Prendo a raccontare una grazia, fra le
tante che io non ricordo, mentre in questi nove mesi che dimorai alle falde del
Santo Monte posso dire con verità, come è ben noto a vostra paternità, che il
mio spirito era quasi sempre assorto in Dio, in una maniera molto particolare.
Avevo quasi perduto del tutto la sensibilità, non curandomi più né di vedere,
né di parlare, né di operare; ma fisso teneva sempre lo sguardo in Dio, che
rapito mi aveva il cuore.
Più volte mi successe di non riconoscere neppure le proprie figlie; avevo
veramente perduto ogni sollecitudine, il mio intelletto era tutto perso,
occupato, assorbito in Dio, per le frequenti comunicazioni. Non passava giorno
che Dio non si degnasse di favorirmi con grazie molto particolari.
Una mattina, dunque, dopo la santa Comunione, fu trasportato il mio spirito
in una parte del Santo Monte, sopra una amena collina: questa era tutta
smaltata di vaghi fiori. In questo luogo Dio, per quanto ne sono capace, mi si
diede a conoscere per quel Dio di bontà che egli è, e, per mezzo di particolare
intelligenza, mi fece conoscere che gran bene sia il possederlo. Ricevuta
questa cognizione, l’anima mia si accese di santo amore, ma in una maniera che
io non posso descriverlo. Mi sentivo tutta trasformata in amore verso il mio
Dio: che cosa non avrei fatto per possederlo! Ero veramente per l’amore fuori
di me stessa: avrei dato mille volte la vita per poterlo possedere. Ora lo
spirito si slanciava rapidamente verso il suo amato Signore, mostrandogli la
gran necessità che aveva il mio povero cuore di amarlo; ora perdeva affatto la
forza e languiva di amore il povero mio cuore. Oh, quanta compiacenza mostrò il
mio Signore nel vedermi per amor suo così languire che, presa la figura di vago
fanciullo, mi prese ad interrogare se e quanto lo amassi io.
A queste sue parole, l’anima si accese di santo e puro amore. L’amabile
fanciullo, pieno di cortesia, alla vicina fonte condusse l’anima mia, e
leggiadramente salito sulla fonte fino alla sommità di questa, amorosamente mi
invitava a lavarmi e purificarmi; in quella preziosa acqua s’immerse, e
nell’immersione si trasformò in bella colomba di amore.
Il caro fanciullino di questa s’innamora, e per dimostrare a lei il suo
affetto, sollevò le mani al cielo e, tramandando da queste vivo sangue dalle
divine cicatrici delle sue divine mani e del venerabile suo costato, tramandò
vivo sangue dirigendo verso la colomba le tre vive sorgenti del suo parziale
amore, ne formarono a questa un salutare lavacro.
Ecco che la colomba, da candida che era, ne venne rubiconda e di celestiale
splendore apparve ricoperta, ma la sua bellezza non si può descrivere. Di
celestiale gaudio ripieno fu il mio cuore, la pace e la dolcezza assorta mi
tenevano, il Paraclito Spirito distese il suo splendore e di celestiale fuoco
mi circondava il cuore.
Oh, come in un momento si vide consumare la povera colomba dalle divine
fiamme che il divino spirito mandava da ogni intorno! Eccola, alla fine,
estinta in mezzo al sacro fuoco. Dopo essere stata per qualche momento estinta,
di nuovo tornò a percuotermi il celestiale splendore: da morte a vita richiamò la
povera colomba, che estinta se ne stava in mezzo al sacro fuoco. L’eterno Dio
nuova vita mi ridonò. Quale impressione fece nel mio cuore questa particolare
grazia non mi è possibile spiegare. Una totale rinnovazione di spirito mi parve
di provare, una vita quasi divina mi pareva di possedere, tanta era l’unione e
la partecipazione del bene che mi aveva comunicato l’eterno Dio. Questa grazia
mi tenne per molti giorni come estatica, poco e niente capivo. L’essere così
attratta mi rendeva oggetto di burla e di scherno, non solo ai parenti, ma
anche alle persone che professavano qualche sorta di devozione. Ma non mi
affliggevo per questo, lasciavo dire chi voleva dire, e la povera anima mia si
rallegrava nel piacere al suo Dio, mentre altra brama non avevo che di
contentare, di piacere, di amare il mio Signore, il mio amorosissimo Dio.
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