Nell’inverno lasciavo che il mio corpo
intirizzisse dal freddo, non permettendo mai di riscaldarsi; nell’estate lo
lasciavo soffrire gli ardori del caldo, non permettendogli mai alcun
refrigerio. Andavo ben coperta dai panni, e da questo i miei parenti prendevano
motivo di schernirmi e burlarmi e trattarmi da stolta; tenevo sempre le
finestre chiuse quanto più potevo, non bevevo mai fra giorno, a costo di
qualunque mia pena; il venerdì mi astenevo dal bere, in memoria di quella
ardentissima sete del buon Gesù, sicché dal giovedì fino al sabato al
mezzogiorno non bevevo neppure una stilla d’acqua.
Le mani erano mortificate da me con colpi di disciplina di ferro; le dita
le mortificavo con tenerle sotto le ginocchia; la lingua la mortificavo con lo
strascinarla in terra, segnando con questa molte croci; ma particolarmente una
fra le altre la facevo della lunghezza di mezza canna; mi trattenevo per lo
spazio di mezzo, o tre quarti d’ora, con la fronte per terra, umiliando me
stessa e adorando l’eterno Dio. Per lo spazio di buoni tre quati d’ora tenevo
le braccia in forma di croce e, per il timore che si piegassero per la
stanchezza, le legavo, perché stessero sospese in alto in forma di croce. Mi
esercitai per qualche tempo in queste mortificazioni, ma poi dalla obbedienza
mi furono proibite: il mio direttore dubitò che mi si guastasse la salute.
Tutto questo si praticava da me al solo fine di piacere al mio amorosissimo
Dio. Gli occhi li tenevo sempre bassi e modesti, né mai li lasciavo trascorrere
sopra di alcuna persona, particolarmente di sesso diverso. L’esercizio di
questa virtù mi costò moltissime burle e scherni e beffe, non solo dai parenti,
ma eziandio di altre molte persone. Mi esercitavo in casa in offizi bassi, come
sarebbe scopare, provvedere alla cucina legna e carbone, avendomi mia suocera
consegnato la dispensa e la cantina. Per scemare la fatica ai domestici, io mi
caricavo sulle proprie forze carichi molto gravosi di legna e carbone, ed altre
fatiche manuali, come sarebbe custodire il pollaio, misurare la biada per i
cavalli della carrozza, ed altre cose laboriose e vili che occorrevano in casa.
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