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P. Marcello Zago, OMI
Probl. e prosp. comuni a tutti gli ist. di vita cons. nella m. ad gentes

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2. DALLE PROBLEMATICHE ALLE PROSPETTIVE

Certe tensioni all'interno degli Istituti missionari e tra Istituti e Chiese locali sono reali e fanno parte della vita che cambia. Bisogna però riconoscere che il bilancio della vita delle Chiese locali e degli Istituti di vita consacrata è molto positivo e promette bene per l'avvenire. La vita consacrata nei paesi di missione sta crescendo in numero e in qualità; promette di incidere favorevolmente nella vita degli Istituti e della Chiesa locale e universale. Ci sono certamente delle sfide e dei problemi. Per superarli in modo positivo e fecondo mi pare che si deve rispondere a cinque sfide con cinque atteggiamenti di fondo.

2.1 Riconoscere i cambiamenti e discernere ciò che viene dallo Spirito.

Molte difficoltà vengono dal fatto che non si accettano i cambiamenti oggettivi avvenuti in questi anni. Occorre adattarsi a un mondo che cambia e rispondere alle nuove sfide, con discernimento ma anche senza preclusioni. È questo mondo concreto che il Signore ama e al quale ci invia per compiere la missione. L'enciclica missionaria è di esempio; ha dedicato il capitolo IV alla missione che cambia: è partendo dalle mutate situazioni che si colgono le sfide e emergono prospettive nuove.

2.2 Teologicamente camminare con la Chiesa e il suo magistero

La Chiesa è un corpo vivo, che cresce e si rinnova. Lo Spirito infatti è il protagonista della vita e della missione della Chiesa. In essa i cambiamenti non sono un nuovo inizio radicale, che cancella la vita precedente. Le novità fanno parte della crescita e si integrano nella vita esistente. La Chiesa cresce nella vita e nella coscienza di , anche se il cammino non è sempre rettilineo. L'enciclica missionaria ha cercato di cogliere le novità riguardanti la missione, integrandole nella fede vissuta. Tra queste si possono ricordare la comprensione della salvezza in Cristo, della Chiesa e del Regno, della missione e delle sue attività, della natura e del ruolo della vita consacrata.

I) la salvezza in Cristo

Ciò che ha sconvolto di più l'impegno della missione è stata una confusione diffusa sul concetto di salvezza. La libertà di coscienza, il rispetto per le persone, religioni e culture, il dialogo e la promozione umana hanno oscurato in molti il concetto di salvezza in Cristo e il ruolo della Chiesa in essa. Per questo Giovanni Paolo II ha trattato della salvezza in Cristo nel primo capitolo della Redemptoris Missio. Cristo unico salvatore e mediatore, espressione definitiva e completa della rivelazione (cf RM 4-6), offre una radicale novità di vita a chi lo accoglie (cf RM 7) e allo stesso tempo raggiunge ogni uomo di buona volontà offrendo la sua salvezza (cf RM 1O). Per questo la Chiesa e ogni discepolo di Cristo non possono esimersi dal testimoniare il messaggio di Cristo (cf RM 11), rispettando la libertà delle persone e i valori delle culture (cf RM 8).

II) Chiesa e Regno

La riflessione sulla Chiesa è stata centrale nella riflessione del Vaticano II. Basti pensare alle due Costituzioni Lumen Gentium e Gaudium et Spes, che formano il punto di partenza degli altri documenti conciliari. La Chiesa è vista come mistero, come comunione e come missione. Nata dalla Trinità, ha per vocazione di vivere questa vita divina e di trasmetterla a tutta l'umanità.

Il Concilio ha messo le premesse per approfondire i legami tra Chiesa e Regno, tema centrale della Buona Novella del Cristo. Giovanni Paolo II vi ha dedicato il secondo capitolo della sua enciclica. In tale contesto il Regno di Dio è inteso nelle sue cinque accezioni o dimensioni: è il progetto d'amore del Padre per l'umanità intera (cf RM 12), è la realtà che Gesù annuncia e realizza pienamente nella sua persona (cf RM 13-16, 18), è realtà che si fa presente nella Chiesa pur senza identificarsi con essa (cf RM 18), può essere presente oltre i confini ecclesiali (cf RM 19-20), è orientata alla pienezza escatologica (cf RM 20). Le diverse dimensioni sono legate e "la dimensione temporale del Regno è incompleta se non è coordinata col Regno Di Cristo, presente nella Chiesa e proteso alla pienezza escatologica. Le molteplici prospettive del Regno di Dio non indeboliscono i fondamenti e le finalità dell'attività missionaria, ma piuttosto li fortificano ed allargano. La Chiesa è sacramento di salvezza per tutta l'umanità, e la sua azione non si restringe a coloro che ne accettano il messaggio" (RM 2O). Il Regno di Dio nelle sue diverse dimensioni è l'orizzonte della missione.

