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Mons. Charles Schleck, CSC La vita consacrata nella "missio ad gentes" IntraText CT - Lettura del testo |
V. Alcune difficoltà che questi diversi cambiamenti hanno portato alla vita degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica
Con questa descrizione, anche se parziale, dei cambiamenti che incontriamo nel mondo in cui viviamo, possiamo procedere ad indicare alcune difficoltà che questo stato di cose ha portato alla vita degli Istituti di Vita Consacrata ed alle Società di Vita Apostolica.
1. Crisi delle vocazioni
Il problema continua ad essere di attualità, sia se si vuole descrivere il numero decrescente di persone che scelgono gli Istituti di Vita Consacrata o le Società di Vita Apostolica, o il fatto che ci siano meno vocazioni a disposizione degli Istituti, o il fatto che gli Istituti non le attraggono o non le cercano. In quelle parti del mondo in cui troviamo le "Chiese più vecchie", vediamo che c'è un numero minore di persone che scelgono questo stile di vita. Questo ha causato incapacità da parte degli Istituti Missionari e di altri che si impegnano nell'attività missionaria "ad gentes" nei territori "ad gentes" dove la Chiesa non è stata ancora fondata, o dove questa fondazione è ancora nella fase iniziale ed ha bisogno di una proclamazione più intensa della Buona Novella.
Il calo del numero di persone che entrano negli Istituti missionari è complicato dal fatto che il personale membro di questi Istituti sta invecchiando ed un numero considerevole di membri, per diverse ragioni, ritorna nel proprio paese di origine. Questa situazione ha causato altre difficoltà nella vita di questi Istituti.
Con la diminuzione delle vocazioni, questi Associati sono stati reclutati per svolgere attività missionaria diretta nei territori di missione, dopo un periodo di preparazione e dopo aver pronunciato una promessa di lavorare per un periodo di tempo determinato. Sono professori, direttori di progetti di sviluppo umano, persone che si occupano di assistenza sanitaria, etc. In alcuni casi, ciò nonostante, hanno cominciato a vivere ed a partecipare alla vita di comunità con i membri che fanno la promessa o i voti. Ma non sempre sono stati accolti da tutti. Poiché alcuni di questi Associati erano celibi o sposati, di ambedue i sessi e con possibilità di sposarsi, spesso la loro presenza nella comunità si è trasformata in fonte di non poche tensioni, poiché la distensione tra membri con voti o con promessa e membri associati non era chiara neanche relativamente a faccende interne dell'Istituto.
2. Difficoltà nella formazione iniziale e continua dei membri degli Istituti missionari
L'interpretazione non sempre chiara del posto di Cristo nella salvezza così come il primato del mandato della Chiesa di predicare il Vangelo a tutte le nazioni, e di affermare il mistero di Cristo ha avuto le sue ripercussioni sull'approccio che alcuni Istituti hanno dato ai programmi di formazione iniziale e permanente. Se Cristo non è l'unico Salvatore, e se le persone possono salvarsi fuori della Chiesa, e se le religioni possono essere dei mezzi validi di salvezza, perché l'urgenza del mandato missionario? Perché non essere soddisfatti semplicemente con la formazione o la preparazione per il dialogo interreligioso e le varie attività apostoliche relative alla promozione umana? La risposta a questo interrogativo ci viene dal Papa Paolo VI in Evangelii Nuntiandi, n.21,51,53 e dal Santo Padre attuale, nella RM 31-40; 65-66; 79-80.
3. Difficoltà che derivano dallo spostamento geografico nelle vocazioni e dalla fusione del vecchio personale che viene da una nazione o da una cultura avanzata, con nuove reclute che vengono dalle Chiese giovani nuove o fondate da poco.
