Il giorno 7 marzo 1814 la povera Giovanna
Felice così racconta di sé. Prima di ricevere la santa Comunione fui da interno
raccoglimento sopita, in questo tempo mi si presentarono i tre santi Angeli,
che sono soliti favorirmi, questi m’invitarono di andare con loro. Dopo essermi
protestata di essere la creatura più vile, più miserabile della terra, vado
obbediente. Questi nobili personaggi mi conducono ai piedi di un monte
altissimo, grandissimo, bellissimo, quando sento la voce del mio diletto, che
con dolci parole m’invitava, e con le espressioni più amorosose si dichiarava
amante purissimo della povera anima mia, e qual diletta sposa la invitava ad
unirsi intimamente.
A questi amorosi inviti del castissimo suo amore e dalla soavità che
tramandava questo mistico monte, la povera anima mia era penetrata da interna
dolcezza, che le cagioava amoroso deliquio. In questo stato provai gli effetti
più forti del suo castissimo amore, questo mi rese qual vittima amorosa
dell’eterno Dio, che sotto questo magnifico monte mi dava a conoscere la sua
immensità: in qualche maniera, per quanto ne sono capace, mentre mi protesto di
non potere comprendere con il povero mio intelletto l’infinita immensità di
Dio.
A queste cognizioni venivo sopraffatta dall’amore, ma insieme sorpresa da
sommo timore per la sua infinita magnificenza. Andavano crescendo gli amorosi
inviti del mio diletto. Io desideravo andare speditamente, ma mi mancava la
lena; il mio celeste sposo si è degnato mandare prezioso sgabello, sopra di
questo sono stata collocata dai santi Angeli condottieri, da benefico vento
sono stata sollevata fino alla sommità del monte; arrivata che fui, il mistico
monte benignamente aprì il suo immenso seno, e amorosamente mi ricevette.
Propriamente fui immedesimata con lui, gli effetti straordinari che cagionò
nella povera anima questa intima unione non è possibile poterlo manifestare,
solo dirò che questo è un grado di unione molto particolare.
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