Altro elemento essenziale della ecclesiologia del Vaticano II è il suo carattere missionario. La Chiesa è per sua natura missionaria, afferma il Concilio (LG 2, AG 2). E ciò appare fin dagli inizi tramandatici dagli Atti degli Apostoli (cf RM 26-27). "Quanto fu fatto all'inizio del cristianesimo per la missione universale conserva la sua validità ed urgenza anche oggi. La Chiesa è missionaria per sua natura, poiché il mandato missionario non è qualcosa di contingente e di esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa. Ne deriva che tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa è inviata alle genti" (RM 62).

La comunione interna delle Chiese locali non deve far perdere lo slancio missionario verso l'esterno (cf RM 49, 62), rendendosi coscienti che le Chiese locali non esistono ovunque (cf RM 37) e che i popoli e i gruppi non toccati dal vangelo rimangono numerosi (cf RM 3, 4O) e i bisogni missionari immensi(cf RM 30, 35, 86).

III) Il Protagonista e i collaboratori

Lo Spirito Santo è il protagonista della missione. Questo tema del capitolo terzo non sostituisce e non indebolisce l'impegno missionario della Chiesa, ma lo mette nella sua giusta perspettiva. Certamente è lo Spirito che la forza per attuare il mandato (cf RM 22-23), che guida la missione (cf RM 24-25), che rende missionaria tutta la comunità ecclesiale (cf 26-27), che precede l'attività stessa della Chiesa perché è presente e operante in ogni tempo e luogo (cf RM 28-29). Della chiesa fa la sua collaboratrice (cf RM 9 ) e dei missionari i suoi collaboratori ( cf RM 23,36 ). Quindi esige disponibilità e santità di vita (cf RM 87). " Si è missionari prima di tutto per ciò che si è prima di esserlo per ciò che si dice e si " (RM 23), all'esempio di Cristo stesso (cf RM 13). "L'universale vocazione alla santità è strettamente collegata alla universale vocazione alla missione: ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione" (RM 9O). "Il vero missionario è il santo" (ib). "Tale cooperazione si radica e si vive innanzitutto nell'essere personalmente uniti a Cristo: solo se si è uniti a lui come il tralcio alla vite si possono produrre buoni frutti" (RM 77). Ed è lo Spirito che forma in noi il Cristo (cf RM 87).

Tutta la Chiesa Popolo di Dio è responsabile della missione e ogni sua comunità (cf RM 26-27). "All'inizio della Chiesa la missione ad gentes, pur avendo anche missionari a vita che vi si dedicavano per una speciale vocazione, era di fatto considerata come il frutto normale della vita cristiana, l'impegno per ogni credente mediante la testimonianza personale e l'annuncio esplicito, quando possibile" (RM 27). Si faceva quasi per osmosi (cf RM 26,51). Nel pluralismo degli operatori della missione (cf RM cap VI), il primo responsabile della missione universale è il collegio episcopale (cf RM 63). Su piano locale il vescovo è responsabile e animatore non solo dei cristiani, ma anche dei non cristiani del suo territorio (cf RM 63-64)

Oggi gli Istituti di vita consacrata e in particolare i missionari non possono operare senza l'accettazione teorica e pratica che ogni Chiesa locale è per sua natura missionaria, sia all'interno dei suoi confini geografici come in rapporto al proprio paese, al continente e al mondo.

IV) Natura finalità e urgenza della missione

Uno degli aspetti che angustia dei missionari è il concetto stesso di missione ad gentes. La Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli per esempio si definisce ancora secondo una delimitazione territoriale, di cui l'enciclica una sua interpretazione. "Nei territori affidati a queste Chiese... ci sono vaste zone non evangelizzate: interi popoli e aree culturali di grande importanza in non poche Nazioni non sono ancora raggiunte dall'annunzio evangelico e dalla presenza della Chiesa locale" (RM 37a).

