Passati i nove giorni, fui condotta in
altra isola, dove il mio spirito, per avere maggior disposizione, si sollevava
a Dio con replicati affetti di amore, si tratteneva in particolari esclamazioni
di vivi affetti verso il suo amorosissimo Signore.
Rimproverando la mia ingratitudine, mi rallegrava nella sua infinita
misericordia. Sopraffatto dall’amore, languiva il mio povero cuore, e lo
spirito desiderava ardentemente di arrivare a salire il Santo Monte, dove
speravo di arrivare a possedere il mio bene, il mio sommo amore.
Il Santo Monte era di rimpetto a quella isola dove io dimoravo, sicché i
miei sguardi erano sempre colà rivolti.
Quale appassionata amante, che non altro cerca che il suo oggetto amato,
così la povera anima mia, nella quiete che quivi godeva, era continuamente
rivolta all’eterno suo Bene; con dolci esclamazioni e infocati sospiri
desiderava il felice momento di potersi a lui avvicinare. L’ardente desiderio
di poterlo possedere mi teneva le intere giornate fuori di me stessa; in questo
tempo più del solito mortificavo la mia carne, con quotidiane discipline,
cilizio e lunghe orazioni, perfino a fare cinque e sei ore continue di
orazione, dove l’anima andava consumando il tempo della sua dimora nella
suddetta isola.
Siccome l’anima ammaestrata dallo Spirito del Signore, conosceva che il
tempo lungo che quivi dovevo trattenermi lo potevo con i replicati atti di
virtù e con lunghe e ferventi orazioni molto abbreviare, a questa notizia,
presi a mortificare più del solito il mio corpo, nonché il mio spirito,
tenendolo umiliato, annientato, confuso, con meditazioni tetre ed afflittive,
con continue lacrime di dolore di aver offeso il sommo Dio.
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