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Pietro Aretino
La cortigiana

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  • LA CORTIGIANA
    • ULTIMO ATTO DE LA CORTIGIANA
      • Scena quindicesima. Aloigia e Rosso.
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Scena quindicesima. Aloigia e Rosso.

 

ALOIGIA Egli è seco in camera e fremita come uno stallon ch'ha visto le cavalle, e sospira e piagne, fa inchini con tante 'signoria' che non ha tante la Spagna al seggio capuano, e gli promette di farla duchessa di Campo Salino e de' la Magliana.

ROSSO S'io me delettassi, arìa trattato da signore il padrone con farli la credenza! Ma ragionamo in sul saldo; quante limosine fai tu l'anno di questa sorte, che i traditori meritano anche peggio?

ALOIGIA Le migliaia ne faccio, e arìa faccenda a trovare le romanesche a ogni scempio! E forse ch'ogni villano ch'ha un poco di ciambellotto intorno, non fa el monsignore, e subito vuol ch'io gli conduca le gintildonne? E io con le fornare gli sfamo e son trapagata come fussino reine, goffi ribaldi! Ma che pensi tu?

ROSSO Penso che domani esco di tinello, se già la cosa non si scopre; e se la si scopre che sarà? Io ho fatto animo che son certo che merito le forche per l'assassinamento ch'io faccio al padrone, e non ci penso!

ALOIGIA Che omo terribile!

ROSSO Non mai conobbi altra paura a' miei dì, che del tinello.

ALOIGIA Adonque il tinello impaurisce un sì gran braccio?

ROSSO Se tu vedessi una volta apparecchiata una tavola in tinello e avessi a mangiare le vivande che vi son suso, tu moriresti di paura.

ALOIGIA Non mai più li attesi.

ROSSO Come tu entri in tinello, e si' di chi vuole, ti si presenta agli occhi una sì oscura tomba, che le sepolture son più allegre, e di state bollono per el gran caldo e di verno ti fanno aghiacciare le parole in bocca e con continuo fetore e sì fiero, che torrebbe l'odore al zibetto; e non vien da altro la peste, ché come se serrassino i tinelli, Roma sarebbe subito sanata dal morbo.

ALOIGIA Misericordia!

ROSSO La tovaglia è de più colori che un grembiule da dipintori e lavata nel sevo de le candele di porco che avanzarono la sera; ancora che 'l più de le volte si mangia al buio, e con pane di smalto, senza potersi mai nettare né bocca né mani, si mangia de la madre di San Luca a tutto pasto.

ALOIGIA Donque si mangia de la carne de' santi?

ROSSO E de' Crocefissi! Ma io dico la madre di San Luca, perché se dipinge bue e la madre è una vacca.

ALOIGIA Ah, ah, ah!

ROSSO E quella vacca è più vecchia che l''imprincipio', cotta sì manigoldamente che farìa fuggire la fame a l'astinenzia.

ALOIGIA Se doverìan vergognare!

ROSSO Mattina e sera, sempre de la medesima vacca, e fa un brodo che la liscia sarebbe uno zuccaro.

ALOIGIA Eh, eh!

ROSSO Non vomitare, che c'è peggio: cavoli, navoni e cucuzze, sempre in minestra; dico quando si getton via, altrimenti non ci pensare! È vero che ci ristorano e' frutti doi tagliature di provatura che ci fanno una colla in su lo stomaco che ammazzaria una statua.

ALOIGIA Iesus!

ROSSO Mi ero scordato la Quaresima. Odi questa: tutta la Quaresima, ci fanno digiunare. Forse che la mattina ci tratton bene? Quattro alice o diece sarde marce e vintecinque telline che fanno disperare la fame, che per stracchezza si sazia, e una scodella di fave senza olio e senza sale, poi la sera cinque bocconi de pane che guastarebbono la bocca a' satiri.

ALOIGIA Oh, oh, oh, oh! che ribalderia!

ROSSO Vien poi la state, che l'omo appetisce i luoghi freschi, e tu entri in tinello dove ti assalta un caldo creato in quelle sporcherie d'ossame coperte di mosche, che spaventaria la rabbia, non che l'appetito. El vino di poi ti ristora? Per mia fe' che è meno stomachevole una medecina! È adacquato di acqua tepida, stata un giorno in vaso di rame, che penso l'odore del vaso ti conforta tutto.

ALOIGIA Lordi, gagliofli!

ROSSO Accaderà in cento anni fare un banchetto, e ci avanza colli, piedi e capi di pollami e altre cose de quali c'è dato parte; ma sonsi prima da tante mani annoverate, che doventano più succidi che non è la cappa di Giuliano Leni su da collo; quanto c'è di buono [è] la galanteria degli ufficiali tutti sfranciosati e tignosi; e se 'l Tevere gli corressi dietro, non sarìano per lavarsi le mani. Ma vòi vedere se stiamo male? Le mura sempre piangono, ché pare gl'incresca la miseria de chi vi mangia.

ALOIGIA Tu hai mille ragioni d'avere paura de' tinelli.

ROSSO Veneri e sabati sempre ova marce, e con più miseria che se le fussero nate allora allora. E quel che ci fa più renegare Iddio, è la indescrezione de lo scalco, che a pena avemo fenito l'ultimo boccone, che ci caccia col despettoso suono de la bacchetta, e non vuol mai che finiamo il pasto con le parole, poiché col cibo non è possibile.

ALOIGIA E forse ch'ognuno non corre a Roma per acconciarsi? O che crudeltà son queste? Ma ascolta!...

Oh sventurati, oh disfatti! Romore è in casa mia! Sempre n'ho avuto paura! Ohimè, ruinati siamo! Lasciamo ire. A vedere che cosa è.

 

 




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