Ma nell'enciclica il testo chiave si trova ai numeri 33-34, nei quali si distinguono dal punto di vista dell'evangelizzazione tre situazioni: una situazione pastorale per i cristiani, una di nuova evangelizzazione per coloro che non sono più cristiani, e una di missione ad gentes per coloro che non hanno mai ricevuto il vangelo. "I confini non sono nettamente definibili e non è pensabile creare tra di esse barriere e compartimenti". Anche se l'unica missione della Chiesa si differenzia secondo le situazioni, "senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della Chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare. "Da notare che situazioni di missione ad gentes a gruppi non cristiani possono trovarsi anche in paesi tradizionalmente cristiani (cf RM 82).

La finalità della missione ad gentes è triplice: "si caratterizza come opera di annunzio del Cristo e del Vangelo, di edificazione della Chiesa locale, di promozione dei valori del Regno" (RM 34). Questa triplice finalità è sviluppata nel contesto delle precisazioni sul Regno (cf RM 17-2O). Questo allargarsi delle finalità ha conseguenze importanti, perché ci può essere vera missione anche quando si possono promuovere solamente i valori del Regno (cf RM 2O,57).

Di richiami sull'urgenza della missione è piena l'enciclica: a causa della novità cristiana ( cf RM 7), perché la fede si rafforza dandola (cf RM 2), perché incide sulla salvezza delle persone (cf RM 31), perché è il dovere primordiale della Chiesa (cf RM 9). È un compito immenso (cf RM 35, 37, 4O), per i quale "non possiamo restarcene tranquilli" (RM 86).

V) Attività complementari per l'unica missione

Per la comprensione della missione è importante anche richiamare le vie o le attività con le quali si espleta la missione stessa. Ad esse è dedicato il capitolo V. "La missione è una realtà unitaria, ma complessa e si esplica in vari modi, tra cui alcuni sono di particolare importanza nella presente condizione della Chiesa e del mondo" (RM 41). Si sviluppano così i temi della testimonianza (cf RM 42-43), del primo annunzio (cf RM 44-45), della conversione e del battesimo (cf RM 46-47), della formazione delle Chiese locali (cf RM 48-5O), delle comunità ecclesiali di base (cf RM 51), dell'inculturazione (cf RM 52-54), del dialogo interreligioso (cf RM 55-57), della promozione umana (cf RM 58-59).

Queste diverse attività o vie possono essere viste in rapporto alle tre finalità della missione. Ognuna di esse è parte della missione e può giustificarla pienamente, in caso che le altre forme siano ostacolate. La libertà religiosa dovrebbe permetterle tutte e la pianificazione pastorale dovrebbe tenere conto di tutte.

Ci sono due principi importanti nella presentazione delle attività missionarie. Il primo riguarda la loro gerarchia almeno teorica, che all'annuncio il primo posto. "Tutte le forme dell'attività missionaria tendono verso questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero nascosto nei secoli e svelato in Cristo, il quale è nel cuore della missione e della vita della Chiesa, come cardine di tutta l'evangelizzazione. Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce nel mistero dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui ed apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, ed ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di ciascun fedele a tale annunzio. Come l'economia salvifica è incentrata in Cristo, così l'attività missionaria tende alla proclamazione del suo mistero" (RM 44).

Il secondo principio è il criterio della carità, che conclude il capitolo sulle vie della missione. In ultima analisi è il discernimento della carità che deve spingere alle scelte concrete. "L'amore che è e resta il movente della missione, ed è anche l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono" (RM 6O).

VI) Vita consacrata nella Chiesa

I Sinodi degli ultimi dieci anni hanno messo in luce gli stati del Popolo di Dio: i laici, i sacerdoti, i consacrati. Partecipando allo stesso Corpo ecclesiale tutti essi hanno compiti distinti e complementari tanto all'interno della Chiesa come al suo esterno.

Nella teologia di comunione riconosciuta dal Sinodo straordinario del 1985 come la linea di fondo del Concilio è emersa anche la realtà dei carismi. Essi possono essere istituzionalizzati come nella gerarchia e nel sacerdozio, possono essere personali o anche comunitari. Così uno dei criteri che meglio definisce la vita consacrata è quello del carisma.

