Il giorno 10 aprile, Pasqua di
risurrezione, così racconta la povera Giovanna Felice di sé. Mi accostai alla
santa Comunione con molto raccoglimento fui sopraffatta da interno riposo,
quando mi trovai nuovamente sopra quel fabbricato, come si disse il giorno 9
del mese suddetto. Vidi apparire l’umanità santissima di Gesù Cristo, ammantato
di bella nube, mi prostrai con lo spirito dinanzi a lui, chiedendogli perdono
di tanti affronti, di tanti oltraggi che ho commesso contro l’infinito suo
amore. Piangevo dirottamente, parte per la pena di averlo offeso, parte per il
gaudio di vederlo non più tra chiodi e spine, ma circondato di gloria.
Il mio Signore dolcemente mi ha rimproverato, facendomi intendere che
questo è giorno di gaudio e non di pianto; mi ha invitato a più inoltrarmi,
dopo essermi veracemente protesta di essere la creatura più miserabile che
abita la terra, per comiacerlo mi sono inoltrata in questo luogo.
Ah, mio Dio, e chi mai potrà immaginare l’amore che portate alla povera
nima mia! Io stessa ne resto meravigliata. Questo era un lugo pieno di luce. Il
mio Signore si è degnato di sollevare le mani al cielo e tramandare dalle
cicatrici delle mani e dei piedi e del venerando costato, non so dire se sangue
o prezioso balsamo, mentre la fragranza, l’odore che tramandava sopiva la
povera anima mia. Il prezioso sangue che tramandava dalle cicatrici veniva a
bagnare la povera anima mia, particolarmente in cinque parti, che non so dire
se per pruificare i sentimenti del mio corpo, ovvero per dare cinque disposizioni
allo spirito, che sono necessarie per ricevere con qualche degnazione la
particolare unione.
Mio Dio, e come potrò manifestare le grazie grandi che vi degnate di fare
alla povera anima mia! Senza sentenziarmi per temeraria, ardita, presuntuosa,
se sappiamo che i santi apostoli non gli fu permesso di vedervi salire al cielo
il giorno della vostra gloriosa ascensione; come mai sarà possibile che vi sia
creatura che possa da sé immaginare cosa così grande! O questo può essere per
un favore particolare di Dio, oppure da illusione diabolica, unita alla
superbia più sopraffina che si sia mai veduta o trovata.
Proseguo dunque, con somma mia confusione fui invitata a viepiù inoltrarmi
per fino a penetrare l’unione dell’umanità santissima di Gesù Cristo con la sua
divinità. È cosa veramente impenetrabile, incomprensibile, è cosa veramente da
fare stupire gli intelletti più sublimi, più intelligenti! E come dunque io
ardirò parlare, che sono la creatura più miserabile che abita la terra! Padre
mio, le basti sapere quanto le dissi a voce sul fatto riferito, mentre mi si
rende impossibile poterlo spiegare.
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