per voto o per disperazione, fattoci un romitorio, si viveva ivi. Avvenne che non so chi toccò il core a nove donne da bene, e dette donne, accettate dal sopra detto Apollo, entroron seco nel monasterio e dandosi a la virtù steteron non molto insieme che si piglioron grande amore. E, come accade che 'l Demonio è sutile, ser Apollo bello e madonne muse bellissime, si consumò el matrimonio, onde nacquero figlioli e figliole. E perché Apollo fu ceretano, come per la lira si può cognoscere, e molti anni cantò in banca, tutti e' figlioli e figlie ch'egli ebbe fur poeti e poetesse. Ora, cominciandosi a sapere che suso quel monte, a petizione d'un solo, stavono nove così belle donne, ce furon molti che per industria saliron in cima al monte, e assai, credendosi salire, rupporo il collo. E come le buone muse videro di poter scemare la fatica a Apollo, si domesticorono sì con coloro che erono con tanto ingegno saliti su l'indiavolato monte, che poseno le invisibile corna a quella gintil creatura di Apollo: e con tale archimia fu acquistato Pasquino, né si sa di qual musa o di qual poeta. Bastardo è egli, questo è certo, e chi dice che dette muse fussero sorelle ha il torto, et ha quel giudizio in le croniche ch'ha il Mainoldo mantuano in anticaglie o in gioie; e lo prova, non essere pur parenti, la differenzia de le lingue che si leggono, e lo conferma Pasquino, che cicala d'ogni tempo greco, còrso, francese, todesco, bergamasco, genovese, veneziano e da Napoli. E questo è perch'una musa nacque in Bergamo, l'altra in Francia, questa in Romagna e quella in Chiasso e Caliope in Toscana. O vedete se di tanta mescolanza nascono le sorelle! E la ragion che piace più la lingua toscana che l'altre, è perché ser Petrarca in Avignon s'inamorò di monna Laura, la qual fu fantesca di Caliope, e aveva tutto il parlare suo, e a ser Francesco piacendoli la dolce lingua di monna Laura, cominciò a comporre in sua laude. E perché a lui non è ancora agiunto stile se non quello de l'Abate di Gaeta, bisogna andare dietro a le autorità sua, ma circa al parlare non c'è pena niuna, salvo se non se dicessi el vero. E il milanese può dire 'micca' per 'pane' e il bolognese 'sippa' pro 'sia'...

ISTR. ARG. Oh, tu leggeresti bene il processo o la condemnazione a un podestà. O che cicalare è stato il tuo? Che domin t'importa egli il volere disputare del parlare? Tu non dovevi finire mai più, acciò ch'io avessi a stare con questa calza tutt'oggi in mano, e che 'l serviziale si freddassi e che costoro non ricevessino la mità de l'argomento.

ISTR. PROL. Tu hai ragione; tamen io voglio sapere, quanto ad un certum quid, che erbe sono in cotesto cristero, perché se tu ci avessi messo 'snelle', 'frondi', 'ostro', 'sereno', 'campeggianti rubini', 'morbide perle' e 'terse parole' e 'melliflui sguardi', e' sono sì stitichi, che non gli smaltirebbono gli struzzi, che padiscono e' chiodi.

ISTR. ARG. Io li ho messo la merda, sta' queto, e vedi farmi cotale argomento, e poi mi parla.

ISTR. PROL. Or comincia.

 




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