Un altro problema sorto specialmente negli Istituti missionari, (ma anche in altri che si sono assunti da poco la finalità della missione "ad gentes") che hanno accettato reclute dai territori di missione tra i loro membri, è la costituzione di comunità locali composte da persone di continenti, razze, culture, formazione, età diversi e che intraprendono insieme un'attività missionaria. Poiché hanno lingue, costumi, rapporti familiari, modi di pensare e di fare diversi sono necessari costantemente un adattamento continuo, tolleranza gli uni con gli altri e la capacità di sacrificio personale. Dato che tali situazioni possono essere una fonte di molta tensione, è assolutamente essenziale una preparazione adeguata per affrontare queste condizioni di vita comunitaria ed apostolica. Molti Istituti missionari che hanno vissuto questa situazione possono dare sempre a quelli che ne sono ancora immuni, buoni consigli, per fare in modo che queste comunità siano efficienti dal punto di vista dell'attività pastorale che offrono alle Chiese locali e per essere testimoni visibili (martiri) della chiamata divina rivolta a tutti gli esseri umani di far parte dell'unico corpo di Cristo.
4. Difficoltà che derivano dai Rapporti mutati tra i Membri degli Istituti missionari ed i Vescovi diocesani
Ho menzionato prima che l'insediamento di gerarchie locali nei Territori di missione, ha cambiato il rapporto tra il Vescovo diocesano locale ed i membri degli Istituti missionari. Il Vescovo diocesano cura le varie attività della sua diocesi, mentre i membri degli Istituti missionari cercano di vivere fedeli al loro carisma, si occupano della prima evangelizzazione e di annunciare il mistero della Chiesa tra i gruppi e nei contesti dove il Vangelo e la Chiesa sono o assenti o insufficienti. Questo è stato spesso fonte di tensioni.
Per aiutare a superare questi malintesi, sono stati dati vari suggerimenti nei diversi documenti della Chiesa. Redemptoris Missio parla della necessità da parte degli Istituti missionari "ad vitam" di recuperare il senso della loro "vocazione divina speciale" manifestato in un impegno totale di evangelizzazione che coinvolge tutta la persona e la vita del missionario ed esige una dedizione senza limiti di energia o tempo (RM 65). Questi Istituti si impegnano a evangelizzare, che è il compito principale di tutta la Chiesa (AG 23), suo dovere e responsabilità. Esistono per la Chiesa e devono arricchirla con le loro caratteristiche particolari, secondo uno spirito ed una missione specifici. E i guardiani di questa fedeltà allo spirito fondatore sono gli stessi Vescovi (RM 66); Mutuae Relationes, 14b,39).
Questi Istituti sono ancora "assolutamente necessari" alla vita della Chiesa (AG, 27). Hanno una "validità permanente", poiché il mandato missionario della Chiesa è solo ai suoi inizi (RM, 1). Continuano ad essere i modelli dell'impegno missionario della Chiesa, che ha sempre bisogno di rinnovarsi nella sua dedizione totale e radicale, ed intraprendere attività nuove e coraggiose. Invece di sentirsi schiacciati da dubbi, malintesi, rifiuti o persecuzione dovrebbero rivivere la grazia e l'entusiasmo del loro carisma (RM 66). Oggi, questa è la prima grande necessità di questi istituti.
Il secondo aiuto di cui hanno bisogno tutti gli Istituti missionari per affrontare la tensione tra loro ed i Vescovi diocesani locali è il caso, enunciato nel Codice, in cui un Vescovo affida un lavoro ad un religioso. In questo caso è necessario un accordo tra il Vescovo ed il Superiore competente dell'Istituto. Questo accordo deve definire con chiarezza ed esattezza, tra l'altro, il lavoro da svolgere, i membri assegnati a farlo e l'impegno economico (CIC 681,§2).
Questo Canone è il frutto di una lunga esperienza. Nel 1969, il Dicastero missionario celebrò una Plenaria dedicata precisamente a questa questione: i rapporti mutati esistenti tra i Vescovi diocesani e gli Istituti religiosi missionari. Dopo l'esame dei risultati della Plenaria, la Congregazione pubblicò anche un "formulario suggerito" per contratti tra un Ordinario diocesano ed un Istituto Missionario. Ed in contratti erano di due tipi: 1) il semplice contratto tra un Istituto e l'Ordinario locale, come indicato nel CIC, Canone 681 §2, e 2) il "contratto mandato", "un incarico dato ad un Istituto dalla suprema autorità della Chiesa (in questo caso, la CEP) a richiesta del Vescovo, e l'accettazione di questa forma da parte dell'Istituto interessato, per collaborare con e sotto il Vescovo in una diocesi missionaria secondo i termini del contratto" (cfr. "Nuove Istruzioni" date dalla Sacra Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, Roma, 1969, pp.4-5, Estratto da "Bibliografia Missionaria, XXXII (1968), Enchiridion Vaticanum, vol 3, pp.474-487).
