Il dì 28 febbraio 1814, così racconta di
sé la povera Giovanna Felice: Dopo il pranco mi portai alla chiesa di San
Silvestro a Monte Cavallo, per assistere alla «Buona morte», quando fui alienata dai sensi, il mio buon Dio mi diede a vedere lo stato
infelice di tre anime, e queste come tre spine le vedevo al cuore di Gesù
Cristo. A questa vista volli morire «Ah, Gesù mio» così prese a dire la povera
anima mia, «eccomi ai vostri santissimi piedi, fate che queste spine trapassino
il mio cuore, eccomi pronta a patire qualunque pena per liberarvi dal crudo
dolore che vi caginano queste spine crudeli. Venite, crude spine, a lacerare il
mio ingrato cuore, che fu cagione di tanto patire al mio caro Gesù!».
Intanto il mio spirito, assistito da grazia soprannaturale, andava formando
desideri e offerte molto singolari, e molto piacevoli a quel Cuore santissimo,
trapassato da quelle crude spine. Ah, quanto meno dolore cagionerebbe, se
potessi con queste trapassare il mio aflitto cuore, assai meno sarebbe la pena
mia. Mentre il mio cuore agonizzava per la pena di vedere il cuore di Gesù
trapassato da quelle spine, mi si sono presentati tre messaggeri celesti, con
tre calici nelle loro mani e altri piccoli ordigni, che io non conoscevo.
Questi cortesemente m’invitavano ad approssimarmi verso quel sacro cuore, che,
tutto adorno di raggi lucidissimi, veniva a mostrare l’immenso amore suo, verso
la povera anima.
Oh, fatto prodigioso e insieme ammirabile! Vuol servirsi della creatura più
miserabile, più vile che abita la terra, per liberarsi dal dolore che gli
cagionano quelle spine!
Ma approssimo dunque a quell’adorabile cuore, ed espressamente sono
comandata di levare, con mie proprie mani quelle crude spine, che lo trapassavano.
Mossa da santo zelo, vado tutta amore, tutta carità, come una figlia amorosa
per liberare l’amato suo padre dal crudo dolore; mi viene somministrato
strumento molto adatto per fare la nobile operazione.
O santo Angelo, ti ringrazio che mi hai somministrato ordigno sì bello; che
con somma facilità posso libeare l’amato mio bene. Traggo fuori le insanguinate
spine, un messaggero celeste scopre il calice e mi comanda di riporre in questo
le insanguinate spine. L’altro messaggero celeste presenta il suo calice; in
questo vi era prezioso balsamo, mi somministrò altro strumento adatto ad
astergere le ferite. Scopre il terzo il suo calice: dentro di questo vi erano
tre bellissime gioie, unite, legate insieme.
«Prendi, o diletta figlia», mi sentivo dire, «prendi le preziose gioie.
Vieni, adorna il mio Cuore!».
Prendo dunque dal calice le suddette gioie e di queste adorno il cuore
santissimo del mio caro Gesù. Adorno che fu da queste gioie il nobile suo
Cuore, si degnò tramandare tre raggi di luce chiarissima a toccare la povera
anima mia, e mi fece degna di unirmi intimamente al suo amore. La povera anima
mia restò sopita dalla dolcezza di sì particolare unione. Allora mi manifestò
chi sono quelle tre anime che trapassavano come spine il suo Cuore. Per parte
d’intelligenza mi fece conoscere che quel prezioso balsamo erano le mie
lacrime, che a evo sparso a questo oggetto, mentre otto o dieci giorni prima di
questo fatto, il Signore nella santa Comunione mi diede a vedere qual dolore
cagionavano queste tre anime all’amoroso suo Cuore, che come spine venivano a
lacerare il suo amore. Fu tale e tanto il dolore che proò il mio cuore, che
volli propriamente morire; la pena rese cagionevole anche il corpo, questi
giorni non feci altro che piangere, e portata da vivo desiderio di compensare
le ingiurie che riceveva il cuore amoroso del mio caro Gesù, mi offrivo qual
vittima di patire ogni qualunque pena, per dare qualche compenso. Mi eleggevo
di andare anche all’inferno, se fosse stato di sua gloria. Volevo a bella posta
occultare l’intelligenza che ebbi circa le tre pietre preziose che dissi di
sopra, lo dirò a gloria del mio Signore. In questa venivano figurate le potenze
della povera anima mia, che assistita dalla grazia e dai meriti di Gesù Cristo,
vennero queste a dare un giusto compenso al suo santissimo Cuore. Opera fu
questa della sua potenza, mentre mi diede tanto di grazia di potere compensare
la loro malizia. Cosa veramente mirabile, o infinita sapienza, e chi mai potrà
ridire i mirabili effetti che produce la tua grazia nelle anime nostre, in un
momento le rendi capaci di fare ogni qualunque operazione.
O bontà infinita, tu rendesti estatici quei tre personaggi della tua corte,
benché questi fossro di sublime grado, che spettatori e cooperatori furono di
sì grande opera; mentre senza particolare intelligenza non è possibile
comprendere cosa così sublime. Preghiamo il Signore che ci dia grazia di
comprenderne il giusto senso.
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