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Mons. Charles Schleck, CSC
La vita consacrata nella "missio ad gentes"

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IV. Problematica che incide oggi nella Vita Consacrata nei territori di missione

Questi vari cambiamenti - psico-sociologici, ecclesiastici - come pure quelli che incidono con maggiore immediatezza sulla Vita Consacrata stessa, hanno sollevato anche problemi nei territori di missione. E vorrei adesso soffermarmi su alcuni dei problemi più importanti presentati all'attenzione del Dicastero della Missione. Non pretendo presentare tutti questi campi problematici, ma solo quelli che sono stati posti all'attenzione del Dicastero della Missione con una certa regolarità.

    La Teologia della Salvezza. Ci sono certe idee o nozioni o interpretazioni, convinzioni, insegnamenti che non sono del tutto chiari riguardo alla "Teologia della Salvezza" e che hanno condizionato la vita e l'attività missionarie di questi Istituti e Società. Vorrei dare brevemente alcuni esempi di queste idee o nozioni o interpretazioni, ecc.
      Cristo non è più considerato come l'unico Salvatore di tutti gli esseri umani. La maggior parte di voi sa che questa tendenza da parte di alcuni autori ha sollevato dibattiti, è stato argomento di simposi internazionali e spinto diversi autori a scrivere articoli e libri su questo problema, specialmente tra gli anni '80 e '90. Per dare una risposta a questo fatto, il Santo Padre, nella sua Enciclica del 1990 "Redemptoris Missio" ha cercato di presentare in modo chiaro gli insegnamenti di Cristo riguardo al tema considerato. A questa enciclica hanno fatto seguito nel 1995 una serie di "Istruzioni Catechistiche" impartite dallo stesso Santo Padre durante le sue udienze settimanali nella prima metà dell'anno. Ed il Papa è ritornato su questa questione in varie occasioni di nuovo, per esempio in un discorso del 4 febbraio del 1998, intitolato "Cristo, l'unico Salvatore". Oggi, inoltre, ed in vari modi, ci sono difficoltà circa l'interpretazione del principio, presentato anche da sua Santità in una delle sue istruzioni catechistiche settimanali da lui iniziate nel 1995, quando ha ricordato ai fedeli che il cammino della Salvezza è unito essenzialmente al Mistero della Chiesa. Il Santo Padre è profondamente consapevole della necessità di dover spiegare con attenzione questa verità, con la sua terminologia propria e le proprie sfumature, ma ha insistito dicendo che l'espressione "extra ecclesiam nulla salus" conserva la sua verità anche oggi, ma doverosamente intesa (RM 9, Catechesi missionaria, 31 maggio del 1995). E di nuovo si ha l'impressione o l'opinione - forse persino il convincimento da parte di alcuni - che qualsiasi religione e ciascuna di esse possono essere un modo valido per ottenere la salvezza. È da qui che l'urgenza di proclamare e di convertirsi si è debilitata in un certo senso nella mente di alcuni missionari.

Tutti questi interrogativi che riguardano la funzione di Cristo, della Chiesa e della religione, a volte, e in diverso modo, hanno fatto sorgere dubbi e confusioni sia nei riguardi della necessità stessa di Istituti missionari "ad vitam" sia circa la necessità di Istituti che hanno pensato o stanno pensando di accogliere l'attività missionaria "ad gentes" tra le loro attività apostoliche, di impegnarsi in attività missionarie nel senso dell'evangelizzazione diretta e di predicare il Vangelo o la fondazione della Chiesa. Inoltre, in alcune istanze, la nostra attenzione è stata attirata sul fatto che alcuni Istituti hanno gruppi e situazioni in cui il Vangelo e la Chiesa sono o assenti o insufficienti, e dirigono sempre più i loro sforzi verso diverse forme di dialogo interreligioso, attività ecumenica e promozione umana o progetti di sviluppo più che verso l'evangelizzazione diretta, anche se non escludono questo tipo di attività missionaria. E questo senza tenere conto del fatto che il Vescovo li ha invitati ad andare nella diocesi per dedicarsi alla prima evangelizzazione o per diffonderla, o nella sue fasi iniziali in un contesto geografico determinato, e come parte integrante dell'attività pastorale diocesana.

    Ancora una volta, il rapporto della CEP con i vari Istituti Missionari di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica hanno rivelato difficoltà riguardo al loro carisma, difficoltà sorte tra loro e le attività apostoliche che i Vescovi locali avevano chiesto di svolgere ed hanno causato una certa diminuzione della disponibilità dei loro Istituti, del desiderio e del loro carisma di fondazione ad impegnarsi in un'attività veramente missionaria "ad gentes". Per esempio, vediamo che a questi Istituti i Vescovi locali chiedono di assumere la responsabilità di parrocchie ed opere già fondate nella diocesi o per incarichi relativi alla guida più efficace di certe strutture ed uffici diocesani nella Curia diocesana od in centri di attività pastorale. È comprensibile che questi compiti vengano affidati a missionari nelle prime fasi dell'esistenza di una diocesi, ma andando avanti nel tempo queste attività dovrebbero svolgerle i sacerdoti diocesani locali, permettendo così agli istituti missionari di impegnarsi nella loro opera carismatica dell'annunzio ed al radicamento del Vangelo tra "gruppi ed ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale" (RM 34). Così è possibile seguire le direttive impartite agli Istituti missionari nel Documento Conciliare "ad gentes" dove si parla del passaggio di territori dall'"Ius Commissionis" al status di una diocesi con le sue strutture abituali: "Cessando il mandato sul territorio, si determina una nuova situazione. Allora le Conferenze Episcopali o gli Istituti devono emanare di comune accordo le norme che regolino i rapporti tra gli Ordinari dei luoghi e gli Istituti. Tocca però alla Santa Sede fissare i principi generali, in base ai quali devono essere concluse le convenzioni in sede regionale o anche quelle di carattere particolare.
    "Anche se gli Istituti sono pronti a continuare l'opera iniziata, collaborando nel ministero ordinato della cura d'anime, bisognerà tuttavia provvedere, man mano che cresce il clero locale, a che gli Istituti compatibilmente con il loro scopo, rimangano fedeli alla Diocesi stessa, impegnandosi generosamente in opere di carattere speciale o in una qualche regione
    (AG 32), e noi possiamo aggiungere che ciò è connesso con la missione "ad gentes". (AG 32)

