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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA – LE NOZZE MISTICHE (Dal 1813 al 1819)
    • 11 – LASCEREI I CIELI PER ABITARE LA BELLA ANIMA TUA
      • 1. Perduta nell’immensità di Dio
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1. Perduta nell’immensità di Dio

 

In questo tempo il mio spirito provava gli effetti più vivi di contrizione, di umiliazione, di amore. Vicino a questa c’era un albero bellissimo, e in questo veniva simboleggiata la santissima umanità di Gesù Cristo, dunque mi abbracciai fortemente a questo. Ero tanto il contento che provava il mio spirito, desiderosa di mai più disunirmi da questo prezioso albero di vita eterna, mi raccomandavo al mio Signore Gesù Cristo, che con pesanti catene mi avesse legato strettamente, giacché la mia fragilità mi faceva dubitare di stare sempre unita al suo amore. Pregavo il mio Angelo custode, che vedevo tutto ammirato per la degnazione di questo Dio verso la povera anima mia; pregavo i tre santi Angeli, che sono soliti favorirmi. questi nobili cittadini celesti mi sono stati, per particolare privilegio, assegnati dalla potenza del Padre, dalla sapienza del Figlio, dalla virtù dello Spirito Santo, mentre questi santi Angeli appartengono distintamente ai tre divini attributi. Questi mi conducono, mi ammaestrano, pietosi si interpongono, quando sono manchevole verso il mio Dio.Mi raccomandavo dunque, come dicevo, che con pesanti catene mi avessero legato a quel prezioso albero. Quando il mio Signore mi ha dato a conoscere che l’amore suo non patisce violenza, che sarebbero disdicevoli le pesanti catene per unire le anime al suo amore, mentre verrebbero a togliere a queste la libertà che gli donò; ma per darmi un pegno certo di sicurezza, mi dava a vedere come teneva legata la povera anima, senza pregiudicare la sua libertà, per mezzo dunque di prezioso amo, unito a leggera catenella di oro finissimo, che riteneva nelle sue mani; l’amo era profondato nel mio cuore, sicché, per mezzo di questo dolce legame, padrone si rendeva del mio cuore.

Oh bella sicurezza, tu rendi contento il mio cuore! Possiedimi tutta, o santo amore! e se mille cuori avessi, tutti, tutti te li donerei!

Qual gaudio improvviso m’inonda il cuore: la bella fonte mi spruzza le dolci sue acque, il prezioso albero china verso di me i nobili e verdeggianti suoi rami. Mio Dio, mio amore, mio Gesù, quanto è mai grande la piena delle vostre dolcezze! La povera anima non vi può più contenere, mio Dio, basta! Non più».

Così dicendo mi sono trovata immersa in Dio, perduta affatto nella sua immensità.

 

Il giorno 4 aprile 1814 la povera Giovanna Felice così racconta di sé. Dopo la santa comunione, mi trovai nel medesimo luogo. Ricevuto che ebbi distinti favori e dalla bella fonte e dall’albero nobilissimo, si tratteneva la povera anima mia in dolce riposo, quando sono stata invitata a viepiù inoltrarmi. La povera anima mia a questo invito si è profondamente nel suo nulla, ma desiderosa di compiacere il suo dio, così ha preso a parlare: «Mio Dio, mio amore, fate di me ciò che vi piace. Sono tutta vostra, ma ricordatevi che sono la creatura più vile che abita la terra. Mio dio, mio Signore, non oscurate la vostra gloria per beneficare l’anima mia».

Avevo appena forzato questo sentimento, quando leggiadramente sono stata trasportata in luogo altissimo, adorno di immensa luce. Oh quanto belle cose conoscevo per parte di intelligenza! Questo luogo mi pare si possa chiamare specola nobilissima, dove il Signore manfesta se stesso alle sue dilette, mentre in questo luogo viene comunicata alle anime una scienza particolare, per conoscere e penetrare i misteri della santa fede.

Dopo essermi trattenuta qualche tempo a penetrare gli alti misteri della fede, per mezzo di queste cognizioni la povera anima mia restava perduta amante di questo immenso Dio, e questo Dio si manifestava perduto amante di me. Io dunque andavo velocemente verso di lui, e lui rapidamente veniva verso di me. La povera anima mia restava medesimata con Dio.

Santi Dottori, datemi la vostra eloquenza per manifestare questa intima unione e i mirabili effetti di questa; non è possibile che umano intelletto possa penetrarlo.

 




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