Il 19 dicembre 1813, nel ricevere la santa
Comunione, la povera Giovanna Felice così racconta di sé: dopo la santa Comunione
sono stata sorpresa da dolce riposo. In questo tempo il mio Dio si è degnato
darmi intelligenza particolare riguardante l’infinito suo amore. Cosa mai ha
sperimentato il cuore di gauDio, di dolcezza, di amore! Senza vedere, senza
parlare, ma con somma occultezza, godevo gli abbracci più teneri del mio
Signore. In questi amplessi sì teneri e amorosi del suo purissimo cuore,
comunicava al mio povero cuore una semplicità, una purezza soprannaturale, che
mi rendeva per pura sua carità degna di più inoltrarmi, perfino a lambire il
latte prezioso del suo amore. Corroborata che è stata la povera anima mia da
questo prezioso liquore, da piccola bambina che mi vedeva, in un momento fui
dal mio Signore trasformata in un’arca vastissima, capace di ricevere la piena
infinita delle Sue misericordie. Sotto questo aspetto mi sono trovata in una
valle grandissima; era questa valle circondata da tre vastissimi monti, ma –
dico meglio – era questo un sol monte, vastissimo, grandissimo, bellissimo, ma
in tre aspetti diversi lo distinguevo, sicché nell’essere un solo monte, tre
monti erano. Ecco, ad un tratto, questo monte dalle tre divisioni tramandava
preziosa acqua, in tanta copia che leggiadramente portava la povera anima mia,
sotto la forma di arca, fino alla sommità del monte. Sollevata in questa
altezza il mio Dio mi ha significato cose così belle. cose così grandi
riguardanti la sua potenza, la sua sapienza; la sua bontà, che non ho termini
di spiegarle, ma, sopraffatta dall’amore di Dio, la povera anima mia restava
vittima della sua carità. Le potenze dell’anima mia si perdevano nella vastità
della sua magnificenza, come tre gocce d’acqua si perderebbero nel vasto mare.
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