Il dì 25 giugno 1809, da immenso stuolo di
angeli fui condotta al regio palazzo. Prima di giungere al regio palazzo, vi
era una ripida gradinata; salita che ebbi l’alta scala, con mio sommo stupore,
vidi che il magnifico palazzo non aveva porta corrispondente alla sua
magnificenza. Andavo dicendo fra me stessa: «Cosa veramente da stupire, palazzo
così magnifico, scala così grande, eppure, chi lo crederebbe? non vi è porta
corrispondente da poter entrare».
Oh, come la povera anima mia restò attonita, e piena di stupore! non
conoscevo la giusta cagione come sì bello edificio non avesse porta
corrispondente alla sua magnificenza. Altro non vi era che una piccolissima
porta, non più grande che la bocca di un forno: questa era di forte metallo.
Era questa ben chiusa e sigillata, di maniera che non si poteva penetrare. Il
santo Battista, conoscendo la mia ignoranza, mi ammaestrò: «Sappi», mi disse,
«che l’abitazione del sommo Re non ha porta corrispondente alla sua
magnificenza, per denotare a quelli che vogliono entrare che si devono
umiliare, annientare, assottigliare, per così penetrare questa angusta porta».
Oh, che grande elogio fece il santo precursore della santa umiltà! Mi fece
conoscere quanto doverosa sia ad ogni creatura questa virtù, e quanto onore
renda al sommo Dio. A questa dimostrazione del Santo, il mio spirito conobbe la
necessità di questa virtù, e con le lacrime e con sospiri si raccomandava al
suo Dio, acciò si degnasse concedermi la santa umiltà.
A questa preghiera, sento ad un tratto una totale innovazione di spirito,
che giustificò il mio cuore, e la grazia del Signore per quel momento mi
trasmutò in un serafino di amore. In quel momento restò purificato il mio
spirito, per mezzo della suddetta grazia: mi comunicò Dio tutte quelle
disposizioni che richiedeva un sì alto favore.
Si annientò dunque l’anima, si sprofondò nel proprio suo nulla, e così ebbe
libero l’ingresso. Si dischiuse al momento la feral porta e l’anima, bene
assottigliata con la grazia di Dio, nel magnifico palazzo fu introdotta.
Oh, cosa dirò mai di questa magnificenza! Mio Dio, datemi grazia di
spiegare alla meglio che posso le vostre incomprensibili misericordie, perché
la mia ignoranza non oscuri la vostra gloria. E voi, Angeli santi, che
spettatori foste dell’alto favore che mi degnò l’eterno Dio, voi insegnatemi,
voi suggeritemi termini che atti siano a descrivere con vive immagini quello
che io per la mia ignoranza non so manifestare.
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