La vita consacrata è nel suo insieme per la chiesa un carisma, un modo di essere suscitato dallo Spirito e a servizio del Popolo di Dio. Ma anche ogni Istituto di vita consacrata ha un suo carisma, suscitato dallo Spirito e che si esplica nelle diverse modalità di spiritualità, di missione, di vita fraterna, di organizzazione.

Questa realtà dei carismi specifici e complementari propri della vita consacrata ha ripercussioni nell'inserimento missionario. L'enciclica missionaria sottintende questa visione. "Nell'inesauribile e multiforme ricchezza dello Spirito si collocano le vocazioni degli Istituti di vita consacrata ... La Chiesa deve far conoscere i grandi valori evangelici di cui è portatrice, e nessuno li testimonia più efficacemente di chi fa professione di vita consacrata nella castità, povertà e obbedienza, in totale donazione a Dio e in piena disponibilità à servire l'uomo e la società sull'esempio di Cristo" (RM 68).

Evidentemente il contributo specifico dei carismi è meglio riconosciuto nella esortazione apostolica Vita Consacrata. "La vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa, come elemento decisivo alla sua missione"(VC 3). Ogni forma di vita consacrata ha una dimensione missionaria (Cf VC 72). Tre sono gli elementi costitutivi della missione della vita consacrata: la consacrazione (cf VC 18, 25, 26-27), la missione specifica (cf VC 72), la vita fraterna in comune (cf VC 21, 5O-51). Si inserisce nella Chiesa particolare, dando il proprio contributo specifico. "L'indole propria di ciascun Istituto comporta uno stile particolare di santificazione e di apostolato, che tende a consolidarsi in una determinata tradizione, caratterizzata da elementi oggettivi" (VC 48). Certo il carisma non è qualcosa di statico. "Gli Istituti sono dunque invitati a riproporre con coraggio l'intraprendenza, l'inventiva e la santità dei fondatori e delle fondatrici come risposta ai segni dei tempi. Questo invito è innanzitutto un appello alla perseveranza nel cammino di santità attraverso le difficoltà materiali e spirituali che segnano le vicende quotidiane. Ma è anche appello a ricercare la competenza nel proprio lavoro e a coltivare una fedeltà dinamica alla propria missione, adattandone le forme, quando è necessario, alle nuove situazioni e ai diversi bisogni, in piena docilità all'ispirazione divina e al discernimento ecclesiale" (VC 37). Il discernimento ai segni dei tempi è sottolineato (cf VC 73, 79, 81). È lo Spirito che "chiama la vita consacrata ad elaborare nuove risposte per i nuovi problemi per il mondo di oggi" (VC 73).

La vita consacrata ha un contributo speciale alla missione ad gentes e da essa è rafforzata (cf VC 78). La vita contemplativa ha un ruolo speciale (cf RM 69, VC 78) A tutti gli Istituti si aprono i campi sia dei servizi evangelici sia la risposta alle sfide dei tempi, che costituiscono degli areopaghi (cf VC 96-103, RM 37-38). Nella scelta concreta gli Istituti devono tenere conto delle sfide odierne rispondendovi secondo il proprio carisma nel discernimento (cf. VC 73, 81).

Tutti i consacrati e le consacrate chiamati a vivere il loro carisma in un nuovo contesto hanno il dovere di inculturarsi, dandovi un contributo speciale grazie a ciò che operano secondo il carisma proprio (VC 80). Non è solo un processo personale. L'inculturazione spetta anche agli Istituti, specie nelle loro suddivisioni provinciali. Le circoscrizioni quali le province non devono essere solo in Africa e in Asia, ma devono diventare africane e asiatiche nel rispetto e nell'uguaglianza di tutti i membri.

A mo' di conclusione di questa parte direi che per collaborare alla missione nelle Chiese in modo efficace è necessaria una solida visione missiologica, sia da parte dei membri degli Istituti di vita consacrata che da parte dei vescovi.

2.3 risvegliare il senso missionario

Una delle sfide maggiori per tutta la Chiesa è risvegliare il senso missionario, assumere le motivazioni autentiche per dedicarvisi, trovare forme concrete di realizzazione. Questo è stato lo scopo dell'enciclica Redemptoris Missio; è una delle preoccupazioni maggiori del Papa. Lo esige la situazione del mondo, dove il numero dei non cristiani aumenta anche proporzionalmente. Lo esige la natura stessa della Chiesa, di ogni Chiesa e di ogni comunità cristiana. Solo se la Chiesa è missionaria in senso forte, nei confronti dei non cristiani, è autentica. Questo è il mandato principale che il Signore le ha affidato (cf RM 22-23). "La missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola. La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale" (RM 2).Questo è il primo dovere delle Chiese e dei pastori ai diversi livelli, nel proprio territorio e a favore della missione universale.

