Del 1809, mese di giugno, il dì 23,
vigilia del gran precursore Giovanni Battista, mi ero ritirata, secondo il
solito, al caposcala, come già dissi al foglio..., a fare orazione. Fatta
l’orazione preparatoria, fui sopraffatta da interno raccoglimento, da
particolare illustrazione fu illuminata la mia mente e l’intelletto fu
sollevato a contemplare l’eterna misericordia. Dopo aver profondamente adorato
con l’intimo dell’anima l’eterno Dio, dopo essermi profondamente umiliata e
inabissata nel proprio mio nulla, dopo aver riconosciuto Dio per assoluto
padrone del cielo e della terra, dopo essermi offerta tutta al suo divino
beneplacito, perché degnato si fosse di far di me quello che più gli piacesse,
tutto ad un tratto fui sopraffatta da dolcissimo riposo.
In questo tempo mi trovai in spirito in luogo deserto, dove tutto spirava
santità. Vidi da lungi il gran precursore Giovanni, che verso di me si
approssimava; il mio spirito, pieno di venerazione e di rispetto, si prostrò
dinanzi a lui, supplicandolo umilmente a volersi degnare di proteggermi.
Tutto intimorito era il mio spirito, alla presenza di questo gran santo; i
miei occhi erano divenuti due fonti di lacrime, si sprofondava nel nulla la
povera anima mia, e, fissi gli occhi in terra, un gelido timor mi scorreva nel
cuore.
Il santo precursore con dolci accenti mi prese a consolare: «Non temere»,
mi disse, «non temere. Di nuova consolante apportatore sono io. A te vengo da
parte dell’altissimo Dio, acciò ti prepari a ricevere gli alti favori
dell’eterna sua bontà. «Vedi», mi disse, «là ti aspetta il Paraclito Spirito
per celebrare con te i celesti sponsali. Io», diceva il santo, «io sarò il
fortunato tuo condottiero. Oh, grazia ben grande, oh anima fortunata!»,
eslamava pieno di ammirazione, «oh infinita bontà dell’Altissimo!», e intanto mi
additava da lungi la terra di promissione. L’ammirazione e l’esclamazione del
santo precursore servirono al povero mio spirito di somma confusione: umiliando
me stessa, non sapevo comprendere come mai si degnasse Dio di favorire con
grazie tanto singolari un’anima tanto scellerata come sono io. Di santo orrore
il cuore ripieno, piangevo, ma sentivo contento il cuore; una dolce violenza
non mi permetteva il potermi partire, ma piena d’amore e di santi affetti,
anelante diceva: «Il mio Bene dov’è?». Il santo timore vorrebbe balzarmi ben
lungi di qua; la riverenza, il rispetto, l’amore dolce violenza facevano al
cuore e non mi permettevano il potermi partire. Oh, dolce contrasto: quanta
pena mi fai provar! Oh, come in un baleno da raggio inaspettato fu illuminato
il cor! La fede, la speranza, la carità, l’amore trasmutar mi fecero l’anima e
il cuore; una nova vita mi parve di respirare, e, tutto assorto in Dio, si
profondava lo spirito in replicati atti di santa umiltà. Così passai il dì 23
giugno 1809.
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