2. Quello che Dio vuole da me
Non so indicare precisamente né il mese né
il giorno che mi seguì il fatto che sono per raccontare, so bene però che mi
seguì nei tre mesi anzidetti di luglio o agosto o settembre del 1807. Una
mattina dunque dei suddetti tre mesi mi portai alla chiesa di quei buoni padri,
dove feci la santa Comunione con molto fervore.
Il Signore mi degnò di grazia molto particolare, ricevette il mio spirito
una particolare unzione, che mi tenne tutta la giornata assorta in Dio. Il
giorno dopo pranzo, secondo il solito mi ero ritirata per fare orazione al mio
caposcale, come si è detto nei fogli passati, lo spirito fu sollevato da
particolare orazione. Nel tempo che l’anima mia si tratteneva in umili
sentimenti nel vedersi tanto sollevata, Dio viepiù l’andava innalzando,
fintanto che mi degnò della sua vicinanza. Nel tempo che sentivo per la sua
vicinanza un santo timore, annientavo il mio cuore, e, piena di rispetto e
venerazione, confessavo il mio nulla avanti alla sua tremenda maestà. Tutta
sbigottita se ne stava la povera anima mia per il timore; allora fu che da
sonora voce mi fu manifestato quello che Dio vuole da me nel corso della vita,
quante volte fedelmente corrisponda ai suo favori, mentre questo è il fine per
cui mi concede tante grazie e tanti favori.
L’anima mia restò tutta intimorita, quando le fu dichiarato quello che Dio
voleva da me, misera peccatrice. La voce venerabile che mi parlò non solo
incluse in me un santo timore, ma lo spirito restò affatto sbigottito, per il
rispetto di chi gli parlava. Fui sopraffatta da vivi sentimenti di umiltà, e
annientata in me stessa, stavo con somma attenzione per udire quello che Dio
era per manifestarmi. Questi furono gli accenti che pronunziò la veneranda
voce: «Io ti voglio tutta santa».
A questi autorevoli accenti caddi stramazzone sul suolo, stetti per molto
tempo prima di rinvenire, trovandomi che dagli occhi avevo tramandato un
profluvio di lacrime.
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