Trasmettere il soffio missionario con tutte le sue esigenze è la grande sfida per gli Istituti missionari e per le Chiese locali. L'avvenire si gioca sulla missione. L'enciclica missionaria ricorda lo specifico contributo dei vari Istituti (cf. RM 69-70). A quelli per vocazione dediti alla missione ad gentes ricorda che essi rappresentano "il paradigma dell'impegno missionario per la Chiesa. Sono assolutamente necessari non solo per l'attività missionaria ad gentes, com'è nella loro tradizione, ma anche per l'animazione missionaria sia nelle Chiese di antica cristianità, sia in quelle più giovani" (RM 66)).

Per rispondere ai bisogni della missione ad gentes occorrono missionari provenienti da tutte le Chiese. Ciò rinvigorisce la vita delle Chiese stesse e promuove l'evangelizzazione dei popoli, che è il dovere principale della Chiesa. La promozione delle vocazioni missionarie incombe ai vescovi (RM 64) e a tutte le comunità (RM 79-80).

2.4 rispettare e favorire la varietà dei carismi

La Chiesa locale deve favorire l'identità e la varietà dei carismi. Non è costituita da uno dei tre stati in modo esclusivo, ma dalla loro complementarità. Una diocesi non è formata solo dal clero diocesano, ma da tutto il popolo di Dio che per vivere e crescere ha bisogno delle diverse espressioni.

La vita consacrata è una delle componenti essenziali per la vita e la missione della Chiesa. Siccome la vita consacrata ha espressioni diverse, è opportuno che la Chiesa locale coltivi almeno alcune sue forme, includendo quelle di vita contemplativa e quelle più specificamente orientate verso la missione per i non cristiani. Il rispetto dei carismi faciliterà un nuovo modo di fare la missione

Gli Istituti di vita consacrata nelle loro varie forme hanno un contributo speciale da dare alla evangelizzazione e in particolare alla missione ad gentes (VC 76-78). "Restando dinamicamente fedeli al loro carisma, essi, in virtù della più intima consacrazione a Dio, non possono non sentirsi coinvolti in una speciale collaborazione con l'attività missionaria della Chiesa" (VC 77). "La missione rafforza la vita consacrata, le nuovo entusiasmo e nuove motivazioni, sollecita la sua fedeltà" (VC 78).

I vari Istituti di vita consacrata devono essere rispettati e favoriti in tutti gli aspetti del loro carisma: la spiritualità, l'apostolato e la vita comunitaria. Per gli Istituti internazionali grande è la sfida di trasmettere il carisma fondazionale, affinché sia vissuto con fedeltà creativa e inculturata. Essi devono essere sostenuti anche dai pastori, che hanno la responsabilità di promuovere tutti gli stati del Popolo di Dio (cf VC 48-50).

2.5 nella comunione

La Chiesa, anche locale, è una, è un tutto, anche se ci sono stati diversi, carismi diversi. Tutto si tiene ed è complementare. Nel valorizzare le identità proprie specifiche occorre anche intensificare la collaborazione, soprattutto per rispondere alle sfide maggiori.

Oggi una di queste sfide è la formazione del clero diocesano, dei membri locali degli Istituti diocesani o internazionali, dei laici. Soprattutto attraverso una formazione solida si costruisce l'avvenire. Molti Istituti hanno iscritto nel loro DNA carismatico tale formazione, che devono rimettere in onore nella comunione con la Chiesa locale.

Altro contributo degli Istituti di vita consacrata è la costituzione di centri di spiritualità (cf VC 39, 93), anzi ogni comunità di vita consacrata dovrebbe essere una irradiazione di spiritualità (cf VC 55,57), di missionarietà (cf VC 42,47) e di comunione (cf VC 5, 41-42) con la testimonianza e con le opere (cf VC 76).

Conclusione

Problematiche e prospettive sono stati i temi affrontati. Si sarebbe potuto anche descrivere l'evolversi della vita e della missione degli Istituti di vita consacrata in seno alle Chiese locali e alla Chiesa universale. I segni positivi di speranza sono molteplici anche se il cammino da percorrere è sempre grande.




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