Questa forma di contratto "mandato" non esiste praticamente più. Poiché l'esperienza ha dimostrato che non era un sistema percorribile, data la crisi vocazionale sperimentata dagli Istituti missionari. Mentre il sistema di contratto semplice tra l'autorità competente di un Istituto nella diocesi ed il Vescovo diocesano locale è il sistema che ha funzionato e fa adesso parte del Diritto ecclesiastico, (Canone 682 §2).
Il "formato suggerito" del contratto semplice del 1969, comunque, è sempre più obsoleto, e se volete trovarne uno aggiornato, vi suggerisco quello pubblicato dal CISM (cfr. Notiziario CISM luglio-agosto 1986, n.25).
5. Difficoltà sperimentate dagli Istituti di Diritto diocesano
Un'altra difficoltà nei rapporti mutati descritti nella prima parte di questa conferenza deriva dalla situazione causata dalla proliferazione di Istituti di Diritto diocesano che si sono diffusi nei territori di missione durante gli ultimi anni a causa della rapida diminuzione delle Circoscrizioni ecclesiastiche fondate secondo il principio del "ius Commissionis", e la crescita rapida di gerarchie stabilite nei territori che dipendono dalla CEP. Alcuni Istituti missionari più che accettare reclute tra i loro ranghi, hanno preferito aiutare a fondare Istituti "locali", composti da persone riunite in "Pie Unioni" e che in pochi anni si sono definiti come Istituti di Diritto diocesano, le cui Costituzioni erano approvate dall'Ordinario locale, dopo essere state sottoposte alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli che le esaminava dando suggerimenti e facendo osservazioni. Anche se tutti gli Istituti religiosi, per quanto riguarda la loro vita interna, debbono ora far riferimento alla CIVCSVA (Pastor Bonus, 90§1; 105; 106§1) mediante un accordo questa ha chiesto alla CEP di fare il più possibile il lavoro preliminare, o attività che precede la nascita di questi nuovi Istituti, come un servizio a questo Dicastero, per i lunghi anni di esperienza che "Propaganda" ha avuto nella creazione di questi Istituti in territori di missione.
Dato che gli Ordinari diocesani locali non hanno più il tipo quel controllo che desideravano sugli Istituti Missionari di Diritto Pontificio, soprattutto quelli che erano responsabili dell'edificazione della Chiesa nei loro territori, hanno cominciato a fondare o "creare" Istituti di Diritto diocesano. La maggior parte di essi sono Istituti femminili, anche se ce ne sono di maschili, in maggioranza di Fratelli. Ci sono anche Istituti Secolari e Società di Vita Apostolica, molti di questi con uno scopo missionario. (In Nigeria, la Società Missionaria di San Paolo, la Società Missionaria Coreana, la Società Missionaria Filippina, la Società del Pilar, in India, ecc.). Alcuni di questi Istituti sono già presenti in varie diocesi, e forse possono arrivare ad essere Istituti di Diritto Pontificio del tipo delle 15 Società Missionarie di Diritto Pontificio che continuano a dipendere dalla CEP.
Comunque, questi Istituti Diocesani sono stati spesso fondati senza la dovuta preparazione e la formazione graduale e sperimentata di cui ogni creatura nuova ha bisogno per svilupparsi in buona salute. Le difficoltà che la CEP ha notato sempre in questi Istituti sono le seguenti:
Il risultato di queste difficoltà, che non sorprendono nessuno, è che un buon numero di queste Associazioni o Istituti non hanno mai prosperato, e di conseguenza il loro servizio alle necessità della Chiesa ed al piano pastorale diocesano, la testimonianza che la Vita Consacrata dovrebbe offrire alla Chiesa quale compito evangelizzatore primario non è quello che da loro ci si aspetterebbe (VC 76).
Cosa possono fare i Superiori Maggiori per minimizzare queste difficoltà degli Istituti diocesani?