Molto particolare fu la carità che mi donò
il pietoso iddio verso i miei prossimi, mentre per sovvenirli non aveva alcun
riguardo, ma a costo di ogni mia fatica e incomodo procuravo di sovvenirli, con
la licenza della suocera, prendevo delle grascie che erano in casa, di ogni
genere come sarebbe di vino, di carbone, di porcina, di latticini, e tutto
davo, con il permesso della suddetta mia suocera, ai poveri.
Li visitavo infermi ai pubblici ospedali, facendo loro i letti, pulendo le
loro teste con pettinarle, votando i loro vasi immondi, e, per mortificarmi,
più volte appressavo a quelli la bocca, con somma mia ripugnanza e conati di
stomaco. Ma lo spirito dava coraggio al corpo, nel patire, gli diceva: «Mira,
deh, mira il Santo Monte: fino alla sommità di quello ascenderai, e ancor tu
parteciperai di quel Bene immortale. Patisci con pazienza, patisci
allegramente, patisci con azione di grazie. Dio sarà la nostra mercede».
Avvalorata da viva fiducia, prendevo più lena a patire, sicché senza alcun
riguardo mi esercitavo in certe mortificazioni ripugnanti alla natura, come
sarebbe lambire gli sputi altrui sul suolo, appressare la bocca ai vasi
immondi, con somma mia ripugnanza e con conati veementi di stomaco.
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