La mattina del 15 del suddetto mese il mio
confessore mi restituì il suddetto foglio, e mi disse che in quello troverò
scritti i suoi sentimenti. Ai piedi del foglio così trovai scritto: «Ho
comandato varie volte a Giovanna Felice che dica tutto, e niente tralasci;
quando mi mà fogli con racconti tronchi, o non dice varie circostanze, che
crede doversi dire, stia dieci giorni senza Comunione».
Nel leggere quelle parole «dieci giorni senza comunione», volli veramente
morire, mentre la pena non mi faceva capire il giusto senso, tornao a rileggere
e non sapevo discernere se fosse castigo, ovvero minaccia. Tra il timore e la
speranza, sollecitamente scrivo un biglietto al mio padre per sapere
precisamente se castigo o minaccia fosse la sua espressione, per dare qualche
sollievo all’affannato mio cuore, ma non potei avere alcuna risposta. Passai
dunque tutto il resto della giornata piangendo, sospirando.
«E come sarà possibile», andavo dicendo, «che possa reggere senza morire
dieci giorni lontano da voi, sacramentato mio bene, se voi, o mio diletto,
siete il mio tutto?».
Piangendo dirottamente, chiedevo in grazia al mio Dio, che mi avesse
castigato altrimenti, ma che non mi avesse privata di poterlo sacramentalmente
ricevere. Così andava strugendosi il mio cuore tutto il giorno e parte della
notte, piangendo e sospirando.
La mattina di buon’ora mi porto al mio confessore, piena di timore,
credendo sicuramente di sentirmi confermare la tremenda sentenza; ma, per
misericordia di dio, tutt’altro trovai di quello che mi immaginavo. Mi
presentai dunque a lui piangendo, giacché mi mancava la maniera di parlare;
Allora il suddetto prese a consolarmi, dicendomi che non ea castigo, ma solo
minaccia, che fossi andata a fare la santa Comunione, che avessi promesso al
Signore di scrivere per l’avvenire tutto, senza occultare niente, mi disse ancora
che stessi allegramente e di buon animo.
A questa buona nuova, provai un contento tanto grande che non so spiegare,
assai più di quello che si può provare dopo un lungo esilio alla nuova di poter
tornare in patria, e con sicurezza abbracciare il caro padre suo. Si slanciò
rapidamente il mio spirito verso il suo Dio, assai più di un’aquila che
rapidamente spicca il volo fino al cielo, così il mio spirito distese le sue
ali verso il suo Dio, e questo buon Dio, qual rapido vento, lo ha sollevato per
fino a penetrare e cieli, dove la povera anima mia benignamente è stata accolta
dal sommo Dio, che a braccia aperte stava ansioso aspettando il momento di
abbracciarla, con dolci espressioni così mi invitava: «Vieni, colomba mia,
vieni diletta mia, vieni amica mia, sposa mia, vieni a ricevere gli abbracci
più teneri dell’amoroso mio cuore».
A queste parole fui strettamente abbracciata dall’Onnipotente. Che contento
fu il mio, nel trovarmi tra le braccia del mio diletto! che non solo mi
stringeva al castissimo seno, ma stampava sopra la povera anima teneri baci.Mi
fece intendere che non sarebbe per negarmi grazia alcuna, e che avrebbe
beneficato tutti quelli che mi avessero fatto del bene; che con particolare
benedizione sarebbero stati benedetti da lui, non solo questi, ma tutti quelli
che a me appartenessero, e tutti quelli che mi si soggetterebbero; mi faceva
intendere quanto grata gli fosse la mia povera condotta, come avesse detto: «La
rettidutdine del tuo cuore, i tuoi desideri mi obbligano, o mia diletta, a
favorirti con specialità di affetto. Inoltrati viepiù, o sposa mia, vieni a
penetrare l’intimo del mio cuore».
A queste parole ho penetrato il cuore di Dio.
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