Il dì 17 febbraio, giovedì di carnevale,
nel ricevere la s. Comunione, così racconta di sé la povera Giovanna Felice,
sono stata sorpresa da vivo sentimento di contrizione; ero annientata nel
proprio nulla; si disfaceva il mio povero cuore in lacrime. Sono stata invitata
a salire un alto monte, ma la cognizione di me stessa mi impediva di proseguire
il viaggio. Andavo di endo a me stessa: «Dove ti inoltri, anima mia? Sei carica
di peccati». Quando da dolce voce sono stata invitata a pù inoltrarmi. Era
questa la voce del mio diletto, ecco le sue amorose parole: «Allontana da te il
soverchio timore; vieni, o mia diletta, a consolare il mio cuore».
A queste parole la povera anima mia si è sollecitamente inoltrata verso la
sommità del monte. Oh, spettacolo che mi ha fatto inorridire! oh, vista
compassionevole! ho veduto il mio caro Gesù carico di piaghe grondante di vivo
sangue. «Ah, Gesù mio!», gli diceva la povera anima mia, «e chi mai vi ha
ridotto in questo stato così deplorabile? Ah, Gesù! lo so, i miei peccati vi
hanno ridotto in questo stato».
Mi sono data in preda al dolore, che mi credevo di restare estinta. Ma il mio
caro Gesù ha preos a consolarmi con queste dolci parole: «Figlia diletta mia;
tergi le tue lacrime. Vieni a compensare le ingiurie che ricevo da quelli che
si prendono tante soddisfazioni illecite, con tanto mio disonore e dei miei
comandamenti. Vieni, mia cara, con amore a lambire le mie piaghe».
A queste parole il povero mio spirito si è umiliato fino al profondo abisso
del suo nulla e, per compiacere il mio Signore; riverentemente mi sono a lui
avvicinata. Quando; ad un tratto; le sue piaghe sono diventate tanti raggi di
luce, così risplendenti, così belli che la sua santissima umanità più non si
distingueva. Sono stata sopraffatta da questa bella luce; anzi, dico meglio,
assorbita propriamente; che più non si distingueva qual fossi io; qual fosse
luce. In questo tempo quali atti di amore; quali offerte andava facendo il mio
cuore, mi si rende impossibile poterlo riferire.
In questa intima unione, il mio diletto si è degnato dare un caro abbraccio
alla povera anima mia, anzi dico di più, un casto bacio si degnò stampare sulla
povera anima mia, al momento, benché mi confesso di essere la creatura più
miserabile, divenni in quel momento tutta santa, tutta perfetta, per fino a
divenire oggetto delle compiacenze del mio Signore.
Oh santo amore, fin dove giunge la tua bontà: fare oggetto delle tue
compiacenze la creatura più vile che abita la terra! Oh amore, oh eccesso, oh
carità, che riempì di stupore la povera anima mia, ti lodo, ti benedico, ti
ringrazio!
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