Una volta fui condotta dallo Spirito del Signore
in un amenissimo giardino, ma questo non era come sono i nostri giardini
sensibili, era tutto diverso. Veramente non ho termini di spiegare cosa sì
bella, ma alla meglio che potrò mi spiegherò. Fra le altre rarità, vi era una
fonte di acqua viva, così bella che non è possibile descriversi; basta dire che
in questa veniva simboleggiata la Triade Sacrosanta. Vi era un albero di
smisurata grandezza, così bello che non ha pari; vi era una luce molto
dissimile dalla nostra: questa sovrana luce trasformò il mio spirito sotto
l’immagine di bella colomba.
Mi trovai dunque, così trasformata, sopra il muro di questo vastissimo
giardino: guardo, e vedo il suddetto albero, che con l’amenità dei verdeggianti
suoi rami e con la bellezza dei suoi preziosi frutti mi invitava, in una
maniera quanto mai bella, speciosa per parte di intelligenza. Mi pareva che
sotto la figura di quell’albero mi si rappresentasse la umanità ss. di Gesù
Cristo, che mi invitasse a posarmi sopra dei verdeggianti suoi rami.
Prontamente obbedì la povera anima mia: promettendomi tutta la mia
sicurezza, mi invitava a formare il nido nei verdeggianti suoi rami. «Vieni»,
sentivo dirmi, «vieni bella colomba mia, vieni a formare in me il tuo nido.
Dentro profondo forame ti collocherò. Qui godrai la tua sicurezza».
Ai replicati inviti, l’anima mia spiccò il volo, distese le potenze
dell’anima a guisa di ali; da forza superiore fui leggiadramente sollevata e,
fatti tre giri nell’ampio giardino, in questo tempo Dio purificò il mio spirito
per mezzo di quella luce, che tramandava da ogni intorno vampe di sacro fuoco.
Posata che mi fui sopra il misterioso albero, fui introdotta dentro l’amoroso
forame. Sì, nell’amoroso cuore del mio amorosissimo Signore fu introdotta la
povera anima mia. Mio Dio, e come si possono spiegare i vostri distinti favori?
Provai nell’anima mia un bene tanto particolare che io non capivo più in me
stessa, e per essere affatto inesperta di questa scienza, e per essere le
soprannaturali unioni molto frequenti e molto sensibili.
Quando tornavo in me stessa, il corpo lo trovavo come incadaverito,
incapace affatto di ogni sensazione, sicché, quando, terminata l’orazione,
avevo necessità di farmi vedere dai miei parenti, nel vedermi così tonta e
stordita, mi beffavano, mi schernivano, disapprovando la mia condotta. Ma io,
non curando le loro beffe, proseguivo a godere la quiete, la pace che mi aveva
donato il mio Dio nell’orazione.
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