In un commento illuminante su questo oggetto scritto da Suso Brechte nel quarto volume della serie Herder&Herder dei Commenti sui Documenti del Concilio Vaticano II (1969) pp.166-167, l'autore indica, da un punto di vista giuridico, che ci sono due posizioni assai diversi nei riguardi delle missioni. Un territorio di missione può essere affidato ad un Istituto missionario (o anche ad una Chiesa o diocesi particolare) secondo il così detto "ius Commissionis", o la Chiesa giovane particolare in un momento determinato della sua crescita e maturazione, può essere innalzata allo status di diocesi e soggetta ad un Vescovo nativo del luogo. Quando il territorio viene affidato ad un ordine religioso, l'Istituto missionario accetta l'obbligo di dedicarsi con tutte le sue forze alla predicazione della Fede, inviando personale missionario formato, condividendo gli oneri finanziari, obbedendo alle autorità missionarie responsabili (Prefetto Apostolico o Vicario o Superiore Ecclesiastico - nel caso di una "missio sui iuris") e lavorando deliberatamente a favore dello sviluppo della "Missio" o Prefettura o Vicariato di una Chiesa particolare indipendente (diocesi). (Propaganda Fide ha dato istruzioni su questa situazione nel 1919, cfr. AAS 22 1930-111-115). "Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la gerarchia regolare si è inserita gradualmente nella maggioranza dei territori missionari e molte diocesi sono in mano a Vescovi del luogo" (S. Brechten, loc.sit.p.166).

Nell'istanza anteriore ("Ius Commissionis") il Prefetto Apostolico o Vicario o Superiore Ecclesiastico era il rappresentante del Papa, un inviato della Congregazione per la Propagazione della Fede, ed un delegato di un Istituto Missionario. Non aveva poteri diretti, ma solamente un'autorità delegata. Il Vescovo diocesano, d'altro canto, è colui che detiene regolarmente la giurisdizione con la responsabilità personale di predicare il Vangelo nella sua diocesi, in virtù della sua consacrazione e nomina. È il capo di una Chiesa particolare in comunione con la Chiesa universale ed il Vescovo di Roma, ed esercita il suo potere in nome e da parte di Cristo. Possiamo vedere, quindi, che in questo "passaggio" la responsabilità e l'obbligo di proclamare il Vangelo in un territorio particolare è passato da un Istituto missionario al Vescovo diocesano e così l'Istituto missionario si è visto liberato dei suoi obblighi giuridici per quanto riguarda la responsabilità del territorio. È necessario stipolare nuovi accordi, ma i partners non sono più Propaganda Fidae e l'ordine religioso, bensì il Vescovo diocesano e l'Istituto missionario" (op.cit.pp.166-7).

Questa mutata situazione tra gli Istituti missionari e la CEP è diventata più complessa anche per il fatto che la Costituzione Apostolica del Papa Giovanni Paolo II, "Pastor Bonus" relativa alla Curia Romana ed alle varie competenze dei diversi Dicasteri pubblicata il 28 giugno del 1988 ed in vigore dal 1 marzo 1989, rimuoveva dalla giurisdizione diretta della CEP tutti gli Istituti religiosi di diritto pontificio e di diritto diocesano, anche quelli che hanno una finalità esclusivamente missionaria, e li colloca sotto la giurisdizione diretta o per lo meno ultima della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, per tutto quanto si riferisce alla loro vita e strutture interne (PB 90, par.1). Ma per quanto riguarda la loro attività missionaria nei territori della CEP, questo Dicastero gode di una certa competenza tra di essi. (PB 90,1) L'unica eccezione a questa regola generale si riferisce alle Società Missionarie di Vita Apostolica che hanno una finalità esclusivamente missionaria. Attualmente le Società di diritto pontificio di questo tipo sono 15 e continuano ad essere sotto la giurisdizione della CEP per quanto riguarda anche alla vita interna ed alle strutture. Comunque, in queste Società l'attività missionaria in una diocesi è soggetta al Vescovo diocesano locale.

Mentre il trasferimento di tutti gli Istituti di Vita Consacrata dalla CEP alla CIVCSVA, anche di quelli che hanno una finalità esclusivamente missionaria, tocca la loro dipendenza giurisdizionale, è facile immaginare che incide su di essi anche dal punto di vista psicologico, poiché la tendenza è quella di presentare i vari problemi e difficoltà che si hanno all'Ufficio della Curia Romana da cui l'Istituto dipende, più che alla CEP da cui dipende l'attività missionaria nelle diocesi sotto la giurisdizione, a meno che il problema riguardi l'attività missionaria. In questo caso la CEP, che ha giurisdizione sull'attività missionaria ed il Vescovo diocesano, può agire da mediatrice e giudicare il caso.

È possibile quindi dire che questo trasferimento di giurisdizione indicata dalla Costituzione Apostolica "Pastor Bonus" del 1988, non ha aiutato a cementare ed aumentare gli stretti legami stretti tra la CEP e, specialmente, gli Istituti missionari, che esistevano prima, e non sembra essere servita ad intensificare l'impegno esclusivamente missionario di questi Istituti.




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